I doveri dei genitori e quelli del figlio. La potestà
genitoriale e le modalità del suo esercizio.Sospensione e decadenza. La tutela.
“Il matrimonio impone ad ambedue i genitori l’obbligo di mantenere, istruire ed
educare la prole tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e
delle aspirazioni dei figli” (art. 147 c.c.) e gli stessi doveri
gravano sui genitori dei figli naturali per espressa disposizione
costituzionale (art. 30) in forza della quale “È dovere e diritto dei genitori
mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio. Nei
casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro
compiti. La legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela
giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia
legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità”.
Il figlio ha, quindi, diritto al mantenimento da parte dei genitori, ma anche a
quell’assistenza morale e a quegli insegnamenti che gli consentono di
sviluppare la sua personalità il più possibile in sintonia con le sue
inclinazioni e aspirazioni.
Il diritto al mantenimento resta fermo anche in favore del figlio maggiorenne
per consentirgli di acquisire la preparazione culturale e sociale che gli
consenta di diventare produttivo e maturo per il suo futuro, a condizione che,
però, il mancato inserimento nel mondo del lavoro non dipenda da sua
negligenza.
In ogni caso, sui genitori graverà, solidalmente, un obbligo alimentare nei
confronti del figlio che versi in stato di bisogno.
Il figlio ha l’obbligo di rispettare i genitori (art. 315 c.c.), di contribuire
al mantenimento della famiglia finché vi vive e, se minore, di convivere con i
genitori.
L’obbligo di contribuzione (in teoria azionabile) deve intendersi sussistente
anche in capo al minore, il quale dovrà corrispondervi in base alle proprie
sostanze e ai propri redditi, ma non in proporzione alle proprie capacità
lavorative per evitare che questi debba essere obbligato a lavorare.
Nell’ambito dell’obbligo del minore di convivere con i genitori esercenti la
potestà può essere ricompreso anche quello di convivere con persone a cui i
genitori l’hanno affidato, purché l’affidamento sia di durata limitata.
La potestà dei genitori può essere definita come quell’insieme
di poteri e doveri che i genitori devono esercitare nell’esclusivo interesse
del minore.
Pur considerando che il minore ha, in seguito alla riforma del diritto di
famiglia, acquistato una maggiore autonomia rispetto al passato, poiché viene
ritenuto capace di formare e esprimere la sua opinione in alcune scelte di vita
(vds., per esempio, nel caso di separazione o divorzio, nella cui procedura –
art. 155sexies c.c. - è ammesso l’ascolto del minore che abbia compiuto i
dodici anni o anche di quello di età inferiore che dimostri di possedere
capacità di discernimento ai fini della valutazione da parte del giudice
dell’opportunità di un dato provvedimento di affidamento condiviso o esclusivo)
ed è chiamato a partecipare alle decisioni familiari; ciononostante l’autorità
dei genitori sui figli trova giustificazione nella circostanza che è necessario
sopperire alle carenze del minore e, soprattutto, è necessario che qualcuno si
occupi della sua istruzione, della sua educazione e di sostenerlo nello
sviluppo armonico della sua personalità fino alla completa autonomia.
La titolarità della potestà spetta ad entrambi i genitori, legittimi o naturali
(che abbiano effettuato il riconoscimento o per effetto della dichiarazione
giudiziale), ma i genitori possono esercitarla disgiuntamente per il compimento
degli atti di ordinaria amministrazione. Per gli atti che eccedono l’ordinaria
amministrazione è, quindi, richiesto l’esercizio congiunto della potestà.
In caso di disaccordo su questioni rilevanti, ciascuno dei genitori può
ricorrere al Tribunale per i Minorenni affinché li concili e indichi la
soluzione più confacente alla situazione di fatto prospettata. Se il contrasto
rimane e i genitori si ostinano a non seguire le indicazioni del giudice
minorile, quest’ultimo, con decreto reclamabile in Corte di Appello,
nell’esclusivo interesse del minore, autorizza il genitore che opina più idoneo
a decidere sulla questione (art. 316 c.c.).
Nel caso in cui sussista un pregiudizio grave e imminente per il figlio sarà il
padre, anche nel caso di contrasto con la madre, a adottare i necessari
provvedimenti urgenti e indifferibili tesi ad evitarlo (art. 316, 4° comma,
c.c.).
I genitori, nell’esercizio della potestà loro spettante, hanno la
rappresentanza dei figli minori, nonché l’obbligo dell’amministrazione dei loro
beni (art. 320 c.c.).
Tale potere rappresentativo è conferito per legge ai genitori congiuntamente o
singolarmente, nei casi in cui l’esercizio della potestà è riservato
esclusivamente ad uno di essi. I genitori si sostituiscono ai figli minori –
data la loro incapacità di agire - nel compimento di tutti gli atti relativi
alla gestione del loro patrimonio.
