L’imputabilità dei minorenni.
Nel nostro ordinamento la minore età è considerata causa di non imputabilità,
con graduazione a seconda, però, che il minore agente del reato abbia compiuto
o meno i quattordici anni (art. 97 e art. 98 c.p.).
Infatti, nel primo caso, per il minore infraquattrordicenne, l’esclusione
dell’imputabilità è piena e assoluta e se, pertanto, l’autore del fatto
criminoso è un ragazzo che non abbia ancora compiuto il quattordicesimo anno di
età, egli non potrà essere giudicato e punito.
Diversa è la questione se il minore abbia un’età compresa tra i 14 e i 18 anni.
Egli sarà considerato giudicabile, ma il procedimento penale non avrà corso
innanzi all’autorità giudiziaria ordinaria, ma innanzi al giudice naturale per
le questioni minorili: il Tribunale per i Minorenni.
L’art. 98 c.p., in effetti, espressamente stabilisce che “è imputabile chi, nel
momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i quattordici anni, ma non
ancora i diciotto, se aveva la capacità di intendere e di volere; ma la pena è
diminuita”.
Tale situazione è frutto della fondamentale impostazione del nostro sistema
penalistico, in forza della quale per essere considerati punibili con riguardo
alla commissione di un dato fatto – reato, è necessario essere capaci di
intendere e volere, ossia capaci di comprendere e volere, autodeterminandovisi,
il mantenimento di una data condotta avente rilevanza penale.
Il minore che abbia compiuto i quattordici anni, conseguentemente, potrà essere
sottoposto a procedimento penale, ma a condizione che si sia correttamente
rappresentato e abbia coscientemente voluto il comportamento penalmente
rilevante per il quale subisce il giudicato.
Sul Tribunale per i Minorenni distrettuale (uno per ogni sede di corte di
appello) competente per territorio, pertanto, graverà l’onere di accertare caso
per caso, se il minore sia imputabile sia sotto il profilo del raggiungimento
dei quattordici anni sia sotto quello di maggior rilevanza della sussistenza in
capo al giovane imputato della capacità di intendere e volere, intendendosi,
questo concetto, come coincidente con quello molto più ampio di maturità, di
raggiungimento da parte del minore di un sufficiente grado di sviluppo morale e
intellettivo.
Bisogna ricordare, a questo proposito, che, in considerazione dell’estrema
delicatezza del passaggio alla maggiore età e, quindi, alla presunzione di
maturità e di imputabilità, il legislatore ha esteso il principio di specialità
del processo minorile anche dopo il compimento dei 18 anni e cioè fino al 21°
anno di età e per tale motivo si considera ancora minorenne, in base al
principio del tempus commissi delicti, colui che, avendo commesso il
reato da minore, in corso di causa, nella pendenza del procedimento penale
relativo, abbia raggiunto la maggiore età.