I contratti bancari
I contratti bancari sono quei contratti con i quali la banca provvede a
procurarsi denaro, o ad impiegarlo, ovvero a fornire servizi accessori al
pubblico.
La ricordata definizione si ricava innanzitutto tenendo conto della disciplina
specifica contenuta nel codice civile e in secondo luogo aderendo a quella che
è oggi la dottrina prevalente che individua il carattere unitario dei contratti
bancari in un elemento soggettivo e precisamente nel fatto che essi sono posti
in essere da una banca nell’esercizio della sua attività di impresa.
L’introduzione di una disciplina organica e compiuta dei contratti bancari
avviene per la prima volta con l’entrata in vigore del codice civile del 1942
che, agli artt.1834-1860, ne regolamenta, come noto, i principali tipi.
Va, invero, precisato che la qualificazione dei contratti bancari non può più
ai nostri tempi limitarsi alle tipiche operazioni descritte agli artt.1834 e
ss. cod. civ..
Infatti, l’entrata in vigore del Testo unico bancario (D.lgs.385/1993) ha
consentito alle banche non solo la tradizionale attività di intermediazione
nella circolazione del denaro consistente nella raccolta del risparmio tra il
pubblico e nella erogazione del credito (apertura di credito, anticipazione
bancaria, sconto), ma anche lo svolgimento di qualsiasi altra attività
finanziaria.
Sono, inoltre, consentite le attività connesse o strumentali a quella
finanziaria.
Ed ancora.
Con l’entrata in vigore del D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 le banche possono
anche svolgere servizi di investimento nei confronti del pubblico, cioè possono
svolgere tutte quelle attività di negoziazione, collocamento, gestione e
mediazione aventi ad oggetto strumenti finanziari.
Ne discende che la nozione di contratto bancario va considerata più ampia di
quella desumibile dalle norme del codice civile, ricomprendendo non più solo le
tipiche attività di intermediazione nella circolazione del denaro, ma anche
ogni altra attività finanziaria e di investimento.
La funzione dei contratti bancari è, dunque, quella di offrire alla banche
strumenti giuridici idonei all’esercizio della loro attività di impresa.
Contratti bancari tipici e operazioni accessorie
Nell’ambito della complessa attività svolta dalle banche, bisogna operare una
triplice distinzione tra operazioni tipiche o fondamentali, operazioni
accessorie e operazioni occasionalmente bancarie.
Rientrano nella prima categoria i contratti bancari tipici disciplinati nel
codice civile, attraverso i quali la banca esercita la sua funzione tipica di
impresa di intermediazione nel credito.
Detta funzione si realizza attraverso lo svolgimento di operazioni attive e
passive: con le prime, la banca impiega la propria disponibilità di capitali
concedendo credito ed assumendo così la veste di creditore; con le seconde
raccoglie risparmio tra il pubblico, assumendo la veste di debitrice.
Appartengono alla categoria dei contratti bancari tipici espressamente
disciplinati dal codice civile il deposito bancario (art. 1834 cod. civ.),
l’apertura di credito (art. 1846 cod. civ.) e lo sconto bancario (art. 1860
cod. civ.).
Inoltre, vengono fatti rientrare tra i contratti bancari tipici anche quelli
attraverso i quali si attua l’intervento della banca nei pagamenti, quali i
conti correnti bancari, le convenzioni di assegno, i crediti documentari.
Diversamente, si considerano operazioni accessorie quelle attività mediante le
quali la banca non svolge la sua tipica attività intermediaria nel credito, ma
presta al pubblico servizi diversi. Tali operazioni rientrano o risultano dalla
combinazione di contratti già noti. Le uniche operazioni accessorie
disciplinate espressamente dal codice al capo dedicato ai contratti bancari
sono: il deposito di titoli in amministrazione (art. 1838 cod. civ.) ed il
servizio della cassetta di sicurezza (art. 1839 cod. civ.).
Vanno, comunque, comprese tra i servizi accessori altre operazioni quali i
depositi di custodia di titoli e valori, i depositi a custodia chiusi, il
servizio incassi di titoli o di valuta estera, il cambio della moneta ed altri
servizi a favore del pubblico.
