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Indennità di fine rapporto.

L'art. 12 "bis" della legge n. 898 del 1970 prevede che il coniuge titolare dell'assegno divorzile, che non sia passato a nuove nozze, ha diritto ad una quota della indennità di fine rapporto dell'altro coniuge, anche quando tale indennità sia maturata prima della sentenza di divorzio. Esso va interpretato nel senso che, il diritto alla quota sorge soltanto se il trattamento spettante all'altro coniuge sia maturato successivamente alla proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio, e quindi anche prima della sentenza di divorzio, e non anche se esso sia maturato e sia stato percepito in data anteriore, come in pendenza del giudizio di separazione, potendo in tal caso la riscossione della indennità incidere solo sulla situazione economica del coniuge tenuto a corrispondere l'assegno ovvero legittimare una modifica delle condizioni di separazione.

Sez. I, sent. n. 19046 del 29-09-20

Cassazione Civile Sent. n. 19046 del 29-09-2005

Svolgimento del processo

Con sentenza del 27 gennaio - 1 marzo 1999 il Tribunale di Roma pronunciava la separazione personale dei coniugi (omissis) e (omissis) respingendo le reciproche domande di addebito, assegnava la casa coniugale al marito e disponeva che ciascuno dei coniugi provvedesse al proprio mantenimento. Proposto appello dalla (omissis) ed appello incidentale dal (omissis) con sentenza del 15 - 31 ottobre 2001 la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma, revocava l'assegnazione al marito della casa coniugale.

Osservava in motivazione la Corte territoriale, per quanto in questa sede rileva, che le domande di addebito proposte da entrambe le parti erano state correttamente disattese dal primo giudice, riferendosi le reciproche accuse di adulterio e di violazione in generale dei doveri derivanti dal matrimonio a fatti lontani nel tempo e per lo più superati da riconciliazioni e periodi di normale convivenza, e comunque non avendo le stesse parti provato che i vari episodi dedotti avessero rivestito efficacia causale nel fallimento del matrimonio. Quanto all'assegno di mantenimento, osservava che le condizioni economiche della donna, che viveva in casa di proprietà ed era titolare di un reddito di quasi L. 3.000.000 mensili, inducevano ad escludere la sussistenza dei requisiti per la concessione del contributo. Riteneva infine destituita di fondamento la pretesa relativa alla quota della indennità di fine rapporto percepita dal (omissis) presupponendo il relativo diritto la qualità di coniuge divorziato e la titolarità di un assegno divorzile.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la (omissis) deducendo quattro motivi illustrati con memoria.

Il (omissis) ha resistito con controricorso ed ha proposto a sua volta ricorso incidentale condizionato affidato ad un unico motivo.

Motivi della decisione

Va innanzi tutto disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, ai sensi dell'art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo del ricorso principale, denunciando violazione dell' art. 342 c.p.c. e vizio di motivazione, si deduce che l'appello incidentale del (omissis) diretto a censurare la sentenza del Tribunale per aver escluso che la separazione fosse addebitabile alla moglie, avrebbe dovuto ritenersi inammissibile, in quanto privo dell' esposizione, sommaria dei fatti e del requisito della specificità dei motivi.

Il motivo è inammissibile per carenza di interesse, stante il difetto di soccombenza della (omissis) sul punto. Un interesse all'esame di tale censura potrebbe ravvisarsi soltanto ove dovesse esaminarsi il ricorso incidentale condizionato del (omissis) diretto ancora a denunziare il mancato addebito della separazione alla moglie, ma F assorbimento di tale ricorso, in ragione del rigetto - sulla base delle osservazioni di seguito svolte - del secondo motivo del ricorso principale esclude definitivamente un interesse della (omissis) all'esame della doglianza. Con il secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell' art. 151 c.c., vizio di motivazione, la (omissis) sostiene che la motivazione adottata nel respingere la censura relativa al mancato addebito della separazione al marito è carente e contraddittoria:

osserva al riguardo che la ravvisata mancanza di specificità e concludenza della maggior parte dei capitoli di prova non giustificava la non ammissione di quelli ritenuti specifici e concludenti; che si è erroneamente affermato che la prova della intollerabilità della convivenza non era stata neppure dedotta; che si è omesso ogni riferimento agli episodi più vicini nel tempo, i quali avevano determinato l'insorgere della malattia della ricorrente, la fine della convivenza e quindi il fallimento del matrimonio. Il motivo è infondato.

