L’adozione.
L’istituto dell’adozione nacque con la finalità di offrire a chi non aveva una
propria discendenza la possibilità di tramandare il cognome e il patrimonio,
consentendo all’adottato di mantenere i rapporti con la sua famiglia di
origine.
Questo interesse continuò ad essere tutelato dal nostro ordinamento fino al
1967, ossia fino a quando il nostro legislatore, accanto all’adozione
ordinaria, previde la cosiddetta adozione speciale a favore dei minori di età,
che perseguiva l’intento di recidere i legami del minore di otto anni con la
sua famiglia di origine per ricomprenderlo, in qualità di figlio, nella
famiglia adottiva.
Nonostante l’intento innovativo, l’adozione speciale non raggiunse mai lo scopo
per il quale era stata disciplinata e, perciò, l’istituto, con la legge n. 183
del 1984, subì una notevole e sostanziale modifica, per effetto della quale,
nel nostro ordinamento, sono previste oggi tre forme di adozione: l’adozione
piena o legittimante, quella nei casi particolari e quella delle persone
maggiori di età (l’unica che ricalchi l’originario istituto).
Con la legge n. 149 del 2001 sono state introdotte delle importanti innovazioni
all’impianto della legge n. 183 del 1984: in primo luogo, la modifica – ma non
solo dal punto di vista letterale – della dizione della rubrica della legge che
si intitola, molto significativamente, oggi: “Diritto del minore ad una
famiglia”.
L’adozione in casi particolari e quella dei maggiori di età
rappresentano, oramai, delle ipotesi residuali e di scarsa applicazione
pratica.
L’adozione in casi particolari – che non dà vita alla costituzione di un
rapporto di filiazione legittima che si sostituisce a quello che
originariamente univa il minore con i propri genitori di sangue, ma, piuttosto,
instaura un rapporto di filiazione adottiva che si affianca, aggiungendovisi, a
quello originario – ha come finalità quella di assicurare assistenza morale e
materiale al minore che ne sia sprovvisto o per il quale non vi sia piena
tutela.
È ammessa per ipotesi tassativamente previste dall’art. 44 della legge sulle
adozioni (l. n. 183 del 1984), vale a dire:
-
quando il minore sia orfano e l’adottante sia un parente entro il sesto grado o un estraneo che ha stabilito con il minore un rapporto stabile e duraturo, precedente alla morte dei genitori;
-
quando l’adottante sia coniuge del genitore del minorenne;
-
quando il minore abbia gravi handicap e sia orfano di entrambi i genitori;
-
quando ricorre l’impossibilità dell’affidamento preadottivo.
Si tratta dell’unico caso in cui la legge italiana consente l’adozione anche a
chi non è coniugato, con l’unica limitazione riguardante l’età relativamente
solo al limite minimo di diciott’anni di differenza tra adottante e adottato.
La richiesta di adozione può essere avanzata, altresì, da chi ha già dei figli,
purché sia ritenuto idoneo moralmente e materialmente ad occuparsi del minore.
È richiesto, oltre al consenso dell’adottante (implicito nella richiesta
avanzata al giudice competente) e quello dell’adottato che abbia compiuto i
quattordici anni, quello del coniuge e degli ascendenti dell’adottante. Il
consenso può sempre essere revocato fino al momento dell’emanazione della
sentenza.
Il Tribunale per i Minorenni nel procedimento camerale che si instaura ai fini
dell’adozione in casi speciali verifica l’esistenza dei presupposti, nonché
delle condizioni legislativamente previste e dell’effettiva possibilità di una
positiva convivenza tra adottante e adottato; dopodiché, sentito il Pubblico
Ministero, pronuncia sentenza con cui accoglie o rigetta la richiesta.
Il provvedimento del Tribunale può essere impugnato innanzi alla Sezione per i
Minorenni della Corte di Appello e deve essere trascritto su apposito registro,
nonché annotato sull’atto di nascita dell’adottato.