Da ultimo, per completezza, si parla di contratti occasionalmente bancari
ogniqualvolta la banca si avvale di strumenti negoziali previsti
dall’ordinamento a favore di tutti i soggetti (ad es. mutuo, riporto,
fideiussione, avallo, accettazione cambiaria, mandato di credito). Tali
contratti, in quanto posti in essere da una banca, pur non assumendo la
qualifica di contratti bancari, possono tuttavia subire modifiche nella loro
disciplina (ad es. un mutuo può assumere particolari caratteri nei cd.
finanziamenti bancari nei quali, pur rimanendo invariata la causa del negozio,
diventa sempre elemento del contratto la destinazione della somma mutuata: cd.
mutuo di scopo).
Il conto corrente bancario
Si definisce contratto di conto corrente bancario l’accordo con cui la banca si
impegna nei confronti del cliente, sul presupposto dell’esistenza di una
disponibilità presso di sé, a “prestare un servizio, consistente in sostanza in
un servizio di cassa, ossia nel provvedere per conto del cliente correntista,
su ordine diretto ed indiretto e con le sue disponibilità, ai pagamenti ed alle
riscossioni.
Rientrano nel concetto di servizio di cassa tutte le prestazioni di servizi di
pagamento tra cui la trasmissione o la esecuzione di pagamento effettuati con
qualunque modalità: operazione per cassa, emissione di assegni bancari,
bonifici, utilizzo di carte di credito o del servizio bancomat.
Si tratta, quindi, di un contratto divenuto socialmente tipico per il frequente
utilizzo e la dettagliata disciplina contenuta nelle norme uniformi bancarie,
ma legalmente atipico, non trovando né una definizione né una compiuta
regolamentazione nelle norme di diritto positivo.
Ciò non toglie che a tale contratto siano applicabili le norme di cui agli
artt.1852 e segg. cod. civ. presentando, rispetto a queste norme, l’elemento
comune della regolamentazione in conto corrente.
Generalmente, il correntista può disporre del conto corrente tramite assegni
bancari, ma perché ciò avvenga occorre che tra la banca ed il correntista ci
sia uno specifico accordo, chiamato convenzione di assegno.
Quanto alla chiusura del rapporto di conto corrente, è noto che se il conto
corrente non è "in rosso", il titolare può chiuderlo quando vuole ed
eventualmente trasferirlo in un'altra banca.
Come noto, la richiesta deve essere comunicata all'istituto di credito in forma
scritta, allegando il libretto con gli assegni non utilizzati, tessera bancomat
e carta di credito.
I tempi per l'effettiva chiusura dipendono dalle operazioni che sono ancora in
sospeso sul conto, quali pagamenti tramite carta di credito e assegni,
accrediti di stipendio o pensione.
Se sul conto sono stati depositati anche titoli, l'operazione di trasferimento
ad altra banca è decisamente più costosa, ma il titolare potrebbe decidere di
mantenere "in vita" il conto corrente anche solo a questo scopo, trasferendo
esclusivamente il deposito monetario.
Il conto corrente ordinario
Diverso dal conto corrente bancario è il conto corrente ordinario disciplinato
agli artt.1823 e segg. cod. civ..
I rapporti reciproci di dare e avere non riguardano unicamente i rapporti tra
banca e cliente, ma possono riscontrarsi anche tra due imprenditori che abbiano
un rapporto continuativo d’affari.
Per evitare macchinosità di continui reciproci pagamenti, le parti possono,
così, stipulare un contratto di conto corrente ordinario.
In forza di questo contratto, le parti si obbligano ad annotare in un conto i
crediti derivanti dalle reciproche rimesse considerandoli inesigibili ed
indisponibili fino alla chiusura del conto.
Alla scadenza stabilita (comunemente ogni 6 mesi o una volta l’anno) si faranno
i conti e si accerterà chi dei due correntisti risulti essere creditore del
saldo, cioè della differenza attiva tra le reciproche rimesse.
Come è agevolmente evincibile, la differenza tra conto corrente ordinario e
quello bancario risiede principalmente nel fatto che nel conto corrente
bancario il correntista ha diritto di disporre in qualsiasi momento delle somme
che risultano a suo credito; viceversa in quello ordinario il correntista non
può esigere il saldo del conto se non alla scadenza prestabilita (questo è il
motivo per cui i prestiti del conto corrente ordinario si dicono “inesigibili
ed indisponibili”).
Sono estranee al conto corrente ordinario tutte quelle operazioni che possono
invece essere affidate dal correntista alla banca nelle forme del conto
corrente per corrispondenza.
Il deposito bancario
Il deposito bancario (artt.1834-1837 cod. civ.) rappresenta il più tradizionale
e il principale strumento di raccolta del risparmio fra il pubblico.