Ed invero la Corte di Appello con motivazione congrua e logica, e quindi incensurabile in questa sede, ha rilevato che le accuse reciproche di adulterio e più in generale di violazione degli obblighi derivanti dal matrimonio si riferivano a fatti risalenti nel tempo, superati da riconciliazioni e periodi di ripresa della convivenza, e quindi privi della necessaria rilevanza causale in ordine al verificarsi della crisi coniugale. Dal complesso delle argomentazioni svolte si evince chiaramente il convincimento della Corte di merito che le emergenze processuali già fornivano la prova della non imputabilità della separazione all'uno o all'altro coniuge, profilandosi i comportamenti lamentati non come causa, ma piuttosto come effetto del fallimento dell' unione, che andava in realtà riportato alle differenze caratteriali ed alle diverse aspirazioni di vita delle parti, così da apparire superflua ogni ulteriore attività istruttoria. Con il terzo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 156 c.c., vizio di motivazione, si censura la sentenza impugnata per aver negato l'assegno di mantenimento: si osserva al riguardo che è stato omesso ogni raffronto tra le condizioni economiche della ricorrente e quelle del coniuge, il quale gode di un reddito notevolmente superiore e dispone della casa coniugale; si è dato erroneamente risalto alla proprietà della casa di abitazione della (omissis) peraltro acquistata ricorrendo a prestiti e beneficiando del sostegno economico della famiglia di origine; si è considerato il reddito mensile dell' esponente nella sua oggettività, e non in relazione al parametro di riferimento del tenore di vita precedente ed in comparazione con i redditi del coniuge; si è attribuito rilievo alla circostanza che la medesima è stata in grado in passato di provvedere autonomamente alle proprie necessità senza tener conto che il tenore di vita da assumere a riferimento era quello consentito dalla somma delle potenzialità economiche dei coniugi; si è mancato di valutare il cespite patrimoniale del (omissis) costituito dal percepito trattamento di fine rapporto.

Tale motivo deve essere accolto. Come è noto, condizioni per il sorgere del diritto al mantenimento in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione sono la non titolarità di adeguati redditi propri, ossia di redditi che consentano al richiedente di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, e la sussistenza di una disparità economica tra le parti (v., tra le tante, Cass. 2004 n. 23378; 2004 n. 20638; 2002 n. 4800; 2001 n. 12136; 2001 n. 3291; 1998 n. 3490; 1997 n. 7630; 1997 n. 5762; 1996 n. 5916; 1995 n. 4720; 1995 n. 2223).

Si è in particolare precisato nella giurisprudenza di legittimità che il parametro di riferimento, ai fini della vantazione di adeguatezza dei redditi del soggetto che invoca l'assegno, è dato dalle potenzialità economiche complessive dei coniugi durante il matrimonio, quale elemento condizionante la qualità delle esigenze e l'entità delle aspettative del medesimo richiedente, non avendo rilievo il più modesto livello di vita eventualmente subito o tollerato (v. per tutte sul punto Cass. 2004 n. 20638, cit; 2003 n. 13747; 2002 n. 18327; 2002 n. 3974; 1996 n. 10465; 1994 n. 7437).

