Il licenziamento
Esistono diversi tipi di licenziamento a seconda dei motivi che lo hanno
determinato e dal numero dei soggetti a cui è rivolto.
Licenziamento individuale
Il contratto di lavoro può cessare per dimissioni del lavoratore (vedi Le
Dimissioni) o per licenziamento da parte del datore di lavoro.
Forma del licenziamento
Il datore di lavoro, indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda, ha
l’obbligo di comunicare in forma scritta al lavoratore la sua volontà di
recedere dal contratto.
Se la lettera di licenziamento non indica i motivi per cui il datore di lavoro
ha deciso di licenziare, il lavoratore può richiederli per iscritto entro 15
giorni dal ricevimento della lettera di licenziamento.
Il datore di lavoro nel termine di 7 giorni dal momento del ricevimento della
richiesta di motivi deve fornirli per iscritto al lavoratore.
E’ inefficace il licenziamento intimato verbalmente, o comunque senza forma
scritta, e pertanto deve ritenersi tam quam non esset.
Non è richiesta la forma scritta per procedere al licenziamento di:
-
lavoratori domestici;
-
lavoratori in prova;
-
lavoratori ultrasessantenni che non abbiano optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro.
L’art. 3 prevede tre ipotesi di inefficacia del licenziamento:
-
mancanza della forma scritta del licenziamento;
-
mancata comunicazione dei motivi del licenziamento a seguito di tempestiva richiesta avanzata dal lavoratore;
-
tardiva comunicazione dei motivi del licenziamento.
Giusta causa e giustificato motivo
Un licenziamento può considerarsi efficace se sorretto da:
-
giusta causa;
-
giustificato motivo, oggettivo o soggettivo
Per giusta causa ai sensi del codice di civile art. 2119, deve intendersi un
inadempimento, contrattuale o extracontrattuale, del lavoratore talmente grave
da non permettere neanche la prosecuzione temporanea del rapporto.
Sussistendo tali presupposti il datore di lavoro può procedere al licenziamento
in tronco del lavoratore, senza obbligo di preavviso.
I casi individuati dalla giurisprudenza sono notevoli e passano dal furto
aziendale, alla trasmissione di notizie riservate alla grave insubordinazione
(inadempimento di natura contrattuale), fatti privati costituenti reato se in
connessione con il rapporto di lavoro e le mansioni espletate (inadempimento di
natura extracontrattuale).
Non è mai considerata giusta causa di licenziamento l’avvenuto fallimento dell’
imprenditore o amministrazione coatta amministrativa dell’azienda.
La giurisprudenza, invece, considera giusta causa di licenziamento anche fatti
molto gravi non commessi nell’ambito della prestazione lavorativa, ad es.
spaccio di droga o rapina non commesse nei confronti del datore di lavoro.
Per evitare contrasti spesso i contratti collettivi spesso indicano i fatti
qualificabili come giusta causa di licenziamento.
Giustificato motivo soggettivo
Per giustificato motivo soggettivo (art. 3 legge 604/66) va invece inteso un
notevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore.
A differenza dell’ inadempimento che da luogo a giusta causa, il giustificato
motivo soggettivo è caratterizzato dalla sua minore gravità e dalla natura
esclusivamente contrattuale.
Nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo il rapporto non si
estingue subito ed il datore di lavoro è tenuto a concedere un periodo di
preavviso ovvero, a sua discrezione, può corrispondere al lavoratore una
indennità sostitutiva di preavviso.
Esempi di giustificato motivo oggettivo sono considerati l’abbandono del posto
di lavoro, l’assenza ingiustificata, la violazione dei doveri di diligenza ed
obbedienza.
Se il licenziamento ha carattere disciplinare, preventivamente, va esperita la
procedura di cui all’art. 7 dello Statuto dei lavoratori.
L’addebito va contestato ed il lavoratore va sentito a discolpa.
Il licenziamento potrà essere effettuato, è sarà formalmente valido, trascorsi
5 giorni dalla contestazione scritta.
Giustificato motivo oggettivo
Il licenziamento può, altresì, trovare causa in particolari situazioni negative
aziendali, ”ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del
lavoro ed al regolare funzionamento di essa” (art. 3 legge 604/66).
Tali situazioni prescindono da comportamenti imputabili al lavoratore.
Trattasi del c.d. licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Affinché si possa procedere a licenziamento per giustificato motivo oggettivo è
richiesta una duplice condizione: l’effettività delle esigenze aziendali
indicate nella lettera di licenziamento e l’esistenza del nesso di causalità
tra tali esigenze e il licenziamento stesso.
Licenziamento disciplinare
L’art 7 della L. 300\1970 ( Statuto dei Lavoratori) detta le regole necessarie
perché il datore di lavoro, a fronte di un notevole inadempimento possa
intimare al lavoratore il licenziamento come sanzione disciplinare in ragione
del suo comportamento manchevole del lavoratore.