Il codice civile non dà una nozione di deposito bancario, ma si limita a
stabilire che nei depositi di una somma di denaro presso una banca, questa ne
acquista la proprietà ed è obbligata a restituirla nella stessa specie
monetaria, alla scadenza del termine convenuto ovvero a richiesta del
depositante, con l’osservanza del periodo di preavviso stabilito dalle parti o
dagli usi (art. 1834, comma 1, cod. civ.).
Il deposito bancario è un contratto reale, in quanto si perfeziona con la
consegna alla banca della somma; un contratto unilaterale perché le prestazioni
che ne derivano sono a carico della sola banca che è obbligata alla
restituzione della somma ed alla corresponsione degli interessi nella misura
dovuta o altrimenti in quella legale; un contratto di durata, in quanto
l’interesse delle parti non viene soddisfatto da prestazioni istantanee, ma
naturalmente destinate a durare nel tempo; un contratto gratuito perché il
depositante acquista il vantaggio di conservare la disponibilità delle somme
depositate, sulle quali la banca corrisponde anche un interesse, mentre il
vantaggio della banca si realizza al di fuori della struttura del singolo
contratto e non ha influenza per determinarne la onerosità.
La restituzione delle somme depositate può avvenire a vista, cioè a semplice
richiesta del depositante; a tempo (nei cd. depositi vincolati), cioè alla
scadenza di un termine prefissato oppure dopo un lungo preavviso (termine e
preavviso sono da considerarsi a favore di entrambi le parti ex art. 1184 cod.
civ.).
La dottrina bancaria usa distinguere la varie forme di deposito attraverso due
criteri: dello scopo e della forma. Il criterio dello scopo riguarda appunto lo
scopo perseguito dal depositante e si distingue tra depositi disponibili e
indisponibili.
In base al criterio della forma si distinguono depositi semplici (o ordinari),
depositi di risparmio, depositi in conto corrente.
Il deposito semplice, è quello in cui la banca rilascia una ricevuta di cassa
(o una lettera di accreditamento) della somma depositata, la quale viene
restituita in unica soluzione - alla scadenza pattuita oppure a vista o ancora
senza scadenza, ma con preavviso - non avendo il depositante la possibilità di
effettuare prelievi parziali, né di alimentare la provvista con successivi
versamenti.
Il deposito a risparmio o fruttifero si caratterizza per il rilascio di un
libretto di deposito (che può essere al portatore o nominativo), cioè un
documento che la banca rilascia al depositante al momento dell’accensione del
rapporto (in coincidenza con il primo versamento), ove vengono annotati i
versamenti ed i prelevamenti e, ad ogni operazione, il saldo. Con esso il
depositante tende alla formazione graduale del capitale, mediante successivi
versamenti per lo più di modesta entità.
Il deposito in conto corrente è quello con cui il depositante si riserva di
modificare, nel corso del rapporto, l’entità del deposito con successivi
versamenti e prelevamenti: questi ultimi si attuano non solo direttamente agli
sportelli, ma anche mediante ordini alla banca e mediante emissione di assegni.
Il contratto di deposito si estingue se il depositante ritira l’intera somma
depositata o dà ordine di trasferirla ad altro stabilimento della stessa banca,
restituendo il libretto.
In caso di morte del depositante il diritto alla restituzione si trasmette agli
eredi.
Trattandosi però di depositi a risparmio con libretto nominativo, la banca
ritiene risolto il rapporto, e gli eredi dovranno provvedere alla costituzione
di un nuovo rapporto.
Si evidenzia, invero, che il deposito in conto corrente è praticamente in
disuso, essendo sostituito dal conto corrente.
L'apertura di credito
Nella prassi bancaria si parla di apertura di credito ogni qual volta la banca
si obbliga a compiere una determinata operazione che importa la concessione di
un credito.
L’apertura di credito viene definita dal codice come il contratto col quale la
banca (accreditante) si obbliga a tenere a disposizione del cliente
(accreditato) una somma di denaro per un dato periodo di tempo o a tempo
indeterminato (art. 1842 cod. civ.).
L’accreditato sarà tenuto alla restituzione delle somme utilizzate solo alla
cessazione del rapporto.
L’apertura di credito costituisce una forma del mutuo, diretta a soddisfare
esigenze di natura simile alle quali però lo schema rigido del mutuo non può
piegarsi.