Con l’adozione in casi particolari, l’adottante assume gli obblighi di
assistenza, mantenimento ed istruzione nei confronti dell’adottato, la
titolarità e l’esercizio della potestà genitoriale su di lui, ma non
l’usufrutto legale sui suoi beni; ha l’obbligo di effettuare l’inventario dei
beni del minori con poteri in tutto e per tutto coincidenti con quelli del
tutore.
L’adottato, invece, conserva diritti e obblighi nei confronti della famiglia
originaria e, contemporaneamente, li acquista verso quell’adottiva. Ha diritto
di successione sia rispetto alla famiglia naturale sia rispetto a
quell’adottiva (mentre l’adottante non diventa suo successibile ed erede);
conserva il cognome originario, ma con l’anteposizione di quello
dell’adottante; pur nella permanenza dei divieti matrimoniali, non ha rapporti
giuridici con i parenti dell’adottante (ma la regola vale anche per l’adottante
che non diventa parente dei parenti dell’adottato).
Lo stato di figlio adottivo può essere revocato giudizialmente per indegnità
dell’adottato (art. 51 della legge sulle adozioni), quando questi abbia
commesso dei gravi delitti nei confronti dell’adottante o della sua famiglia
ovvero può essere revocato per indegnità dell’adottante (art. 52 l. n. 183 del
1984) ovvero su richiesta del Pubblico Ministero quando vi sia violazione degli
obblighi gravanti sugli adottanti.
Anche l’adozione di persone maggiori di età non fa sorgere
alcun rapporto di filiazione legittima,ma una relazione di filiazione adottiva
verso un maggiorenne, richiamando in tutto e per tutto la forma e le finalità
originariamente attribuite all’adozione, avendo la funzione precipua di
consentire a chi non ha propria discendenza legittima o legittimata di
costituirsene una adottiva al fine di trasmettere nome e patrimonio,
costituendo diritti e obblighi soprattutto di natura successoria o
assistenziale nei confronti di chi non è più minorenne.
Essa comporta l’assunzione del cognome dell’adottante davanti a quello
originario dell’adottato, l’acquisto di diritti successori in capo all’adottato
(e non viceversa), l’assunzione del reciproco obbligo degli alimenti e la
conservazione dello status, dei diritti e degli obblighi dell’adottato nei
confronti della famiglia di origine, senza che si instaurino rapporti di
parentela (e viceversa).
L’art. 291 c.c. stabilisce quali requisiti soggettivi per questa forma di
adozione il compimento dei 35 anni di età da parte dell’adottante; la
differenza di almeno diciotto anni tra adottante e adottato, ma l’assoluta
carenza in capo all’adottante,seppur sposato, di discendenza legittima o
legittimata.
Su quest’ultimo presupposto è intervenuta, però, per due volte, la Corte
Costituzionale la quale, con sentenza 20 luglio 2004, n. 245, ha dichiarato
l'illegittimità dell’articolo in discussione nella parte in cui non prevede che
l'adozione di maggiorenni non possa essere pronunciata in presenza di figli
naturali, riconosciuti dall'adottante, minorenni o, se maggiorenni, non
consenzienti, dopo che, con la sentenza del 19 maggio 1988, n. 557, aveva
dichiarato l'incostituzionalità della stessa norma nella parte in cui non
consentiva l'adozione a persone che avessero discendenti legittimi o
legittimati maggiorenni e consenzienti.
La richiesta di adozione deve essere presentata dall’adottante presso il
Tribunale (ordinario e non per i Minorenni) del luogo di residenza del
richiedente. L’autorità giudiziaria deve accertare, oltre alla sussistenza dei
presupposti normativamente previsti, se l’adozione è vantaggiosa per
l’adottando, se l’adottante e l’adottando abbiano prestato il consenso e,
infine, se l’eventuale coniuge dell’adottante e dell’adottando, nonché gli
ascendenti dell’adottando abbiano prestato il loro assenso.
