La filiazione naturale e il riconoscimento del figlio
naturale
Il figlio naturale, per il nostro codice civile, è colui che è nato da genitori
non uniti in matrimonio tra di loro.
In attuazione dell’art. 30 Cost., nel quale sono stati sanciti i diritti e la
tutela dei figli naturali, il legislatore, con la legge di riforma del diritto
di famiglia (n. 151 del 1975), ha stabilito la sostanziale parificazione tra la
filiazione legittima e quella naturale.
Ma tale parificazione non è stata effettuata in maniera generalizzata per tutti
i figli naturali, ma solo per i figli naturali riconosciuti dai genitori:
mentre, invece, quando manchi il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale
di paternità o maternità naturale, la situazione del figlio continua ad essere
deteriore rispetto a quella dei figli legittimi, non potendosi attribuire lo status
di figlio naturale automaticamente per il solo fatto della nascita.
Contrariamente a quanto accade, infatti, per la filiazione legittima per la
quale operano le presunzioni di paternità e di concepimento in costanza di
nozze, non solo per la filiazione naturale non sussiste nessuna presunzione, ma
addirittura anche la semplice dichiarazione della madre può non essere
sufficiente a far sorgere lo stato di figlio naturale in capo al nuovo nato,
poiché la stessa può scegliere di non riconoscere il figlio, di non essere
indicata nell’atto di nascita, né nel certificato di assistenza al parto sulla
base del quale viene redatto l’atto di nascita.
Sostanzialmente identica (tranne alcune eccezioni in materia di successioni ed
eredità, in forza delle quali, per esempio, i figli legittimi hanno la facoltà
di commutare la quota ereditaria dei figli naturali in denaro o in immobili) è,
invece, la disciplina applicata alle due fattispecie.
Per esempio, quando sia riconosciuto contestualmente da entrambi i genitori, il
figlio assume il cognome del padre. Nel caso in cui, al contrario, il
riconoscimento non venga effettuato contestualmente dai genitori, il nato
assumerà il cognome del genitore che l’ha riconosciuto per primo e nel caso sia
stata la madre a compiere il riconoscimento e solo in seguito intervenga
analoga decisione da parte del padre, sarà il figlio che sceglierà quale
cognome usare (fino alla maggiore età, temporaneamente, la scelta è fatta dal
giudice, ma il figlio può sempre modificarla ai sensi dell’art. 262 c.c.).
Uguali sono anche i diritti e i doveri che gravano sui genitori e sui figli in
seguito al riconoscimento o alla sentenza che ne tiene luogo.
Infine, bisogna ricordare che, salve le riserve espressamente previste, il
riconoscimento effettuato da uno solo dei genitori non produce nei confronti
dell’altro che tale atto non abbia compiuto e che, in ogni caso, la parentela
naturale rileva quale impedimento matrimoniale.
Il riconoscimento del figlio naturale (art. 250 c.c.) è l’atto con cui una
persona dichiara d’essere genitore naturale di un dato soggetto, atto dal quale
scaturisce l’effetto di costituire per il figlio lo stato di figlio naturale
riconosciuto.
Per il riconoscimento non è necessario il consenso della persona da
riconoscere, a meno che la stessa non abbia più di 16 anni.
Altra cosa è, invece, il consenso al riconoscimento da parte del genitore che,
per primo, ha compiuto tale atto se il figlio non abbia ancora compiuto i
sedici anni, in quanto l’eventuale rifiuto è sindacabile da parte del Tribunale
(per i Minorenni) nel caso in cui il riconoscimento possa essere considerato
vantaggioso per il minore.
Si tratta di un atto personalissimo che non ammette, perciò, l’intervento di
rappresentanti, nel quale l’intento di riconoscere il figlio deve risultare in
maniera inequivoca, senza limitazione degli effetti che ne possono derivare.
Legittimati – congiuntamente e disgiuntamente - a compiere il riconoscimento
del figlio naturale sono i genitori che abbiano compiuto i sedici anni.
Nel caso in cui uno solo dei genitori abbia riconosciuto il figlio, l’atto di
riconoscimento non può avere effetti nei confronti dell’altro e non può
contenere disposizioni riguardanti l’altro genitore e se tale divieto non è
rispettato le indicazioni non hanno efficacia e, qualora annotate sui registri
di stato civile, si hanno per non apposte.