Per gli atti di ordinaria amministrazione è ammesso l’intervento di ciascun
genitore singolarmente; mentre quelli di straordinaria amministrazione, per i
contratti con i quali si concedono o si acquisiscono diritti personali di
godimento, è necessaria l’azione congiunta di entrambi i genitori, nonché
l’autorizzazione del giudice tutelare per gli atti di maggior importanza, come
la rinuncia o l’accettazione di un’eredità, l’accettazione di una donazione,
l’acquisto di un bene immobile, l’accensione di ipoteche o lo scioglimento di
comunioni.
L'esercizio di un'impresa commerciale intestata al minore non può essere
continuato da parte dei genitori se non con l'autorizzazione del tribunale e su
parere del giudice tutelare.
Gli atti compiuti senza il rispetto della disciplina codicistica possono essere
annullati su domanda dei genitori, del figlio o dei suoi eredi o aventi causa
ai sensi dell’art. 322 c.c. e la relativa azione può essere esercitata da
ciascun genitore separatamente, anche quando abbia ad oggetto un atto di
straordinaria amministrazione.
Nel potere di rappresentanza legale rientra anche quello di cui all’art. 120
c.p. secondo la cui disposizione i minori possono proporre querela per i reati
tramite i propri genitori, anche nel caso in cui abbiano più di quattordici
anni (anche se raggiunta tale età i minori possono querelarsi anche in
proprio).
Ai genitori o a quello che esercita la potestà in via esclusiva spetta,
inoltre, sempre per legge, l’usufrutto sui beni del figlio (art. 324 c.c.), in
forza del quale ai genitori spetta il diritto di godimento dei beni senza
mutamento della destinazione economica.
Si tratta di un diritto indisponibile e intrasmissibile (il che significa che,
nel caso di morte di uno dei genitori, la quota del genitore superstite si
accresce proporzionalmente).
Si applicano, per espresso richiamo, le norme sull’usufrutto “comune”, ma senza
obbligo per i genitori usufruttuari del rendiconto annuale e con destinazione
dei frutti dei beni ai bisogni della famiglia. Questa precipua caratteristica
impedisce che i beni oggetto di usufrutto legale possano essere espropriati per
crediti estranei alle esigenze familiari, sempre che al creditore sia a
conoscenza di questa condizione di estraneità.
Tutti i beni del figlio entrano nell’usufrutto legale, tranne:
-
i beni acquisiti dal figlio con i proventi del proprio lavoro;
-
i beni lasciati o donati al minore per intraprendere una carriera, un’arte, una professione;
-
i beni lasciati o donati al minore con l’indicazione che non entrino a far parte dell’usufrutto (sempre che non rientrino nella quota di legittima destinata al minore);
-
i beni acquistati per eredità, legato o donazione dal figlio, contro la volontà dei genitori.
Causa di estinzione dell’usufrutto legale sono il raggiungimento della maggiore
età da parte del figlio, il suo matrimonio autorizzato dal Tribunale per i
minorenni, ovvero ancora con la morte dei genitori o il perimento dei beni che
ne erano l’oggetto.
La violazione degli obblighi o la condotta pregiudizievole dei genitori verso i
figli sono penalmente (vds. art. 570 c.p.) e civilmente sanzionate con la
previsione di rimedi rivolti ad ottenere l’adempimento delle obbligazioni
ovvero ad impedire un esercizio pregiudizievole della potestà genitoriale.
Contro il mancato adempimento dei doveri di mantenimento ed assistenza del
minore possono essere adottate le normali misure cautelari ed esecutive
previste per l’esecuzione delle obbligazioni: è, altresì, prevista, quale
rimedio specifico, la distrazione dei redditi dell’obbligato (art. 148, 2°
comma, c.c.).
Chiunque vi abbia interesse potrà esperire questo speciale rimedio innanzi al
Presidente del Tribunale, che, sentito il genitore inadempiente e assunte le
necessarie informazioni, potrà emanare decreto con il quale ordinare al terzo
debitore dell’obbligato di corrispondere quanto dovuto direttamente al coniuge
di questi o a chi provvede al mantenimento del minore.
Altro rimedio, che non ha, però, il carattere di sanzione, nel caso di
amministrazione cattiva del patrimonio del minore da parte del genitore
esercente la potestà, è la rimozione dall’amministrazione (art. 334 c.c.), che
– non richiedendo la colpevole inadempienza o la cattiva gestione volontaria
del genitore - può essere attivato anche quando il genitore non possa prendersi
cura, per diverse motivazioni, della gestione.