Preventivamente il datore di lavoro ha l’obbligo di esporre nel luogo di lavoro
il c.d. codice disciplinare; successivamente deve contestare per iscritto gli
addebiti specifici mossi al lavoratore;deve concedere un termine al lavoratore
per consentirgli di spiegare le sue ragioni a gli addebiti mossigli;
Nel caso in cui il datore di lavoro irroghi il licenziamento disciplinare senza
il rispetto delle regole di cui all’art. 7 dello statuto dei lavoratori, il
provvedimento è inefficace.
Il licenziamento discriminatorio
Per licenziamento si intende il provvedimento determinato da ragioni di fede
religiosa o di credo politico ai sensi dell’art 15 dello Statuto dei Lavoratori
e dell’art. 3 della L. 604\1966.
Tale licenziamento deve considerarsi sempre nullo, indipendentemente dalle
motivazioni addotte dal datore di lavoro ed indipendentemente dal numero dei
dipendenti darà sempre luogo a un autotutela reale, ovvero reintegra del
lavoratore nel posto di lavoro, come se non fosse mai stato licenziato e
risarcimento del danno superiore alle 5 mensilità dell’ultima retribuzione
globale di fatto, indipendentemente dal le dimensioni dell’azienda.
IMPUGNAZIONE DEL LICENZIAMENTO
Qualora il lavoratore ritenga il licenziamento illegittimo può impugnarlo entro
60 giorni dalla sua comunicazione o dalla comunicazione dei motivi, se avvenuta
posteriormente.
L’art. 6 della L. n. 604 prevede che l’impugnazione sia fatta con qualsiasi
atto scritto idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore licenziato, anche
stragiudiziale, anche tramite lettera raccomandata spedita al datore di lavoro.
La comunicazione può essere trasmessa anche dal sindacato o dal legale del
lavoratore ma deve essere da questi controfirmata.
Il lavoratore può sceglie di impugnare il licenziamento direttamente in via
giudiziale.
In tal caso al fine di evitare decadenze dovrà depositare un ricorso nella
cancelleria del Tribunale territorialmente competente, previo esperimento del
tentativo obbligatorio di conciliazione.
La tutela reale
Quando si versa in ipotesi di annullamento del licenziamento ingiustificato, di
nullità del licenziamento discriminatorio o nel caso di dichiarazione di
inefficacia del licenziamento per difetto di forma, si applica l’art. 18 dello
Statuto dei Lavoratori.
Il giudice ordina la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro,
prevista dall'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (modificato dalla L. n.
108/1990) nei confronti dei datori di lavoro, imprenditori o meno, che
occupano:
-
più di 15 dipendenti (5 se agricoli) in ciascuna unità produttiva: sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo, dove è avvenuto il licenziamento;
-
più di 15 dipendenti (5 se agricoli) nell'ambito dello stesso Comune, anche se ciascuna unità produttiva non raggiunge il limite;
-
più di 60 dipendenti complessivamente se nell'unità produttiva interessata sono occupati meno di 16 dipendenti.
Dal computo dei dipendenti, ai fini dell’applicazione dell’art. 18 dello
Statuto dei lavoratori, vanno esclusi i lavoratori assunti con contratto a
termine, gli apprendisti, il coniuge ed i parenti del datore di lavoro entro il
secondo grado in linea retta e collaterale
Al contrario, ai fini del calcolo delle soglie occupazionali si tiene conto dei
lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro e i lavoratori a tempo
indeterminato part – time per la quota effettivamente di orario effettivamente
svolta.
Se il licenziamento è dichiarato illegittimo, il datore di lavoro deve
risarcire il danno subito dal lavoratore, danno che viene quantificato in
misura pari al pagamento della retribuzione globale di fatto, in misura non
inferiore a 5 mensilità.
Se però il lavoratore prova di essere rimasto disoccupato dal licenziamento e
sino alla reintegra avrà diritto a percepire anche tutte le mensilità maturate
nel periodo.
Tale risarcimento prevede anche il versamento dei contributi assistenziali e
previdenziali.
Ottenuta la reintegra il lavoratore può rinunciare alla stessa e chiedere
l’indennità sostitutiva della reintegra la cui corresponsione comporta la
risoluzione del rapporto di lavoro.
La misura dell’indennità è pari a 15 mensilità della retribuzione globale di
fatto e va a sommarsi alle somme eventualmente dovute a titolo risarcimento.
Tale opzione può essere esercita solo dal lavoratore e va richiesta entro 30
giorni dall'invito a riprendere il lavoro.