Il consenso all’adozione può essere revocato fino all’emanazione della sentenza
di adozione, mentre la mancanza ingiustificata dell’assenso del coniuge e degli
ascendenti non preclude l’adozione, rimanendo in facoltà degli interessati la
possibilità di ricorrere al Tribunale per la verifica della infondatezza delle
ragioni del diniego.
La sentenza di adozione (art. 313 c.c.) può essere impugnata dal Pubblico
Ministero, dall’adottato o dall’adottante innanzi alla Corte di Appello entro
30 giorni dalla sua comunicazione.
Anche per questa sentenza è prevista la trascrizione nell’apposito registro e
la sua annotazione a margine dell’atto di nascita dell’adottato, anche se tale
momento non ha alcuna importanza ai fini della verificazione degli effetti
della sentenza, i quali retroagiscono alla data in cui il provvedimento
decisorio di adozione è stato emanato.
Anche l’adozione dei maggiori di età, come quella per i casi particolari, a
dimostrazione del fatto che queste figure di adozione non legittimano il figlio
adottivo, ma creano solamente un rapporto sussidiario di parentela tra
adottante e adottato che si affianca a quello che il figlio adottivo continua a
mantenere con la sua famiglia di origine, può essere revocata per indegnità
dell’adottante o dell’adottato (artt. 306 – 307 c.c.) con sentenza del
Tribunale. Gli effetti della revoca si hanno al passaggio in giudicato della
sentenza relativa e, se questo momento si verifica dopo la morte dell’adottante
in conseguenza del comportamento indegno dell’adottato, questi e i suoi
discendenti perdono ogni diritto alla successione.
Accanto a queste ipotesi particolari vi è poi la vera e propria adozione (c.d.
adozione piena) che si viene a creare tra soggetti non legati da
vincoli di sangue, recidendo ogni legame dell’adottato con la sua famiglia di
origine con lo scopo (solidaristico) principale di tutelare i minori
abbandonati, orfani o che non ricevano una sufficiente assistenza dalla propria
famiglia. Ragion per cui non solo, per un verso, non è consentita l’adozione di
un minore che viva all’interno di una famiglia economicamente disagiata, ma,
per l’altro, è ammessa l’adozione anche a chi, nella sussistenza dei requisiti
e delle precauzioni previsti nell’esclusivo interesse del minore, ha già dei
figli.
Il figlio adottato acquista lo status di figlio legittimo, non più
contestabile, dei genitori adottivi, con la conseguente assunzione dei diritti
e dei doveri che a tale situazione giuridica conseguono (art. 27 legge n. 183
del 1984).
Il figlio assume il cognome del padre adottivo (è sanzionata penalmente la
violazione dell’obbligo di riservatezza sussistente in capo all’ufficiale di
stato civile in merito alla divulgazione illegittima delle informazioni
relative all’originario rapporto di filiazione naturale dell’adottato) e solo
dopo aver raggiunto i venticinque anni – o i diciotto quando sussistano gravi e
comprovati motivi inerenti alla sua salute psicofisica – l’adottato può
accedere alle informazioni relative alle sue origini e alla identità dei suoi
genitori naturali, sempre che la madre l’abbia riconosciuto alla nascita e che
anche uno solo dei genitori non abbia manifestato il dissenso ad essere
identificato successivamente all’adozione.
Il figlio perde, come si è detto, tutti i legami con la famiglia biologica.
Permangono solo i divieti matrimoniali.
I presupposti soggettivi richiesti dall’art. 6 della legge 183/84 per gli
adottanti sono:
-
l’essere sposati da almeno tre anni, senza che tra i due coniugi vi sia separazione anche solo di fatto. Il legislatore del 2001, pur non ammettendo che possano diventare genitori adottivi due soggetti conviventi di fatto, tuttavia ha dato valore alla convivenza more uxorio laddove ne ha stabilito la rilevanza, prevedendo che il requisito della stabilità del rapporto possa considerarsi realizzato quando i coniugi abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per almeno tre anni.
