Trasferimento - distacco del lavoratore - trasferta
Trasferimento
Il trasferimento del lavoratore da una sede di lavoro ad un'altra è regolato
dal codice civile all’art. 2103 c.c., modificato dall’art. 13 della L. 300\1970
o Statuto dei lavoratori.
Esso dispone che il trasferimento, ovvero lo spostamento del lavoratore da una
unità produttiva ad un'altra della medesima azienda, possa essere attuato dal
datore di lavoro solo in presenza di "comprovate ragioni tecniche organizzative
o produttive".
Ciò vuol dire, per giurisprudenza costante, che un dipendente può esser
trasferito solo a condizione che il datore di lavoro possa dimostrare:
-
l'inutilità di tale dipendente nella sede di provenienza;
-
la necessità della presenza di quel dipendente, con la sua particolare professionalità, nella sede di destinazione;
-
la serietà delle ragioni che hanno fatto cadere la scelta proprio su quel dipendente e non su altri colleghi che svolgano analoghe mansioni.
Il giudice, tuttavia, non ha alcun potere di controllo nel merito delle
suddette ragioni, ma deve limitare il proprio sindacato a verificare
l’effettiva presenza delle ragioni e l’esistenza di un nesso di causalità tra
queste e il provvedimento adottato: non è richiesta la prova circa la
inevitabilità del trasferimento.
Il trasferimento potrebbe essere disposto anche oralmente, ma
la contrattazione collettiva prescrive, tuttavia, nella maggioranza dei casi la
forma scritta.
Salva diversa indicazione del contratto collettivo, il datore di lavoro non ha
l'onere di indicare nell'atto di trasferimento le ragioni tecniche,
organizzative e produttive poste a fondamento del trasferimento stesso.
L'onere di indicare tali ragioni, infatti, sorge solo ove il lavoratore ne
faccia richiesta.
In tal caso, pena la inefficacia del trasferimento, comunicare i motivi del
trasferimento entro 5 giorni successivi dalla richiesta del lavoratore.
Ove il lavoratore non faccia richiesta dei motivi da parte del lavoratore,
peraltro, non comporta acquiescenza al trasferimento e pertanto il lavoratore
potrà contestare innanzi al Giudice del lavoro la illegittimità del
trasferimento stesso.
Il lavoratore a fronte di un trasferimento assunto in carenza dei requisiti
obiettivi richiesti dall'art. 2103 c.c. e delle altre condizioni eventualmente
poste dalla contrattazione collettiva, sul presupposto di un pregiudizio grave
ed irreparabile, potrà senz'altro invocare la tutela d'urgenza
al fine di ottenere la sospensione del trasferimento e la reintegra nel luogo
di lavoro originario (chiedendo al giudice in via d'urgenza, la sospensione del
trasferimento e la reintegra nel luogo di lavoro, riservando al merito della
causa la pronuncia sulla illegittimità del trasferimento e sul risarcimento
degli eventuali danni), senza esporsi al rischio che il datore di lavoro receda
dal rapporto di lavoro.
Per talune categorie il legislatore ha disposto delle maggiori limitazioni al
potere di trasferimento del datore di lavoro in ragione della loro peculiarità:
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dirigenti sindacali: l’art. 22 Statuto dei lavoratori dispone il previo nulla-osta al trasferimento del lavoratore da parte della associazione di appartenenza;
-
Lavoratore che fruisce del congedo per maternità o paternità: l’art. 56 d. lgs 151\2001 che stabilisce per tali lavoratori il diritto di essere trasferiti alla stessa unità produttiva oin altra dello stesso comune;
-
Lavoratore Handicappato e congiunti che lo assistono (anche non conviventi): art.33 della l. 104\1992 prevede il necessario consenso del lavoratore al trasferimento, nonché, ove possibile, il diritto di scegliere la sede più vicina al domicilio.
Trasferimento disposto nell'ambito dello stesso comune
La Corte di Cassazione ha risolto questo problema interpretativo distinguendo
due ipotesi, a seconda che il trasferimento sia disposto nell'ambito dello
stesso comune, o di comuni diversi.
La Corte rileva che solo in quest'ultimo caso si impone al lavoratore un vero e
proprio spostamento territoriale, con conseguenti disagi personali e familiari.
Conseguentemente, la tutela del lavoratore deve essere massima, e la nozione di
unità produttiva deve essere intesa in senso lato, come una qualunque sede
aziendale, a prescindere da qualunque requisito dimensionale e di autonomia.
Il trasferimento ex art. 2103 c.c., presuppone che, nonostante la modifica del
luogo di esecuzione della prestazione lavorativa, resti invariato il datore di
lavoro.
La fattispecie è invece diversa qualora nei confronti del lavoratore venga
disposto non solo il trasferimento da una sede di lavoro ad un'altra, ma anche
il passaggio alle dipendenze di altra società, pur se consociata a quella di
provenienza.
In questo caso, più che di trasferimento, deve parlarsi di cessione del
contratto di lavoro da una società all'altra ( disciplinata dall'art. 2112 c.c.
o dall'art. 1406 c.c.), che può essere attuato esclusivamente con il consenso
del lavoratore, in difetto del quale il trasferimento può essere dichiarato
illegittimo e revocato in via giudiziale.