Tali principi sono stati disattesi dalla Corte di Appello, che nel confermare la non spettanza alla (omissis) dell' assegno di mantenimento si è limitata a prendere in esame le condizioni economiche della medesima senza effettuare alcuna comparazione con il tenore di vita precedente, così sostanzialmente ancorando il giudizio di non spettanza dell' assegno non già al parametro di riferimento del pregresso tenore di vita, ma a quello della disponibilità da parte della richiedente di mezzi sufficienti a far fronte alle ordinarie necessità, e senza svolgere alcun raffronto con le potenzialità economiche dell' altro coniuge.

Con il quarto motivo, denunciando violazione dell'art. 177 comma 1 lett. e) c.c., violazione e falsa applicazione dell' art. 12 bis della legge n. 74 del 1987, omissione di motivazione, si censura la sentenza impugnata per aver rigettato senza alcun supporto motivazionale la domanda di attribuzione della metà della somma percepita dal (omissis) a titolo di indennità di fine rapporto, trattandosi di provento dell'attività separata del coniuge entrato in comunione de residuo dopo lo scioglimento della comunione legale di cui all'atto Pubblico in data 25 novembre 1986. Si deduce che una interpretazione contraria alla inclusione di detta indennità tra i proventi di cui al richiamato art. 177 comma 1 lett. e) ex. ne comporterebbe l'illegittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 3, 29 e 38 Cost..

Si deduce in subordine che avrebbe dovuto applicarsi l'art. 12 bis della legge n. 74 del 1987, non incidendo sull' esistenza del credito la circostanza che la somma sia stata percepita in costanza di matrimonio e non dopo il divorzio, quando il coniuge richiedente non ne abbia comunque beneficiato e tra i coniugi si sia verificato lo scioglimento della comunione. Si solleva in subordine l'eccezione di incostituzionalità del citato art. 12 bis in relazione agli artt. 3, 29 e 38 Cost., nella parte in cui non prevede la spettanza della quota al coniuge separato ove la comunione legale sia sciolta al momento della percezione dell'indennità di fine rapporto. Il motivo è da disattendere, sotto entrambi i profili prospettati. La prima doglianza, diretta a far valere il diritto alla divisione di una somma asseritamente entrata in comunione de residuo successivamente allo scioglimento convenzionale della comunione dei beni tra i coniugi, si sostanzia in una pretesa del tutto nuova rispetto a quella avanzata in primo grado, in quanto comporta il mutamento dei fatti costitutivi del diritto fatto valere: detta domanda, che dalla sentenza impugnata non risulta neppure formulata nell'atto di appello, non è stata ovviamente esaminata dalla Corte di merito e pertanto non può trovare ingresso in questa sede. La proposta questione di costituzionalità dell' art. 177 c.c. deve conseguentemente ritenersi del tutto irrilevante.

Quanto al secondo profilo, va osservato che legittimamente la Corte territoriale ha rigettato la domanda diretta ad ottenere una quota dell'indennità di fine rapporto percepita prima della proposizione della domanda di separazione, per l'assorbente rilievo che l'art. 12 bis della legge n. 898 del 1970, introdotto dal legislatore della riforma del 1987 per fornire un ulteriore riconoscimento al contributo personale ed economico apportato dal coniuge alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune, nell'intento di attribuire maggiore protezione al coniuge economicamente pregiudicato dagli effetti della cessazione del matrimonio (v. Corte Cost. n. 23 del 1991), presuppone la qualità di coniuge divorziato e la titolarità dell'assegno divorale. Va al riguardo ricordato che secondo il consolidato orientamento di questa Suprema Corte il disposto del richiamato art. 12 bis, nella parte in cui attribuisce al coniuge titolare dell' assegno divorzile che non sia passato a nuove nozze il diritto ad una quota della indennità di fine rapporto dell' altro coniuge anche quando tale indennità sia maturata prima della sentenza di divorzio, va interpretato nel senso che il diritto alla quota sorge soltanto se il trattamento spettante all'altro coniuge sia maturato successivamente alla proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio, e quindi anche prima della sentenza di divorzio, e non anche se esso sia maturato e sia stato percepito in data anteriore, come in pendenza del giudizio di separazione, potendo in tal caso la riscossione dell'indennità incidere solo sulla situazione economica del coniuge tenuto a corrispondere l'assegno ovvero legittimare una modifica delle condizioni di separazione (v. Cass. 2004 n. 14459; 2003 n. 19427;2003 n. 19309; 2001 n. 12995; 1999 n. 5553)