-
Entrambi i coniugi devono richiedere l’adozione.
-
I futuri genitori devono essere considerati moralmente e materialmente idonei ad educare ed istruire il minore, senza che ciò significhi, però, che debba essere considerato il reddito quale criterio decisionale e discretivo tra le diverse coppie che hanno richiesto l’adozione
-
Devono avere almeno 18 e non più di 45 anni di differenza di età con l’adottato. Su questo punto ha inciso in particolare la legge n. 149 del 2001, provvedendo, in primo luogo, ad innalzare il limite massimo da 40 a 45 anni, e, in secondo luogo, a prevedere, in capo al Tribunale per i Minorenni, il potere di derogare ai limiti di età (anche a quello minimo) quando sia acclarato che un danno grave e non altrimenti evitabile deriverebbe al minore in caso di mancata adozione.
L’art. 7 della legge sulle adozioni come modificato dalla legge n. 149 del 2001
stabilisce, poi, che l’adottato deve essere un minore che si trovi nella
condizione di stato di abbandono per il quale il Tribunale per i Minorenni
abbia dichiarato lo stato di adottabilità.
Visto il carattere residuale dell’istituto dell’adozione, giurisprudenza e
dottrina hanno chiarito che ricorre l’abbandono del minore, ai fini della legge
sulle adozioni, solo quando lo stesso si trovi in una condizione di assoluta
carenza di assistenza morale e materiale non solo da parte dei genitori, ma
anche dei parenti più vicini a lui che siano tenuti a provvedervi , fatti salvi
i casi in cui, per motivi di forza maggiore, si sia verificato un abbandono
temporaneo (lo stato di abbandono potrà essere ravvisato, pertanto, solo quando
il rapporto di filiazione sia irrimediabilmente e definitivamente compromesso:
cfr. per tutte Cass. Civ., 10 novembre 1999, n. 13837 secondo la quale “La
situazione di abbandono idonea a giustificare la dichiarazione di
adottabilità è determinata da carenze materiali e affettive,
risultanti all’esito di un rigoroso accertamento, di una tale rilevanza da
integrare di per sé una situazione di grave pregiudizio per il minore, non
transeunte e non suscettibile di essere superata nel tempo”).
La dichiarazione di adottabilità (artt. 8 – 21 legge n. 183/84) è
un’autorizzazione, con la quale il Tribunale per i Minorenni, in seguito
all’accertamento dell’effettivo stato di abbandono del minore, avvia il
procedimento di adozione.
Il procedimento può essere attivato anche di ufficio, quando vi sia la denuncia
di chiunque abbia avuto notizia dello stato di abbandono morale e materiale del
minore, mentre sono obbligati alla denuncia i pubblici ufficiali e chiunque
eserciti un pubblico servizio e ne venga a conoscenza proprio per tale
esercizio, gli istituti di assistenza pubblici o privati sui quali vige obbligo
semestrale di riferire al giudice tutelare gli elenchi dei minori che vi si
trovino ricoverati, i genitori che affidino per un periodo superiore a sei mesi
il minore ad un soggetto diverso da un parente entro il quarto grado (il
mancato rispetto di quest’obbligo è motivo di decadenza dalla potestà dei
genitori) e, correlativamente, coloro che, pur non essendo parenti entro il
quarto del minore, lo abbiano avuto in affidamento dai genitori.
In seguito alla ricezione della notizia, il Tribunale minorile esegue, tramite
le forze dell’ordine, i servizi sociali o con qualsiasi altro strumento
ritenuto idoneo allo scopo, accertamenti finalizzati a verificare la condizione
giuridica del minore e le sue condizioni di vita.