Infatti, mentre il mutuatario ha bisogno immediato di denaro, l’accreditato ne
ha bisogno in tempi diversi, in momenti successivi non predeterminati, ma di
volta in volta determinati dalle esigenze dei propri affari.
L’apertura di credito è perciò caratterizzata dalla creazione a favore
dell’accreditato di una disponibilità, cioè della messa a disposizione, per un
periodo di tempo determinato o indeterminato, di una certa somma che, per
quanto rimanga nelle casse della banca, egli può considerare, dal punto di
vista economico, come propria perché sarà lui a determinare il momento nel
quale la somma passerà in sua proprietà.
A fronte di questo impegno della banca, il cliente si obbliga a riconoscerle un
corrispettivo sotto forma di commissione.
I caratteri peculiari del contratto di apertura di credito
L’apertura di credito è: contratto consensuale: si perfeziona mediante
l’accordo delle parti; contratto ad effetti obbligatori: a carico della banca
tenuta a mantenere a disposizione del cliente la somma accreditata e ciò fino
alla scadenza del termine prefissato o fino al recesso di una delle due parti e
con correlativi obblighi del cliente; contratto a prestazioni corrispettive: da
un lato quella della banca di tenere a disposizione la somma e dall’altro
quella dell’accreditato di corrispondere la provvigione, in caso di
utilizzazione di interessi; contratto oneroso: la banca riceve un corrispettivo
(provvigione e interessi) in cambio di ciò che resta (messa a disposizione
della somma) e l’accreditato acquista un’utilità avente valore economico
(disponibilità della somma) in cambio della sua prestazione; contratto ad
esecuzione continuata: è insito nella sua funzione il protrarsi
dell’adempimento per una certa durata; contratto a tempo determinato /o
indeterminato a seconda della volontà delle parti.
L’apertura di credito, inoltre, può essere semplice o in conto corrente: è
semplice quando l’accreditato ha il diritto di utilizzare il credito una sola
volta anche se con successivi prelevamenti parziali; l’apertura di credito è in
conto corrente quando l’accreditato ha il diritto di effettuare rimborsi totali
o parziali delle somme prelevate e di utilizzare nuovamente il credito così
ricostituito.
In presenza di un’espressa pattuizione, l’apertura di credito, dunque, si
presume in conto corrente.
Infatti l’art.1843 cod. civ. dispone che se non è convenuto diversamente,
l’accreditato può utilizzare in più volte il credito, secondo le forme d’uso e
può con successivi versamenti ripristinare la sua disponibilità.
L’apertura di credito in conto corrente è disciplinata dalle disposizioni che
regolano le operazioni bancarie in conto corrente.
Per quanto riguarda il recesso dal contratto, bisogna distinguere se l’apertura
di credito è a scadenza o senza, nel caso la banca non può recedere dal
contratto prima della scadenza, salvo giusta causa (art. 1845, comma 1, cod.
civ.).
Il recesso della banca comporta la revoca del fido e le seguenti conseguenze.
Tra esse: il divieto di ulteriore utilizzazione del conto e l’ordine di
rientro, cioè di restituzione delle somme utilizzate, degli interessi e delle
spese bancarie.
L'anticipazione bancaria
L’anticipazione bancaria è un contratto tipico che trova un’espressa disciplina
negli artt.1846-1851 cod. civ. e nelle Norme bancarie uniformi
sull’anticipazione bancaria.
Con l’anticipazione bancaria, la banca mette a disposizione del cliente
(anticipato) una somma di denaro, ottenendo in garanzia il pegno di titoli o
merci.
In sostanza, la banca anticipa al proprio cliente parte del valore di merci o
titoli che vengono contestualmente consegnati in pegno alla banca stessa, con
facoltà del cliente di ritirarli previo rimborso proporzionale delle somme
anticipate, in modo tale da mantenere sempre costante il rapporto tra il valore
dei beni detenuti in garanzia ed il credito restitutorio.
La differenza tra apertura di credito e anticipazione bancaria, sta nel fatto
che nell’apertura di credito non è previsto che vengano dati in pegno titoli o
merci. Inoltre, nell’anticipazione bancaria ci deve essere corrispondenza tra
la somma anticipata ed il valore delle merci o dei titoli dati in pegno,
corrispondenza che, nell’apertura di credito, può anche non esserci.
L’anticipazione, quindi, costituisce un vero e proprio prestito, ove il denaro
diviene di proprietà del cliente e non è semplicemente messo a disposizione di
quest’ultimo.
