Interessi ultralegali e clausole uso piazza
Gli interessi ultralegali sono interessi pattuiti in misura maggiore da quella
legale. Le parti di un rapporto bancario possono per legge pattuire interessi,
corrispettivi, superiori a quelli legali. Esistono però due importanti
limitazioni a questa possibilità.
Interessi ultralegali senza pattuizione scritta
La prima è dettata dall’art. 1815 c.c., che sancisce
la nullità degli interessi superiori al
tasso di usura e di cui si rimanda al relativo paragrafo di questa
guida, e l’altra dall’art. 1284 terzo comma che
stabilisce la necessità che detti interessi ultra legali siano pattuiti in
forma scritta e che in mancanza si applica l’interesse nella misura legale. Si
tratta di una forma ad substantiam (ovvero prevista a pena di nullità). La
giurisprudenza ha in parte attenuato il rigore di questa disposizione statuendo
che se una parte paga spontaneamente interessi ultralegali, anche se pattuiti
(in base a clausola nulla) non ha diritto di ripeterli. Per arrivare a tale
conclusione la giurisprudenza ha parificato il pagamento all’adempimento di
un’obbligazione naturale (Cass. 25/1/2000, n. 819). Inoltre, sempre attenuando
il rigore della norma, la Giurisprudenza della Cassazione non ha considerato le
clausole di interessi in misura ultra legale come clausole vessatorie(Cass.
25/08/92, n. 9839 e Cass. 3/4/1991, n. 3475.). Quindi il Cliente di una Banca
che si accorge che la Banca gli sta applicando interessi ultralegali può
rivolgersi a 101professionisti.it perchè esamini il contratto per verificare
che la pattuizione sia o meno corretta. Nel primo caso il Cliente potrà
legittimamente rifiutarsi di pagare tali interessi, in quanto sarà solo
debitore degli interessi in misura legale.
Il Cliente deve subito rivolgersi ad un consulente perché una volta pagati
gli interessi ultralegali non potrà più richiederli indietro, anche se sono
stati calcolati illegittimamente.
A tale proposito, però, va detto che ci sono state sentenze difformi dalla
Cassazione sopra citata che non hanno ritenuto il pagamento di interessi
ultralegali come obbligazioni naturali (Corte d’Appello di Lecce n. 528 del
22/10/2001).
Interessi ultralegali che fanno riferimento a documenti esterni al contratto
Una delle problematiche più dibattute in dottrina e giurisprudenza è quella
relativa alla validità di clausole che stabiliscono interessi ultra legali
rinviando ad altri documenti e/o elementi esterni al contratto per la loro
determinazione. La più comune era quella che rinviava per la determinazione del
tasso d’interesse, alle condizioni usualmente praticate dagli Istituti di
credito sulla piazza (c.d. clausole interessi uso piazza). La prima
giurisprudenza di legittimità ammetteva la validità di tali clausole, anche se
alcuni Tribunali di merito ne sancivano la nullità. La legittimità della
clausola veniva giustificata sulla base dell’art. 1825 c.c., che regola i
contratti di conto corrente e stabilisce che “sulla rimessa decorrono interessi
nella misura stabilita dal contratto o dagli usi o in mancanza quella legale”.
Successivamente è intervenuta una modifica legislativa a seguito della quale è
mutato anche l’orientamento della Cassazione. L’art. 117 del T.U. in materia
bancaria (D.Lgs n. 385 del 1993) confermando
quanto già stabilito dalla legge n. 154 del 1992 ha disposto l’obbligatorietà
dell’indicazione nei contratti bancari dell’interesse e delle altre condizioni
praticate, sancendo la nullità delle clausole contrattuali di rinvio agli usi e
prevedendo, per l’inosservanza della norma, un meccanismo di integrazione
contrattuale, che mira a sanzionare la condotta scorretta degli istituti. La
giurisprudenza, quindi, sulla scorta del nuovo dettato normativo, ha sancito
che le clausole di rinvio ad elementi estrinseci del contratto sono valide solo
se ancorate a parametri oggettivi e determinabili, sancendo la nullità del
rinvio agli usi piazza degli istituti, quando gli stessi non siano
oggettivamente determinabili (cosa che avviene inevitabilmente, considerato
che, altrimenti, tale cartello sarebbe in contrasto con la normativa antitrust)
(Cass. 18/5/1996 n. 4605, Cass. 29/11/1996, n. 10657, Trib. Milano 5/8/2003 e
App. Lecce 22/10/2001). Qualora il Cliente leggendo il contratto di mutuo o di
conto corrente si renda conto che gli interessi sono convenuti facendo
riferimento a documenti esterni al contratto, può rivolgersi a
101professionisti.it perché verifichi l’eventuale nullità di tali pattuizioni.