Se viene accertato lo stato di abbandono e la circostanza che il minore è privo
di genitori e parenti entro il quarto grado, il Tribunale ne dichiara lo stato
di adottabilità.
Se, invece, vi sono i genitori o i parenti entro il quarto grado, si procede
alla comparizione delle parti, che vengono ascoltate dal giudice al fine di
raggiungere il convincimento sull’idoneità dei genitori o dei parenti ad
occuparsi del minore e scegliere di affidarglielo, eventualmente indicando con
decreto le prescrizioni idonee al mantenimento del minore (art. 12).
Nel caso di mancato adempimento delle prescrizioni del Tribunale o in ogni
altro caso in cui l’affidamento non sia corrispondente all’interesse del
minore, il Tribunale ne dichiara lo stato di adottabilità con sentenza
debitamente motivata emessa in camera di consiglio, sentito il P.M., il tutore,
l’affidatario o il rappresentante dell’istituto dove è ricoverato il minore e
impugnabile in Cassazione.
Lo stato di adottabilità può essere revocato (su richiesta dei genitori, dei
parenti o del P.M. o anche d’ufficio) nel caso in cui i genitori o i parenti
dimostrino di volersi occupare del minore e ciò non gli costituisca
pregiudizio, fino a quando non sia disposto l’affidamento preadottivo.
Inoltre, lo stato di adottabilità può cessare in seguito al raggiungimento
della maggiore età e con l’adozione.
Dopo questa prima fase preliminare, il minore viene affidato (artt. 22 – 24) ad
una coppia ritenuta idonea dal Tribunale per i Minorenni ad adottarlo per un
anno (con possibile proroga di un altro anno) al fine di verificare se il
minore riesca a integrarsi effettivamente nell’ambito della nuova famiglia e se
non sorgano impedimenti all’adozione.
La scelta deve essere compiuta tra le coppie che hanno presentato domanda di
adozione, privilegiando, nel caso di più fratelli da adottare, quelle coppie
che abbiano manifestato la volontà di adottare più figli per evitare delle
dolorose separazioni, secondo i criteri di cui all’art. 6 della legge
sull’adozione. Nel caso in cui il minore abbia superato i dodici anni deve
essere sentito dal giudice e, nel caso in cui, invece, abbia compiuto i
quattordici anni deve prestare il consenso all’affidamento a quella coppia
prescelta dal Tribunale.
L’affidamento preadottivo è deciso con decreto emesso in
camera di consiglio, con l’intervento obbligatorio del Pubblico Ministero. Il
decreto è impugnabile in Corte di Appello entro 10 giorni dalla comunicazione
del provvedimento dal tutore o dal p.m.
A seguito dell’affidamento gli affidatari hanno l’obbligo di provvedere al
mantenimento e all’istruzione del minore e sono soggetti a controllo da parte
del giudice tutelare o dei servizi sociali.
In caso di mancata ottemperanza ai doveri da parte degli affidatari o nel caso
in cui il minore non riesca a inserirsi armonicamente nella famiglia,
l’affidamento potrà essere revocato con decreto motivato emanato in camera di
consiglio su domanda del PM, del tutore o di coloro che sono preposti al
controllo dell’affidamento.
Decorso positivamente il periodo di affidamento, il Tribunale per i Minorenni
può concedere l’adozione ovvero rifiutarla, in mancanza delle condizioni
richieste o del rispetto degli obblighi da parte degli affidatari e
dell’inserimento del minore nella nuova famiglia (artt. 25 – 28 legge
adozioni).
La sussistenza dei presupposti legislativamente previsti in capo ai richiedenti
l’adozione è indispensabile al momento dell’affidamento preadottivo: il venir
meno di alcuni di essi al momento della adozione definitiva non è elemento in
grado di pregiudicarla. Per esempio, nel caso in cui i coniugi si separino nel
corso del procedimento di adozione, subito dopo l’inizio dell’affidamento
preadottivo, si potrà procedere con l’adozione se almeno uno dei coniugi
insista nella sua richiesta e se l’adozione corrisponda all’interesse del
minore a non essere allontanato da un soggetto con il quale si era già creato
un vincolo affettivo rilevante (art. 25 legge adozioni).
