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Legge 20 maggio 1970, n. 300

Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento.
Pubblicata nella Gazz. Uff. 27 maggio 1970, n. 131.

(giurisprudenza di legittimità)
Art. 7. Sanzioni disciplinari.

Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano (2/a).
Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito a sua difesa (2/a) (2/cost).
Il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato (2/a) (2/cost).
Fermo restando quanto disposto dalla legge 15 luglio 1966, n. 604 (2/b), non possono essere disposte sanzioni disciplinari che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro; inoltre la multa non può essere disposta per un importo superiore a quattro ore della retribuzione base e la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per più di dieci giorni.
In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa. Salvo analoghe procedure previste dai contratti collettivi di lavoro e ferma restando la facoltà di adire l'autorità giudiziaria, il lavoratore al quale sia stata applicata una sanzione disciplinare può promuovere, nei venti giorni successivi, anche per mezzo dell'associazione alla quale sia iscritto ovvero conferisca mandato, la costituzione, tramite l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, di un collegio di conciliazione ed arbitrato, composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dal direttore dell'ufficio del lavoro. La sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte del collegio.
Qualora il datore di lavoro non provveda, entro dieci giorni dall'invito rivoltogli dall'ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresentante in seno al collegio di cui al comma precedente, la sanzione disciplinare non ha effetto. Se il datore di lavoro adisce l'autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione del giudizio.
Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione.

(2/a) Con sentenza 29-30 novembre 1982, n. 204 (Gazz. Uff. 9 dicembre 1982, n. 338), la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 7, commi primo, secondo e terzo, interpretati nel senso che siano inapplicabili ai licenziamenti disciplinari, per i quali detti commi non siano espressamente richiamati dalla normativa legislativa, collettiva o validamente posta dal datore di lavoro.
(2/a) Con sentenza 29-30 novembre 1982, n. 204 (Gazz. Uff. 9 dicembre 1982, n. 338), la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 7, commi primo, secondo e terzo, interpretati nel senso che siano inapplicabili ai licenziamenti disciplinari, per i quali detti commi non siano espressamente richiamati dalla normativa legislativa, collettiva o validamente posta dal datore di lavoro.
(2/cost) La Corte costituzionale con sentenza 18-26 maggio 1995, n. 193 (Gazz. Uff. 31 maggio 1995, n. 23, serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 7, secondo e terzo comma, e 35, sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
(2/a) Con sentenza 29-30 novembre 1982, n. 204 (Gazz. Uff. 9 dicembre 1982, n. 338), la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 7, commi primo, secondo e terzo, interpretati nel senso che siano inapplicabili ai licenziamenti disciplinari, per i quali detti commi non siano espressamente richiamati dalla normativa legislativa, collettiva o validamente posta dal datore di lavoro.
(2/cost) La Corte costituzionale con sentenza 18-26 maggio 1995, n. 193 (Gazz. Uff. 31 maggio 1995, n. 23, serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 7, secondo e terzo comma, e 35, sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
(2/b) Riportata al n. L/III. La stessa Corte, con sentenza 18-25 luglio 1989, n. 427 (Gazz. Uff. 2 agosto 1989, n. 31, Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 7, commi secondo e terzo, nella parte in cui è esclusa la loro applicabilità al licenziamento per motivi disciplinari irrogato da imprenditore che abbia meno di sedici dipendenti.


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