Si è detto che la somma anticipata diviene di proprietà del cliente e questo si
obbliga a restituirne una quantità corrispondente.
Si evidenzia, ancora, che l’anticipazione può essere fatta su pegno regolare
oppure su pegno irregolare:
1. è fatta su pegno regolare (anticipazione bancaria propria) quando le cose
ricevute in pegno sono individuabili (ad es. un certo numero di azioni o
obbligazioni della Beta S.r.l.): in questo caso la banca non ne può disporre ed
alla scadenza deve restituire esattamente le stesse cose ricevute. L’obbligo
della restituzione comporta che la banca provveda alla custodia delle cose ed,
eventualmente, alla loro assicurazione. Al termine del rapporto, la banca ha
diritto oltre al corrispettivo dell’anticipazione (interessi e competenze),
anche al rimborso delle spese di custodia;
2. è fatta su pegno irregolare quando la garanzia è costituita da depositi di
denaro, o da titoli o merci non individuabili. In tal caso la banca può
liberamente disporre dei beni avuti in pegno.
L’anticipazione bancaria dà origine ad un rapporto di regola a termine, cioè a
tempo determinato e destinato ad estinguersi allo scadere del termine iniziale.
Lo sconto bancario
Lo sconto è il contratto con il quale la banca, dopo aver trattenuto gli
interessi, anticipa al cliente l’importo di un credito di questi verso terzi in
cambio della cessione salvo buon fine del credito stesso.
Il credito non deve essere scaduto e viene ceduto salvo buon fine: ciò
significa che il cliente deve garantire oltre all’esistenza del credito, anche
il suo pagamento da parte del debitore. Se questi non paga, la banca ha diritto
di ottenere il pagamento dal cliente.
Si noti che la banca, nell’effettuare lo sconto, non corrisponde al cliente
l’esatto ammontare del credito ceduto, ma un importo inferiore, dove sono stati
sottratti gli interessi per il periodo tra lo sconto e la scadenza del credito
a titolo di corrispettivo.
Il tasso calcolato per l’interesse è detto appunto tasso di sconto.
L’esigenza che tale contratto soddisfa è quella di liquidità del cliente,
attraverso lo smobilizzo di crediti non ancora esigibili: lo sconto consente,
infatti, ad un imprenditore di ottenere moneta attuale utilizzando un bene
futuro.
Unitamente alle figure dell’anticipazione bancaria e dell’apertura di credito
bancario lo sconto rientra in quell’ampia categoria che il Testo unico bancario
definisce prestiti.
Il fatto poi che le banche a sua volta possano riscontare dalla Banca d’Italia
(al tasso di interesse oggi stabilito dalla BCE) i crediti che a loro volta
hanno scontato alla clientela, dimostra come la cessione dei crediti non
avviene a scopo di garanzia, bensì a fine di pagamento del debito di
restituzione, mediante il passaggio della titolarità del credito ceduto a
favore della banca scontante.
Il mutuo fondiario: premessa
Il mutuo fondiario disciplinato dal Testo unico bancario, è un cd. mutuo di
scopo.
Il mutuo di scopo è il contratto in forza del quale una parte appresta
all’altra mezzi finanziari per la realizzazione di uno scopo pattiziamente
(mutuo di scopo volontario) o legislativamente prefissato (mutuo di scopo
legale) e l’altra si obbliga a restituire la somma ed a svolgere l’attività
necessaria al raggiungimento dello scopo secondo i modi e i tempi prestabiliti.
Parte della dottrina sostiene che il mutuo di scopo non abbia natura diversa
dal mutuo ordinario previsto dagli artt.1813 e segg. cod. civ., in quanto il
fine ulteriore perseguito dalle parti non snatura il contratto, ma viene ad
inquadrarsi nell’ambito dei motivi: di conseguenza esso rileva solo quando è
elevato a livello di condizione dalle parte o dalla stessa legge ovvero quando
costituisce motivo illecito comune ad entrambi i contraenti (art.1345 cod.
civ.).
La dottrina prevalente e la giurisprudenza della Suprema Corte (cfr., Cass.Civ.
10 giugno 1981 n. 3752) sostengono che si tratti di un contratto diverso dal
mutuo ordinario: lo scopo cui la somma è destinata, arriva ad avere una vera e
propria valenza causale, tale da snaturare il tipo ordinario del contratto di
mutuo.