Il procedimento è camerale e devono essere ascoltati gli affidatari, tutti gli
incaricati di controllare l’andamento dell’affidamento, il minore
ultradodicenne – mentre rimane obbligatorio,anche in questa fase, acquisire il
consenso del minore che abbia compiuto i quattordici anni.
Il Tribunale per i Minorenni decide con sentenza impugnabile innanzi alla
sezione minorile della Corte di Appello entro trenta giorni dalla comunicazione
da parte del Pubblico Ministero, degli adottanti e del tutore del minore
adottato.
La sentenza che pronuncia l’adozione passata in giudicato deve essere annotata
a margine dell’atto di nascita dell’adottato e non ne è ammessa la revoca
nemmeno per indegnità dei genitori o del figlio.
Infine, consideriamo l’adozione internazionale.
Originariamente introdotto con la legge n. 183 del 1984, quest’istituto è stato
modificato con la legge n. 476 del 1998, che ha riformato interamente la parte
della legge sulle adozioni in cui le adozioni internazionali sono disciplinate.
Queste modifiche così radicali sono anche il frutto della ratifica in Italia
della Convenzione de L’Aja del 29 maggio 1993 sulla protezione dei minori e
sulla cooperazione in materia di adozioni internazionali.
La convenzione in questione – e per quanto ci attiene anche la legge che l’ha
ratificata – ha stabilito il principio di sussidiarietà dell’adozioni
internazionale, avente come scopo fondamentale il miglior interesse del minore
e il rispetto dei suoi diritti fondamentali, in modo da privilegiare le
possibili soluzioni alternative all’adozione internazionale nel Paese di
origine.
Vi vengono poi sanciti il principio di parità con il quale si attua la piena
equiparazione tra genitori naturali e genitori adottivi in punto benefici e
tutela connessa ai diritti dei genitori che lavorino e il principio di libertà
del consenso all’adozione internazionale, nonché la necessità della stabile
collaborazione degli Stati firmatari della Convenzione affinché il
trasferimento del minore dalla sua nazione di origine debba aver luogo solo
laddove le prospettive di adozione si caratterizzino favorevolmente per
l’interesse del minore.
Nel rispetto dei principi fissati con la Convenzione de L’Aja, la legge n. 476
del 1998 ha istituito la Commissione centrale per le adozioni internazionali
con compiti di impulso e coordinamento con le autorità centrali degli altri
Stati e di autorizzazione, nel territorio italiano, per lo svolgimento
dell’attività degli enti autorizzati alla gestione delle pratiche di adozione
per conto delle coppie di aspiranti genitori adottivi.
La legge prevede, infatti, l’obbligo – la cui violazione è sanzionata anche
penalmente - dei genitori adottivi di rivolgersi solo ad enti autorizzati al
fine di evitare la pratica disumana del commercio di minori stranieri.
La Commissione per le adozioni internazionali può comunicare ai genitori
adottivi, in forza di particolare obbligo di segretezza stabilito dal nuovo
testo dell’art. 37 della legge sulle adozioni, solo le informazioni che abbiano
rilevanza per lo stato di salute del bambino, rimanendo, peraltro, ferme le
disposizioni in materia previste dalla stessa normativa in merito all’adozione
di minori italiani.
Il nuovo procedimento per l’adozione internazionale può essere suddiviso in tre
momenti fondamentali quello dell’accertamento dell’idoneità dei genitori
adottivi, quello, che si svolge interamente all’estero, secondo le norme dello
Stato di nazionalità del minore, di adozione del minore e la fase finale nel
corso della quale l’adozione viene resa efficace in Italia.