Non sono riconoscibili i figli incestuosi, a meno che i genitori (anche uno
solo di essi) non fossero in buona fede.
In seguito al riconoscimento, come si è anticipato, si producono effetti
analoghi a quelli derivanti dalla filiazione legittima: per i genitori sorgono
gli obblighi di cui all’art. 147 c.c. (“…di mantenere, istruire ed educare la
prole tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle
aspirazioni dei figli…”); il figlio assume il cognome secondo le regole
più sopra indicate e il genitore acquista la potestà sul minore.
A questo proposito si deve precisare che se il minore non convive con nessuno
dei genitori, la potestà verrà esercitata dal genitore che per primo lo ha
riconosciuto; altrimenti, se madre e padre convivono, da entrambi ed
esclusivamente dal genitore con il quale il figlio convive nel caso in cui il
minore risieda presso il domicilio dello stesso.
Il riconoscimento può essere effettuato, a pena di nullità dell’atto (art. 254
c.c.):
-
con denuncia nell’atto di nascita;
-
con dichiarazione posteriore alla nascita o al concepimento resa ad un ufficiale di stato civile o per atto pubblico ad un notaio;
-
con dichiarazione mediante testamento (anche olografo) con conseguente irrevocabilità della dichiarazione, anche a seguito della revoca del testamento.
Nel caso in cui la domanda di legittimazione sia presentata al giudice o la
dichiarazione di voler riconoscere il figlio naturale sia espressa in atto
pubblico o in testamento, esse comportano comunque riconoscimento anche quando
non intervenga successivamente la legittimazione.
Il riconoscimento può essere impugnato per difetto di veridicità, violenza e
incapacità del genitore.
L’azione per difetto di veridicità, imprescrittibile, può essere esperita dallo
stesso riconosciuto (art. 263 e 264 c.c.) che abbia compiuto i 18 anni o,
quando sia ancora minorenne, ma ultrasedicenne, se il Tribunale per i Minorenni
abbia consentito l’impugnazione tramite un curatore speciale.
Quando non è il figlio ad impugnare il riconoscimento, egli riveste nella
relativa causa il ruolo di soggetto legittimato passivamente e contro di lui,
pertanto, si dovrà proporre impugnazione. Inoltre, chi impugna il
riconoscimento deve provare solo che il soggetto che è stato indicato come
padre, non riveste, nella realtà, tale qualità: non è necessario provare,
invece, chi è il vero padre.
Nel caso in cui il riconoscimento venga impugnato per violenza perpetrata nei
confronti del dichiarante (art. 265 c.c.), sarà solo questi a poter proporre
l’impugnazione entro il termine di decadenza di 1 anno dal momento in cui la
violenza sia cessata o dal raggiungimento della maggiore età, se colui che
aveva effettuato il riconoscimento è un minore ultrasedicenne.
Infine, si può impugnare l’atto di riconoscimento per incapacità di agire del
dichiarante (art. 266 c.c.)
L’incapacità - per espressa previsione normativa che finisce con l’escludere
l’interdetto legale, l’inabilitato e l’incapace di intendere e volere - può
aversi sia nel caso in cui il riconoscimento del figlio sia stato posto in
essere dal genitore che non abbia ancora compiuto i sedici anni (la relativa
azione soggiace, allora, al termine di decadenza di un anno dal compimento
della maggiore età) o nel caso in cui il dichiarante sia interdetto (in questo
caso, l’azione può essere esperita dal tutore o dall’interdetto, quando sia
cessato lo stato di interdizione, entro un anno dalla revoca).
Se le azioni per impugnare l’atto di riconoscimento non si sono ancora
prescritte, possono essere esercitate anche da ascendenti, discendenti ed eredi
dell’autore del riconoscimento che sia morto senza esperirle (art. 267 c.c.).
Quando, infine, il riconoscimento non sia avvenuto o sia stato effettuato da
uno solo dei due genitori naturali, il figlio può esperire l’azione di
dichiarazione giudiziale del rapporto di filiazione, al fine di
far accertare la sussistenza di tale rapporto e di acquisire lo stato di figlio
naturale.