Il Tribunale per i Minorenni, adito allo scopo di cui all’art. 334 c.c., quando
la cattiva gestione derivi da scelte sbagliate del genitore nei confronti del
quale viene richiesta la rimozione, può decidere di non adottare il
provvedimento di rimozione, ma di stabilire i criteri ai quali il genitore
dovrà attenersi nella gestione del patrimonio del minore. Nei casi più gravi la
predetta autorità giudiziaria potrà disporre, nei casi più gravi, oltre alla
rimozione, la revoca dell’usufrutto legale. Una volta attuata la rimozione, i
poteri d’amministrazione e l’usufrutto legale si concentreranno in capo
all’altro genitore o, in mancanza, in capo ad un curatore speciale allo scopo
nominato.
Qualora i motivi che avevano giustificato la rimozione dall’amministrazione
dell’usufrutto legale, il genitore potrà essere reintegrato
nell’amministrazione e nel godimento dell’usufrutto (art. 335).
Il Tribunale per i Minorenni, poi, ai sensi dell’art. 330, “può
pronunziare la decadenza dalla potestà quando il genitore viola o trascura i
doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del
figlio. In tale caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare
l'allontanamento del figlio dalla residenza familiare ovvero l'allontanamento
del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore” oppure, ai sensi
dell’art. 333, “quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale
da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall'articolo 330, ma appare
comunque pregiudizievole al figlio, …, secondo le circostanze può adottare i
provvedimenti convenienti e può anche disporre l'allontanamento di lui dalla
residenza familiare ovvero l'allontanamento del genitore o convivente che
maltratta o abusa del minore”.
Tali provvedimenti sono rebus sic stantibus, ossia revocabili in
qualsiasi momento, e vengono pronunciati in esito ad un particolare
procedimento di volontaria giurisdizione in camera di consiglio che, come si è
anticipato, si svolge innanzi al Tribunale per i Minorenni e viene instaurato
in seguito alla proposizione di un ricorso avanzato dall’altro genitore, da un
parente o dal PM, con l’assunzione di informazioni e del parere del Pubblico
Ministero e con l’audizione del genitore nei confronti del quale sia stato
richiesto il provvedimento relativo alla potestà (art. 336 c.c.).
A questo proposito si deve precisare che, in attuazione anche delle indicazioni
offerte dalla Corte costituzionale in occasione dell’emanazione dell’ordinanza
n. 1 del 2002 di inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale
proposte, tra l’altro, anche in relazione all’appena richiamato art. 336 c.c.,
il legislatore, con la nuova legge sulle adozioni n. 149 del 2001, ha inserito
un nuovo comma alla norma in questione, stigmatizzando così il principio
secondo il quale anche il minore, contrariamente a quanto accade nei
procedimenti per separazione e divorzio, è parte processuale nelle procedure
che riguardano la potestà genitoria e che, in ragione di ciò, lo stesso ha
diritto alla difesa tecnica.
Tale nuova disposizione, però, allo stato, non è ancora entrata in vigore.
Infine, il genitore può essere reintegrato nella potestà non solo quando sia
terminato il suo comportamento pregiudizievole (e in questo caso potrà
personalmente proporre il relativo ricorso) e la stessa facoltà gli è offerta
nel caso in cui sia scongiurata la possibilità di qualsiasi danno nei confronti
del minore.
Oltre alle ipotesi sanzionatorie, riguardanti anche il caso della decadenza
dalla potestà intesa quale pena accessoria derivante dalla condanna definitiva
per reati particolari o all’ergastolo, la potestà si estingue per
raggiungimento della maggiore età, con la morte di uno dei genitori o del
figlio e con il matrimonio del figlio minorenne.
Infine, se entrambi i genitori sono morti o non possono esercitare la potestà a
causa dell’emanazione di un provvedimento di decadenza o di limitazione della
stessa (artt. 343 ss. c.c.), il giudice tutelare (tempestivamente avvisato
dall’ufficiale di stato civile che riceve la dichiarazione di morte, dal notaio
che procede alla pubblicazione del testamento con l’indicazione del tutore,
dalla cancelleria del Tribunale per i Minorenni in seguito al deposito di
decisione che determini l’apertura della tutela, dai parenti entro il terzo
grado del minore ovvero dal tutore designato) provvede alla nomina di un
tutore, che ha la cura del minore, lo rappresenta in tutti gli atti civili e ne
amministra i beni (art. 357 c.c.)
Al tutore spettano, insomma, gli stessi poteri e analoghe funzioni dei
genitori.
La sua azione è, però, accompagnata da numerosi controlli perché il tutore, non
solo deve impegnarsi formalmente, pronunciando nelle mani del giudice tutelare
giuramento di prestare il proprio ufficio con fedeltà e diligenza (art. 349
c.c.), ma, appena nominato, deve formare l’inventario dei beni del minore e, al
momento della cessazione delle sue funzioni, deve rendere il conto (art. 385
c.c.).
Inoltre, per compiere gli atti di straordinaria amministrazione particolarmente
onerosi, il tutore deve sempre richiedere e ottenere espressa autorizzazione
del Tribunale presso il quale è stata aperta la tutela, previo parere del
giudice tutelare.