È quindi prevista quale requisito irrinunciabile per la validità dell’adozione
internazionale, la dichiarazione da parte del Tribunale per i
Minorenni di idoneità dei genitori.
È necessario che i genitori adottivi, una volta accertata la sussistenza della
loro astratta potenzialità genitoriale, nonché – inutile dirlo! – di tutti i
requisiti previsti per l’adozione del minore italiano (età, rapporto di
coniugio stabile, ecc.), si rivolgano, per la gestione della pratica di
adozione internazionale nel Paese che gli stessi hanno scelto quale nazione
dalla quale dovrà provenire il bambino da adottare, a uno degli enti
autorizzati.
Questi enti, secondo il disposto dell’art. 39ter della legge n. 183 del 1984,
come modificato dalla legge n. 476 del 1998, per ottenere l’autorizzazione alla
gestione delle pratiche di adozione internazionale devono possedere le seguenti
caratteristiche: “a) essere diretti e composti da persone con adeguata
formazione e competenza nel campo dell'adozione internazionale, e con idonee
qualità morali; b) avvalersi dell'apporto di professionisti in campo sociale,
giuridico e psicologico, iscritti al relativo albo professionale, che abbiano
la capacità di sostenere i coniugi prima, durante e dopo l'adozione; c)
disporre di un'adeguata struttura organizzativa in almeno una regione o in una
provincia autonoma in Italia e delle necessarie strutture personali per operare
nei Paesi stranieri in cui intendono agire; d) non avere fini di lucro,
assicurare una gestione contabile assolutamente trasparente, anche sui costi
necessari per l'espletamento della procedura, ed una metodologia operativa
corretta e verificabile; e) non avere e non operare pregiudiziali
discriminazioni nei confronti delle persone che aspirano all'adozione, ivi
comprese le discriminazioni di tipo ideologico e religioso; f) impegnarsi a
partecipare ad attività di promozione dei diritti dell'infanzia,
preferibilmente attraverso azioni di cooperazione allo sviluppo, anche in
collaborazione con le organizzazioni non governative, e di attuazione del
principio di sussidiarietà dell'adozione internazionale nei Paesi di
provenienza dei minori; g) avere sede legale nel territorio nazionale”.
Il decreto di idoneità all’adozione internazionale emesso dal Tribunale per i
Minorenni mantiene la sua efficacia per tutto il tempo necessario
all’espletamento del procedimento di adozione nel Paese di origine del minore,
a condizione che, però, la procedura in quello Stato abbia inizio entro un anno
dalla data di emissione del decreto stesso.
Il provvedimento d’adozione diventa efficacia in Italia in seguito al vaglio da
parte del Tribunale per i Minorenni della sussistenza dei requisiti dell’art. 4
della Convenzione de L’Aja, della conformità del provvedimento straniero di
adozione ai principi dell’ordinamento giuridico italiano in materia di diritto
di famiglia e di minori, della dichiarazione di conformità dell’adozione ai
criteri stabiliti nella Convenzione de L’Aja da parte della Commissione
centrale per le adozioni e dell’intervento dell’ente autorizzato iscritto nel
relativo albo nella relativa pratica di adozione.
Se ricorrono tutti questi requisiti, il Tribunale per i Minorenni ordina la
trascrizione della sentenza straniera nei registri dello stato civile.
L’adozione produrrà in Italia gli effetti della cosiddetta adozione
legittimante o piena dei minori italiani e l’adottato acquisterà lo status di
figlio legittimo dei genitori adottivi, dei quali assumerà e trasmetterà il
cognome.
Nel caso in cui il provvedimento straniero non abbia, invece, i requisiti
necessari per essere considerato alla stregua di una sentenza definitiva di
adozione, il Tribunale per i Minorenni lo riconoscerà come decreto di
affidamento preadottivo, il quale, una volta conclusosi positivamente il
periodo dell’anno di inserimento del minore nella nuova famiglia, sfocerà in
una sentenza (stavolta italiana) di adozione.