Dimissioni del lavoratore
L’art. 2118 c.c. riconosce ad ognuna delle parti, lavoratore e datore di
lavoro, la libera facoltà di recesso, fatto salvo il rispetto di un termine di
preavviso.
Pertanto, il lavoratore può liberamente recedere dal vincolo contrattuale
rassegnando le proprie dimissioni con una unica limitazione cioè il rispetto
del termine di preavviso previsto dal contratto collettivo.
Se il lavoratore rassegna le dimissioni senza comunicare il preavviso dovrà
corrispondere al datore di lavoro un’indennità (c.d. indennità sostitutiva
del preavviso) pari ad una somma equivalente all’importo della
retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.
Se le dimissioni sono state rassegnate con effetto immediato, ma per giusta
causa, l’indennità predetta deve essere corrisposta dal datore di
lavoro al dipendente dimissionario.
La giusta causa di dimissioni è ravvisabile quando si verifichino fatti di
oggettiva gravità che incidono irreparabilmente sul vincolo fiduciario tra le
parti e tali da rendere impossibile la continuazione del rapporto neppure in
via provvisoria ( es. il ripetuto mancato pagamento di retribuzione dovuta al
dipendente).
Le dimissioni, comunicate per iscritto solo se lo prevede il contratto
collettivo, producono effetto nel momento in cui vengano a conoscenza del
datore di lavoro, indipendentemente dalla accettazione e, una volta comunicate,
sono irrevocabili, a meno che la loro revoca pervenga al datore di lavoro prima
delle dimissioni medesime.
Le dimissioni sono soggette alle norme in materia di annullabilità per vizi del
consenso, pertanto, il lavoratore che le ha rassegnate, può chiederne
l’annullamento se ritiene di non aver deciso liberamente.
A titolo di esempio, le dimissioni possono essere annullate per violenza morale
quando il lavoratore si sia dimesso perché indotto a ciò per essere stato
spesso minacciato di licenziamento illegittimo oppure per incapacità naturale
se si sia trovato una privo delle facoltà intellettive e volitive che gli
abbiano impedito una seria valutazione dell’atto che stava per compiere a causa
di una sindrome ansiosa.
Il datore di lavoro che offra un incentivo economico ai dipendenti che decidano
di rassegnare le entro un certo termine pone in essere un comportamento lecito.
Nel rapporto di lavoro a termine il lavoratore non è libero di recedere, a meno
che non vi sia una giusta causa. In tal caso può ottenere un risarcimento del
danno subito per aver dovuto rassegnare le proprie decisioni: tale risarcimento
è quantificato dalla giurisprudenza in una somma pari a ciò che il lavoratore
avrebbe percepito fino alla scadenza del contratto se non fosse stato costretto
a dimettersi.
Dimissioni per matrimonio: L’art. 1 della legge n. 7/1963
dispone che sono nulle le dimissioni rassegnate dalla lavoratrice dal giorno
della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio ad un anno dopo la sua
celebrazione.
Ove si accerti la nullità delle dimissioni la lavoratrice ha diritto di
ottenere la corresponsione della retribuzione globale di fatto fino al giorno
della riassunzione.
Dimissioni in caso di maternità: L’art. 55 D. Lgs. n. 151/2001
stabilisce che la richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice, durante
il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore che abbia
usufruito del congedo di paternità, durante il primo anno di vita del bambino o
nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, deve essere
convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per
territorio. A detta convalida è condizionata la risoluzione del rapporto di
lavoro
Inoltre, dipendente dimissionario è peraltro esonerato dal rispetto del termine
di preavviso e beneficia del medesimo trattamento economico previsto per il
caso di licenziamento, ivi compreso il pagamento dell’indennità sostitutiva del
preavviso.