L’azione è ammessa in tutti i casi in cui è effettuabile il riconoscimento e,
fino all’intervento della Corte Costituzione che ha dichiarato illegittimo
costitutizionalmente l’art. 274 c.c. con sentenza del 10 febbraio 2006, n. 50,
era sottoposto ad un preventivo giudizio di ammissibilità da parte del
Tribunale.
Secondo gli artt. 270 – 273 e 276, legittimati attivamente sono il figlio (in
ogni tempo), i suoi eredi entro due anni dalla sua morte o, sempre in nome del
figlio, il genitore che esercita la potestà sul minore (e che, quindi, ha già
riconosciuto il nato), nonché il tutore - in questi casi, però, è richiesto il
consenso del minore ultrasedicenne -, mentre convenuto è il presunto genitore
o, in sua mancanza, i suoi eredi.
Il rapporto di filiazione può essere provato con ogni mezzo, e così, mentre
quando si deve provare la maternità è sufficiente che si dimostri che colui che
esercita l’azione è anche colui che è nato dalla donna che si assume essere la
madre, per la dichiarazione giudiziale di paternità, la prova è più complessa,
non essendo sufficienti nemmeno le dichiarazioni della madre e la prova della
sussistenza di una relazione sentimentale tra la madre e il presunto padre al
tempo del concepimento.
Prove come quelle genetiche, ematologiche e somatiche – ferma restando la
possibilità di valutare anche il rifiuto di sottoporsi all’esame ematologico
quale comportamento rilevante ai sensi dell’art. 116, 2° comma, c.p.c. -,
insieme con altri elementi, come l’eventuale stabile convivenza tra madre e
presunto padre al tempo del concepimento, costituiscono presunzioni che devono
essere attentamente valutate dal giudice, il quale potrà dichiarare
giudizialmente la sussistenza del rapporto di filiazione naturale solo in forza
di presunzioni gravi, precise e concordanti.
La sentenza avrà gli effetti del riconoscimento, stabilendo lo status di
figlio naturale del nato e tutti i doveri, i diritti e gli obblighi, personali
e patrimoniali, derivanti da tale qualità (art. 277 c.c.).
L’unica eccezione (art. 251 c.c.) alla possibilità del riconoscimento dello
stato di figlio naturale, confermata anche con la riforma del 1975 del diritto
di famiglia, riguarda solo ed esclusivamente i figli incestuosi.
Sono considerati tali i figli nati dall’unione tra parenti (anche naturali) in
linea retta all’infinito e in linea collaterale fino al secondo grado (fratelli
e sorelle), nonché da affini in linea retta (suocera e genero, suocero e
nuora).
Il riconoscimento – previa autorizzazione del giudice (quello minorile nel caso
in cui il figlio da riconoscere sia minore) che tenga conto dell’interesse del
figlio e della necessità di evitare che tale atto possa in qualche modo
recargli pregiudizio - è consentito in alcune sole ipotesi, ossia quando i
genitori ignoravano l’esistenza di un legame di parentela o di affinità tra
loro (se uno solo dei genitori era in buona fede, solo questi potrà procedere
al riconoscimento), oppure nel caso in cui il matrimonio da cui derivava
l’affinità sia stato dichiarato nullo.
Il divieto di riconoscimento non pregiudica gli effetti patrimoniali della
filiazione incestuosa, potendo il figlio, previa autorizzazione del giudice ex
art. 274 c.c., o, per suo conto, un procuratore speciale, agire per ottenere il
diritto di mantenimento, all’istruzione e all’educazione, se minorenne (e si
rivolgerà, come sempre al Tribunale per i Minorenni), ovvero, se maggiorenne e
in stato di bisogno, agli alimenti (art. 279 c.c.).
L’azione di riconoscimento e il conseguente giudizio, pur comportando un
accertamento del legame di filiazione, non consentono l’acquisizione dello status
di figlio, bensì solo l’affermazione del diritto al mantenimento e
all’attribuzione di un assegno vitalizio (a titolo di legato ex lege)
alla morte dei genitori per un ammontare pari a quello della quota che gli
sarebbe spettata se fosse avvenuto il riconoscimento.