La realizzazione dello scopo, infatti, è considerata una vera e propria
obbligazione a carico del mutuatario, che si pone in un nesso di
sinallagmaticità con la prestazione del mutuante.
Nel mutuo di scopo il mutuante non si limita a trasferire una somma di denaro
al mutuatario, perché questi ne abbia la disponibilità ed il godimento, ma
acquista rilevanza causale anche l’obbligazione del mutuatario di realizzare
una determinata finalità.
Attesa la autonomia giuridica del mutuo di scopo, si rileva che esso ha natura
giuridica diversa dal mutuo tipico: a differenza di quest’ultimo, infatti, non
è un contratto reale, ma un contratto consensuale, perché in mancanza di una
norma espressa per il suo perfezionamento è sufficiente il semplice consenso e
non è necessaria la datio rei.
Ne consegue che la consegna rappresenta solo l’adempimento di un’obbligazione
consensualmente assunta dal mutuante, il quale potrà in caso di inadempienza,
essere condannato ad erogare la somma, essendosi il contratto già perfezionato
col semplice accordo.
Il mutuo fondiario
Il D.lgs.385/1993, agli artt.38 e segg., prevede una serie di operazioni
caratterizzate da particolari deroghe al sistema di diritto comune ed in
particolare alla disciplina del contratto di mutuo caratterizzate dalla
peculiare destinazione del finanziamento: il primo tipo di contratto di credito
speciale che si incontra è il mutuo fondiario, il quale costituisce una forma
speciale di mutuo ipotecario (ossia garantito da ipoteca).
Il mutuo fondiario ricomprende qualsiasi finanziamento a medio o lungo termine
erogato da una banca e garantito da ipoteca di primo grado su immobili il cui
valore superi di una certa percentuale l’importo del mutuo.
La caratteristica più innovativa dell’attuale regime del credito fondiario
consiste nel fatto che il Testo unico ha ricompreso in tale nozione sia le
operazioni definite di credito fondiario vero e proprio (finanziamenti concessi
su beni esistenti e non aventi una destinazione particolare), sia le operazioni
di credito edilizio (finanziamenti finalizzati invece alla costruzione,
ricostruzione ed al recupero di beni immobile e quindi caratterizzati da una
precisa destinazione ed erogati in base a stati di avanzamento dei lavori).
Come anticipato, l’importo del finanziamento erogato non può eccedere una
percentuale del valore del bene ipotecato o del costo delle opere da eseguire
sullo stesso: secondo quanto dispone la delibera CICR 22 aprile del 1995
l’importo del finanziamento non può superare l’80 % del valore dei beni che
vengono gravati da ipoteca di primo grado.
La medesima delibera ha invero precisato che la banca può elevare il limite del
finanziamento al 100% del valore dell’immobile ipotecato, purchè vengano
prestate garanzie integrative consistenti in fideiussioni bancarie o
assicurative o altre forme di garanzia espressamente previste dall’autorità di
vigilanza.
Per il soggetto finanziato è riconosciuta la possibilità di estinguere
anticipatamente il mutuo pagando un compenso omnicomprensivo che deve essere
pattuito contrattualmente fin dall’inizio del rapporto (art. 40 TUB) .
L’elemento che costituisce eccezione alla regola è che il mutuatario è
agevolato anche se inadempiente: infatti, in caso di ritardato pagamento la
banca può chiedere la risoluzione del contratto e la restituzione del
finanziamento in un'unica soluzione (cfr., Delibera CICR 9 febbraio 2000
“Credito fondiario: disciplina dell’estinzione anticipata dei mutui ex art.40,
comma 1, T.U.B.) solo se il tardivo pagamento si è verificato per almeno sette
volte anche non consecutive (è considerato tardivo se l’inadempimento avviene
tra il trentesimo ed il centottantesimo giorno dalla scadenza della rata).
I contratti parabancari: premessa
Come noto, la banca può svolgere una serie di servizi di natura finanziaria che
rientrano nel concetto del cosiddetto parabancario, rappresentato da tutto ciò
che non è strettamente collegato all’intermediazione monetaria, ossia che non
comporta lo svolgimento congiunto e collegato della raccolta del risparmio tra
il pubblico e dell’erogazione del credito.