Un cenno particolare merita l'ipotesi del cosiddetto trasferimento per
incompatibilità ambientale: quando la permanenza del lavoratore nella unità
produttiva si palesi idonea ad arrecare pregiudizio al normale svolgimento
della attività produttiva a causa del contrasto insorto tra tale dipendente ed
altri collaboratori, ferma restando però la possibilità di verificare se
l'operato del datore di lavoro risponda ai principi di buona fede e correttezza
Al riguardo, a parte la eventuale rilevanza disciplinare dei comportamenti del
dipendente, si è ritenuto che l'ipotesi di incompatibilità ambientale, nella
misura in cui si risolve in una disfunzione e disorganizzazione dell'unità
produttiva, integra una valida ragione tecnico-organizzativa-produttiva e,
dunque, legittima il trasferimento del dipendente ai sensi dell'articolo 2103
del codice civile.
Il trasferimento collettivo si distingue da quello
individuale, in quanto esso riguarda una collettività di lavoratori considerati
non individualmente ma quali componenti di una unità produttiva o di una parte
di essa.
E’ la contrattazione collettiva che regolamenta il potere del datore di lavoro
di procedere a trasferimenti collettivi, subordinandolo al previo esperimento
di consultazioni sindacali, ovvero di una previa informativa.
L'omessa attivazione di tali procedure, comporta l'illegittimità dei
trasferimenti.
Peraltro, i singoli lavoratori trasferiti, quand'anche la ricorrenza delle
ragioni giustificatrici del trasferimento abbia formato oggetto di un esame
congiunto in sede sindacale, possono sempre impugnare il provvedimento di
trasferimento al fine di ottenere la verifica giudiziale della loro sussistenza
Trasferta
La trasferta, diversamente dal trasferimento, è caratterizzata dalla
provvisorietà dello spostamento del lavoratore da una unità produttiva ad
un'altra nell’ambito della medesima azienda
Infatti, il datore di lavoro, nell'ambito dei poteri di organizzazione dei
fattori della produzione che gli competono, a fronte di sopravvenute esigenze
di carattere transitorio e contingente, può modificare temporaneamente il luogo
di lavoro.
La temporaneità costituisce pertanto requisito indefettibile della trasferta,
quindi, venute meno le esigenze che avevano determinato l'invio in trasferta
del lavoratore, questi rientrerà al precedente luogo di lavoro.
Per comprendere se ci si trovi di fronte ad una trasferta oppure ad un
trasferimento costituisce quindi un elemento assai importante la previsione di
un termine alla assegnazione del lavoratore a sede diversa da quella abituale.
Il requisito della temporaneità non implica tuttavia che debba essere
predeterminata la durata della trasferta, ben potendo la temporaneità della
assegnazione di sede emergere anche da altri elementi (es. il riferimento alle
ragioni della destinazione ad altra sede di servizio).
La contrattazione collettiva disciplina gli effetti della trasferta sul piano
del trattamento economico prevedendo una apposita indennità e/o l'eventuale
rimborso delle spese sostenute dal lavoratore nell'interesse del datore di
lavoro in conseguenza di essa.
La figura del lavoratore "in trasferta" non deve essere confusa con quelle del
cosiddetto "trasfertista".
Infatti, mentre, il lavoratore inviato in trasferta presta la sua attività
soltanto temporaneamente in un luogo diverso da quello contrattualmente
stabilito, il "trasfertista" si impegna a prestare la sua attività in luoghi
sempre diversi La differenza è apprezzabile, precipuamente sotto il profilo del
trattamento fiscale e contributivo delle somme percepite dal lavoratore.
Infatti le somme corrisposte al "trasfertisita" per compensarlo dell'obbligo di
adempiere la propria prestazione in luoghi sempre diversi, diversamente dai
rimborsi corrisposti in caso di trasferta, hanno natura retributiva, poiché
sono dirette a remunerarlo delle spese sopportate e dei disagi patiti in
relazione al peculiare atteggiarsi della prestazione lavorativa.
Il distacco
Il distacco si verifica quando il datore di lavoro comandi o
distacchi il proprio dipendente presso un'altra società, anche estera.
In sostanza nel distacco (o comando) il datore di lavoro
colloca il lavoratore presso un altro datore di lavoro, affinché renda in
favore di questi la sua prestazione lavorativa.
Il rapporto con l'originario datore di lavoro rimane fermo ma, parallelamente,
ne sorge un altro, con sospensione di quello originario.
Il decreto legislativo n. 276/2003, avendo abrogato la legge n. 1369/1960
sull'interposizione nelle prestazioni di lavoro, ha offerto per la prima volta
una definizione normativa del distacco, sostanzialmente mutuata dalla
precedente elaborazione giurisprudenziale.
I criteri individuati dalla giurisprudenza sono i seguenti:
-
il distacco doveva essere temporaneo, eccezionale ed occasionale;
-
il datore di lavoro distaccante doveva avere interesse a che il dipendente prestasse la sua opera in favore del datore di lavoro distaccatario;
-
in ogni caso il datore di lavoro distaccante doveva conservare il potere direttivo (eventualmente delegabile al datore di lavoro distaccatario);
-
infine, il datore di lavoro distaccante doveva conservare il potere di porre fine al distacco.
L'art. 30 del D.Lgs. n. 276, rifacendosi a detti criteri, ha precisato che si
parla di distacco quando un datore di lavoro, per soddisfare
un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori
a disposizione di altro soggetto per l'esecuzione di una determinata attività
lavorativa, rimanendo responsabile del trattamento economico e
normativo a favore del lavoratore.
Il carattere temporaneo del distacco si distingue della cessione del contratto
che, invece, è definitiva e che, a seconda dei casi, è disciplinata dall'art.
2112 c.c. o dall'art. 1406 c.c..