Se il lavoratore, entro 30 gg. dal ricevimento dell’ invito del datore di
lavoro, non riprende il lavoro, e se entro 30 giorni dal deposito della
sentenza non ha richiesto il pagamento della indennità sostitutiva, il rapporto
di lavoro si intende risolto allo spirare dei suddetti termini.
Una ipotesi particolare è data dal licenziamento illecito e discriminatorio che
viene sempre considerato nullo e comporta il diritto alla reintegra nel posto
di lavoro in uno con il risarcimento del danno indipendentemente dalle
dimensioni occupazionali dell’azienda (art. 3 legge 108/90).
La norma si applica anche nei confronti del licenziamento del dirigente ed è
valida in tutti i casi in cui sussiste la libera recedibilità dal rapporto.
La tutela obbligatoria
Se l’azienda non risponde ai requisiti dimensionali previsti dall’art. 18 dello
statuto dei lavoratori, la tutela del lavoratore illegittimamente licenziato si
riduce considerevolmente.
Se è vero che è previsto un obbligo di riassunzione del lavoratore dall'art. 2
L. n. 108/1990 (che ha ampliato l'art. 8 della L. 604), è pur vero che, nella
pratica, chi presta la propria opera in aziende che hanno un organico:
-
fino a 15 dipendenti (5 se agricoli) in ciascuna unità produttiva;
-
fino a 60 complessivamente se nell'unità produttiva interessata sono occupati meno di 16 dipendenti.
-
in organizzazioni di tendenza, cioè datori non imprenditori che svolgono attività senza fini di lucro (sindacati, partiti politici, associazioni religiose, culturali)
difficilmente si vedrà riassumere in quanto, al datore di lavoro, è concessa
una opzione tra la riassunzione ed il pagamento di un'indennità, a titolo di
danno.
Quest'ultima viene ricompresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità
dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione al numero dei
dipendenti, alla dimensione dell'impresa, all'anzianità, al comportamento e
alle condizioni delle parti.
I casi in cui può concretizzarsi un licenziamento discriminatorio sono vari e
possono comprendere tanto la partecipazione ad attività sindacali o politiche,
quanto discriminazioni basate sul sesso, sulla razza, sulla religione.
Licenziamento collettivo e messa in mobilità
Con il termine mobilità si indica il licenziamento collettivo, che
l'imprenditore può adottare solo in presenza delle due seguenti condizioni:
-
l'imprenditore, che ha già in atto sospensioni dal lavoro con intervento della Cassa integrazione guadagni straordinaria, ritenga di non poter attuare il risanamento o la ristrutturazione necessari al superamento della Cassa (art. 4 legge 223/91.). In questo caso si considera licenziamento collettivo anche se con esso se venga risolto un unico rapporto di lavoro.
-
l'imprenditore con più di 15 dipendenti intenda licenziare almeno 5 lavoratori, nell'arco di 120 giorni, in conseguenza di una riduzione o di una trasformazione di attività o di lavoro, o quando lo stesso intenda cessare l'attività (art. 24 legge 223/91).
La procedura per la messa in mobilità si articola in due fasi:
-
Fase sindacaleL'imprenditore, prima di procedere al licenziamento, ha il dovere
preventivamente informare le rappresentanze sindacali aziendali e i sindacati
maggiormente rappresentativi, mediante l’invio di una comunicazione.
Essa deve contenere i motivi che impediscono l'adozione di strumenti
alternativi al licenziamento e le misure eventualmente programmate per ridurne
l'impatto sociale.
Alla comunicazione va allegata copia della ricevuta del versamento all’ INPS di
una somma pari al trattamento massimo mensile di integrazione salariale
moltiplicato per il numero dei lavoratori considerati in esubero.
Tale versamento costituisce un’anticipazione del contributo di mobilità posto a
carico delle aziende, pari a 9 volte il trattamento mensile di mobilità
spettante al lavoratore.
Tale importo può essere versato in trenta rate mensili e può essere ridotto a
tre volte (3 mensilità) nei casi di accordo sindacale (art. 24, comma 3).
Nello stesso tempo copia di tale ricevuta unitamente alla copia della
comunicazione del datore di lavoro al sindacato devono essere inviate all’
Ufficio provinciale del lavoro.
Entro 7 giorni dal ricevimento della comunicazione, a richiesta del sindacato,
dovrà seguire la c.d fase sindacale, un esame congiunto della situazione, che
dovrà concludersi entro 45 giorni, all'esito del quale le parti possono
raggiungere un accordo, che individui - tra l'altro - i criteri di scelta dei
lavoratori da licenziare in maniera diversa da quelli indicati dalla legge
(carichi di famiglia, anzianità, esigenze aziendali).