Si tratta di un settore di attività collocato a latere della tradizionale
attività bancaria, quale suo completamento e consiste in tutti quei servizi di
natura finanziaria che sono svolti dalle banche (o da altri intermediari) a
favore della propria clientela per soddisfare interessi che sono collegati
all’erogazione del credito ed alla raccolta del risparmio, quali l’assistenza
alle imprese, la mediazione nei rapporti di affari, l’erogazione di forme
alternative di finanziamento (si pensi al leasing e al factoring).
Tali attività possono oggi farsi rientrare nell’ampio genere delle attività
finanziarie cui fa riferimento l’art. 10, comma 3, del Testo unico bancario
ovvero nelle attività connesse o strumentali cui pure si riferisce la norma
citata.
Il leasing
Con l’entrata in vigore del Testo unico bancario, l’esercizio dell’attività di
leasing è riservata ai cosiddetti intermediari finanziari ed alle banche.
Il contratto di leasing (o locazione finanziaria), è contratto che non è ancora
legislativamente regolato, nonostante la sua rilevante diffusione.
Rappresenta, quindi, uno dei più significativi esempi di contratto socialmente
tipico, ma giuridicamente atipico (si parla infatti in proposito di “atipicità
standardizzata”).
Il termine leasing indica quella particolare operazione contrattuale con la
quale un’impresa di leasing (concedente) concede ad un operatore economico
(utilizzatore) il godimento di un bene (dal concedente prodotto o acquistato),
dietro corrispettivo di un canone periodico, per un periodo determinato, e con
il diritto per l’utilizzatore di restituirlo alla scadenza, ovvero di
acquistarlo pagando una somma determinata in contratto.
Qualora il bene venga prodotto dallo stesso concedente, il contratto è
denominato leasing “operativo”.
Il leasing cosiddetto “finanziario” è, per contro, caratterizzato da una più
marcata funzione finanziaria, perché qui la società di leasing non è, come nel
leasing operativo, un produttore o un commerciante del ramo, ma una vera e
propria società finanziaria; cosicchè l’operatore che ha bisogno di determinate
macchine o apparecchiature, le sceglie direttamente presso il produttore; la
società di leasing poi acquista tali beni dal produttore (contratto di
compravendita tra azienda produttrice e azienda finanziaria) e li cede in
godimento al conduttore.
Il leasing finanziario presuppone, quindi, sempre la presenza di tre soggetti:
l’impresa di leasing concedente, l’utilizzatore, ed il fornitore del bene
richiesto dall’utilizzatore.
All’interno, poi, della categoria del leasing finanziario la giurisprudenza più
recente ha elaborato la distinzione tra leasing di godimento e leasing
traslativo: col primo si realizza sostanzialmente una funzione di
finanziamento, con il secondo si tende invece al trasferimento della proprietà
del bene.
La Suprema Corte, con sentenza del 26 novembre 1987 n. 8766, ha ritenuto
impossibile riportare tout court il leasing nell’ambito dei contratti tipici, e
ha ritenuto di applicare a tale istituto la disciplina sui contratti in
generale, secondo il principio dettato dall’art.1323 cod. civ. e, per via
analogica, quella sui contratti espressamente disciplinati.
Al fine di integrare e correggere la regolamentazione ci si è interrogati su
quali fossero le figure contrattuali più vicine al leasing.
Una parte della dottrina avvicina il leasing alla locazione (identificandone
l’elemento causale nello scambio tra godimento e pagamento del corrispettivo
sotto forma di canone).
Ma proprio la finalità traslativa della proprietà, spesso presente nel
contenuto del contratto, hanno convinto altra parte della dottrina ad
assimilare il leasing alla vendita con riserva della proprietà, asserendo così
l’applicabilità in via analogica degli artt.1523 e segg. cod. civ..
Assai controverso rimaneva comunque la possibilità di applicare al leasing
l’art.1526 cod. civ. il quale dispone che se la risoluzione del contratto ha
luogo per inadempimento del compratore, il venditore deve restituire le rate
riscosse, salvo il diritto ad un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al
risarcimento del danno e che, se è stato convenuto che le rate restino al
venditore a titolo di indennità, il giudice, secondo le circostanze può ridurre
tale indennità. L’ultimo comma estende quanto previsto nei commi precedenti al
caso della cd. vendita in forma di locazione, in cui le parti convengono che,
al termine del contratto di locazione, la proprietà della cosa sia acquisita
dal conduttore per effetto del pagamento dei canoni pattuiti. Su quest’ultimo
punto i maggiori contrasti tra dottrina e giurisprudenza: per la dottrina i
canoni previsti nel contratto di leasing venivano considerati quali rate di
prezzo in quanto commisurati al valore di scambio del bene. Pertanto il valore
residuo era pari ad un‘ultima rata di prezzo, con la conseguenza che, nel caso
di risoluzione, sorgeva la stessa esigenza di tutela del contraente più debole
che è alla base della previsione dell’art.1526 cod. civ..