Nell'ipotesi in cui l'indennità sia maturata in costanza di matrimonio, la stessa deve ritenersi normalmente utilizzata per i bisogni della famiglia, e nella parte in cui residua al momento della separazione costituisce elemento idoneo a determinare le condizioni economiche del coniuge obbligato e ad incidere sulla quantificazione dell'assegno, mentre se matura in pendenza del giudizio di separazione resta operante il principio di piena disponibilità delle attribuzioni patrimoniali da parte del destinatario, nel rispetto delle norme generali fissate dall'ordinamento, salva la necessità di valutazione di tale attribuzione in sede di assetto economico della separazione. Tale lettura del dato normativo ha superato il vaglio di legittimità costituzionale, avendo la Corte Costituzionale con ordinanza n. 463 del 2002 ritenuto manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell' art. 12 bis, in relazione agli artt. 3, 29, comma 2, e 38, comma 1, Cost., nella parte in cui prevede - secondo l'orientamento giurisprudenziale assunto come diritto vivente - il diritto del coniuge non passato a nuove nozze e titolare di assegno divorzile ad una quota del trattamento di fine rapporto percepito dall'altro coniuge solo qualora detto trattamento sia maturato al momento della proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio o successivamente ad essa, e non anche in caso di maturazione dell'indennità nelle more tra il passaggio in giudicato della sentenza di separazione (o l'emissione del decreto di omologazione della separazione consensuale) e la proposizione della domanda di divorzio,rilevando che lo scioglimento del matrimonio ha caratteristiche ed esigenze di regolamentazione diverse da quelle che informano la disciplina dei rapporti patrimoniali tra coniugi durante la fase della separazione personale.

Sulla base di tale quadro normativo, chiaramente non influenzato dal regime patrimoniale vigente tra i coniugi al momento della percezione dell'indennità di fine rapporto, va ritenuta la manifesta infondatezza della proposta questione di legittimità costituzionale dell' art. 12 bis. Il ricorso incidentale condizionato del (omissis) è assorbito, in quanto dichiaratamente condizionato all'accoglimento del primo e secondo motivo del ricorso principale.

L'istanza della (omissis) di cancellazione di espressioni offensive contenute nel controricorso e ricorso incidentale merita accoglimento limitatamente alle espressioni che seguono, in quanto non giustificate dalle esigenze della dialettica processuale ed ispirate al mero intento di offendere la controparte: dalla parola "avida" del rigo 9 alla parola " prodotto" del rigo 12 e dalla parola "costei" del rigo 15 alla parola "destino" del rigo 16 della pagina 7.

La sentenza impugnata deve essere in conclusione cassata in relazione al motivo accolto e la causa assegnata ad altro giudice, che si designa nella stessa sezione della Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, che dovrà procedere a nuovo esame della domanda di Y attribuzione dell' assegno di separazione, facendo applicazione dei principi di diritto sopra richiamati e tenendo conto, nel valutare le condizioni economiche del (omissis) dei benefici al medesimo derivati dalla percezione della indennità di fine rapporto, e pronuncerà anche sulle spese di questo giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Riunisce i ricorsi; accoglie il terzo motivo del ricorso principale, dichiara inammissibile il primo, rigetta il secondo ed il quarto;

dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato. Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia anche per le spese alla stessa sezione della Corte di Appello di Roma, in diversa composizione.

Ordina la cancellazione delle seguenti espressioni contenute nella pagina 7 del controricorso e ricorso incidentale: dalla parola "avida" del rigo 9 alla parola "prodotto" del rigo 12; dalla parola "costei" del rigo 15 alla parola "destino" del rigo 16.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 11 luglio 2005.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2005