In tal caso si potrà agire in giudizio per far dichiarare l’insussistenza del
credito vantato dalla banca o si potrà fare opposizione a decreto ingiuntivo,
deducendo l’illegittimità del rinvio a tali documenti esterni.
Il c.d. jus variandi nei rapporti bancari
Sempre sulla base della disposizione dell’art. 1284 c.c.
la giurisprudenza ha sancito la nullità delle clausole che permettono di
variare a totale discrezione della banca gli interessi o le altre condizioni
contrattuali (Cass. 18/6/1992 n. 7547). Tuttavia anche su questo delicato punto
controverso è intervenuto il legislatore con due successive disposizioni. La
prima è l’art. 118 del D. Lgs. 385 del 1993 che
prevede la possibilità eccezionale per gli istituti di credito di modificare i
tassi, i prezzi e le altre condizioni contrattuali, in senso sfavorevole,
sussistendo determinate condizioni e prevedendo la possibilità per il cliente
di recedere senza penalità e con l’applicazione delle condizioni preesistenti.
Dispone l’art. 118 che “se nei contratti di durata è convenuta la facoltà di
modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni, le
variazioni sfavorevoli sono comunicate al cliente nei modi e nei termini
stabiliti dal CICR. Le variazioni contrattuali per le quali non sono state
osservate le prescrizioni del presente articolo sono inefficaci. Entro 15
giorni dal ricevimento della comunicazione scritta, ovvero dall’effettuazione
di altre forme di comunicazione attuate ai sensi del comma 1, il cliente ha
diritto di recedere dal contratto senza penalità e di ottenere, in sede di
liquidazione del rapporto, l’applicazione delle condizioni precedentemente
applicate”.
Successivamente l’art. 1469 bis introdotto dalla
L. 6/2/1996, n. 52, norma successiva e prevalente su quella precedentemente
esaminata, statuisce che qualora il contratto abbia per oggetto la prestazione
di servizi finanziari “il professionista può modificare, senza preavviso, sempre
che ci sia giustificato motivo, in deroga ai numeri 12 e 13 dello terzo comma,
il tasso di interesse o l’importo di qualunque altro onere relativo alla
prestazione finanziaria originariamente convenuti, dandone immediata
comunicazione al consumatore che ha diritto di recedere dal contratto”.
Il Cliente, quindi, deve sempre leggere in modo accurato gli estratti conto
della banca, con particolare riferimento alle disposizioni riassuntive che sono
riportate in calce, e qualora si renda conto che il contratto è stato
modificato in senso peggiorativo, può recarsi allo sportello per rinegoziare il
suo contratto o recedere pretendendo che la liquidazione sia effettuata alle
condizioni precedentemente in vigore. Qualora si senta impreparato per questo
può contattare 101professionisti per una consulenza sull’estratto conto e per
l’assistenza nelle negoziazioni con la banca. Si è rivolta allo nostro staff di
avvocati una signora correntista di una banca, la quale aveva esercitato il
diritto di recesso a seguito dell’avvenuta modifica in senso peggiorativo delle
condizioni contrattuali, effettuata dalla banca. Quest’ultima aveva addebitato
alla cliente una voce per spese, non corrispondenti a servizi effettivamente
prestati. Andando in causa gli avvocati di 101 hanno sostenuto che una tale
clausola doveva considerarsi vessatoria e contraria alla normativa di diritto
bancario, in particolare agli artt. 117 e 118 del D. Lgs
1993 n. 385 e all’art. 1469 bis del c.c...
Infatti ai sensi dell’art. 117 la banca può variare unilateralmente le
condizioni contrattuali, ma deve permettere al consumatore la possibilità di
recedere entro 15 giorni alle condizioni precedentemente praticate. L’art. 1469
bis aggiunge che il professionista (in questo caso la banca) oltre al diritto
di recesso da riconoscere al consumatore, può modificare le condizioni
contrattuali solo se ricorre un giustificato motivo. Infine ai sensi dell’art.
118 T.U.B. il recesso del consumatore (cliente della banca) non può
essere sottoposto ad alcuna penale. Il Tribunale applicando le norme sopra
citate ha dato ragione alla signora, in quanto ha ritenuto che la clausola, che
prevedeva l’obbligo del cliente di corrispondere una somma di denaro a titolo
di commissione richiesta estinzione conto, fosse vessatoria perché limitativa
del diritto di recesso e contraria all’art. 118 T.U.B.
perché di fatto costituiva una caparra penitenziale idonea a sanzionare il
recesso.