La Suprema Corte, invece, in diverse pronunce poneva in rilievo che il
contratto di leasing finanziario ha una vera e propria causa unitaria
caratterizzata dalla funzione creditizia.
Il canone, pertanto, non è semplicemente il corrispettivo per l’affitto del
bene prodotto, ma una vera e propria modalità pattizia per la restituzione di
un finanziamento.
Più recentemente, la Corte di Cassazione, con sentenza del 1989 n. 5569, ha
modificato il proprio orientamento: si è, in sostanza, affermato che la
tipologia della locazione finanziaria deve essere messa in correlazione alle
modalità di determinazione del canone. Il giudice di legittimità ha, quindi, ha
distinto tra leasing finanziario di godimento, in cui il canone indica solo la
controprestazione per il godimento del bene e quindi il contratto deve
considerarsi ad esecuzione continuata con la conseguenza che, in caso di
risoluzione per inadempimento, i canoni riscossi saranno irripetibili e leasing
finanziario traslativo che si ha quando il canone comprende anche una quota del
futuro prezzo da pagare da parte del concessionario per l’acquisto del bene.
In quest’ultimo caso saranno applicabili le norme della vendita con patto di
riservato dominio.
Il Testo unico bancario riserva l’attività di leasing agli intermedi finanziari
e alle banche.
Occorre anche chiedersi se il T.U.B. si occupi solo del leasing finanziario o
anche di quello operativo. All’art. 1, comma 2, lettera f) n. 3) il Testo unico
bancario parla esclusivamente di “leasing finanziario” ed in nessuna parte
viene invece nominato il leasing operativo.
La ragione va ricondotta al fatto che, ai sensi dell’art.106, comma 2, del
Testo unico bancario, gli intermediari finanziari possono svolgere solo (in
modo esclusivo) attività finanziaria, con esclusione quindi di quella attività
di produzione di beni, che nel leasing operativo viene svolto dall’impresa
concedente.
Il sale and lease back (o locazione finanziaria di ritorno)
Il sale and lease back è un’operazione finanziaria con la quale un bene viene
alienato dal proprietario ad un’impresa di leasing, che si impegna a concedere
lo stesso bene in godimento al venditore ed a riconoscergli un diritto di
riscatto, trascorso un determinato periodo di tempo.
Questa figura crea dei problemi in termini di liceità in termini di rispetto
del divieto del patto commissorio (art. 2744 cod. civ.).
La vicenda può essere, infatti, inquadrata come alienazione a garanzia di un
finanziamento e, come tale, potrebbe anche violare l’art.2744 cod. civ..
La presenza di una finalità di finanziamento non implica, comunque, un
automatico contrasto con il divieto del patto commissorio.
La giurisprudenza più recente, prendendo atto dell’utilità di tale contratto di
impresa, ha tentato una distinzione tra operazioni di lease back “pure” ed
operazioni di lease back “impure” in quanto in frode all’art. 2744 citato.
L’equilibrio tra le prestazioni a carico delle parti è stato assunto come
indice per valutare la liceità della fattispecie in esame.
In caso contrario, aumenta infatti il rischio che la funzione di garanzia possa
prevalere su quella di scambio. Per evitare che l’operazione di lease back sia
attratta nell’orbita del patto commissorio è, pertanto opportuno rispettare una
serie di accorgimenti.
Tra i suggerimenti enucleati dalla dottrina e dalla giurisprudenza per un lease
back puro meritano di essere ricordati:
- la previsione di un giusto prezzo di vendita (un’eventuale stima del valore
del bene al momento del trasferimento iniziale costituirebbe un importante
indice a favore della prevalenza della funzione di scambio rispetto a quella di
garanzia);
- le previsione di un “giusto” prezzo di opzione (il prezzo di opzione dovrebbe
tener conto del valore del bene alla scadenza, nonché dei canoni già pagati);
- l’inserimento del cd. patto marciano, in base al quale in caso di
inadempimento il creditore può rivalersi sulla cosa (facendola propria) ma a
condizione che versi al debitore al eventuale differenza tra importo del
credito e valore stimato del bene.