In caso di raggiungimento di un accordo tra azienda e organizzazioni sindacali,
l’azienda può intimare i licenziamenti collettivi concordati, nel rispetto dei
termini di preavviso, senza dover attendere la scadenza dell’ulteriore termine
per l’espletamento della seconda fase avanti alla Direzione Provinciale del
lavoro, e beneficia della riduzione a 1/3 del contributo da versare all’INPS
per il trattamento mensile di mobilità (3 mensilità anziché 9).
-
Fase innanzi la direzione provinciale del lavoroSe la procedura sindacale è stata infruttuosa la legge prevede una fase
ulteriore conciliativa in sede amministrativa, su iniziativa del Direttore
della Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente.
Se in tale sede si raggiunge un accordo, pur nel silenzio della legge si
ritiene che l’azienda possa ugualmente beneficiare del pagamento ridotto
dell’indennità di mobilità.
Esaurita la suddetta procedura, che non deve avere una durata superiore a 75
giorni, se permane ancora le necessità di procedere a licenziamento, il datore
di lavoro ha la facoltà di individuare i lavoratori colpire il provvedimento di
recesso.
Tale individuazione va fatta di seguendo i criteri elencati negli accordi
collettivi i oppure ai criteri stabiliti dall'articolo 5, comma 1, legge
223\1991:i esigenze tecnico-produttive ed organizzative, carichi di famiglia e
anzianità in concorso tra loro.
L’ art. 6 comma 5 bis della L. 19 luglio 1993 n. 236 ha integrato tale
disciplina con una disposizione diretta a prevenire forme di discriminazione
sessuale nell’ambito - appunto - dei licenziamenti collettivi
Infatti "L'impresa non può altresì collocare in mobilità una percentuale di manodopera
femminile superiore alla percentuale di manodopera femminile occupata con
riguardo alle mansioni prese in considerazione".
Ad esempio se, nell’impresa una determinata mansione è svolta da 10 persone di
cui 5 donne, la collocazione in mobilità (ovvero il licenziamento), nell'ambito
degli addetti a tale mansione, non potrà riguardare una percentuale di
lavoratrici donne superiore al 50%.
L'impresa è poi tenuta a rispettare le percentuali di soggetti invalidi o
comunque di assunti obbligatori.
La scelta dei lavoratori da licenziare deve riguardare l'intero complesso
organizzativo e produttivo dell'azienda, e non può essere limitata solo ai
reparti o agli uffici interessati alla riduzione del personale.
Vale a dire che nel caso in cui in altri reparti o uffici della stessa unità
produttiva vi siano lavoratori che svolgono mansioni professionalmente simili a
quelle interessate alla riduzione, i criteri di scelta devono essere applicati
anche nei loro confronti.
Lo stesso vale nel caso in cui lavoratori che svolgano mansioni fungibili siano
addetti ad altre unità produttive o ad altri stabilimenti dello stesso datore
di lavoro: anche questi lavoratori dovranno essere tenuti in considerazione
nella scelta del personale da licenziare.
Il datore di lavoro ha il dovere di informare la parte pubblica e le
associazioni sindacali indicando i nominativi dei lavoratori licenziati il
luogo di residenza, la qualifica, il livello di inquadramento, l'età, il carico
di famiglia e le modalità seguite scelta.
Il licenziamento deve essere intimato in forma scritta con il rispetto del
prescritto preavviso.
In caso di mancato il rispetto della procedura di cui agli artt. 4 e 5 della
legge 223\1991, i recessi risultano invalidi con applicazione della tutela
reale, ex articolo 18 legge 300 /1970 (Statuto dei lavoratori).
Anche in questo caso il licenziamento dovrà essere impugnato entro 60 giorni
dalla comunicazione.
Il licenziamento, oltre alla funzione di porre fine a rapporto di lavoro,
assume anche la funzione di mettere il lavoratore licenziato nelle liste di
mobilità che percepirà la corrispondente indennità.
L’art. 8 comma 1 della L. 223/91, ha garantito ai lavoratori iscritti alla
lista di mobilità a seguito di licenziamento collettivo, il diritto di
prelazione all’assunzione.
Qualora la società che ha collocato lavoratori in mobilità si trovi nella
necessità di procedere a nuove assunzioni, deve dare la precedenza ai propri ex
dipendenti.
Perché tale diritto di precedenza si applichi devono, peraltro, ricorrere
condizioni ben precise.
-
il diritto è riservato a lavoratori ancora iscritti alle liste di mobilità, e dunque che non abbiano già reperito una nuova occupazione.
-
l’assunzione deve avvenire nell’ambito di mansioni fungibili, ovvero deve riguardare attività che il lavoratore collocato in mobilità sia in grado di svolgere, sebbene ciò non significhi che la nuova assunzione debba essere destinata a ricoprire proprio lo stesso posto di lavoro prima occupato dal lavoratore licenziato.
-
le nuove assunzioni devono avvenire entro l’anno, questo essendo il termine di durata del diritto di prelazione.