La successione testamentaria
La successione testamentaria è nettamente preferita dal nostro
legislatore rispetto alla successione legittima; quest'ultima, infatti, trova
applicazione soltanto nel caso in cui manchi, in tutto o in parte, un
testamento (art. 457, comma 2, c. c.).
Nessuna norma, peraltro, vieta che un soggetto chiamato all'eredità per
testamento rinunci all'eredità stessa e tuttavia partecipi alla
successione legittima, come la stessa Corte di Cassazione ha avuto modo di
precisare (Cass., 1 luglio 2002, n. 9513).
Il testamento
Il testamento è definito dall'art. 587 c. c. come l'atto di ultima
volontà con cui un soggetto dispone dei propri beni per il tempo in cui
avrà cessato di vivere.
E' dunque evidente che, pur perfezionandosi in un momento anteriore, il
testamento inizia a produrre i propri effetti verso i terzi soltanto a far data
dalla morte del suo autore.
Per sua natura, inoltre, il testamento è un atto sempre revocabile dal de
cuius fino all'ultimo attimo di vita, affinché esso rispecchi il
più possibile la volontà del testatore.
Non stupisce, pertanto, che il nostro ordinamento vieti la stipula di qualsiasi
patto tra vivi volto a regolare la successione mortis causa di un individuo
(art. 458 c. c.) e non ammetta alcuna forma di rappresentanza per la redazione
del testamento.
Il tema del divieto dei patti successori, invero, è sempre stato al
centro di accesi dibattiti in dottrina ed in giurisprudenza.
Innanzitutto, è opportuno distinguere i patti c. d. istitutivi,
cioè gli accordi intercorsi tra il de cuius ed il beneficiario
dell'attribuzione, con cui il primo dispone delle proprie sostanze; i patti c.
d. dispositivi, mediante i quali un soggetto dispone dei beni che in futuro
dovrebbe conseguire in forza dell'apertura di una successione, e i c. d. patti
rinunciativi, con cui taluno rinuncia ai diritti che potrebbe acquistare da una
futura successione. Ciò detto, la declaratoria di nullità di
detti contratti spesso interviene in un momento in cui gli accordi stessi hanno
già avuto esecuzione; i rapporti pendenti, in tal caso, vengono regolati
ricorrendo all'istituto dell'indebito oggettivo (art. 2033 c. c.), per cui le
somme nel frattempo versate dovranno essere restituite al de cuius o ai suoi
eredi, andando a costituire parte integrante dell'asse ereditario (in tal
senso, la sentenza più recente è Cass. civ., sez. II, 12 agosto
2002, n. 12474).
Il contenuto tipico dell'atto testamentario è di natura strettamente
patrimoniale, consistendo nell'istituzione di erede e/o nel legato; tuttavia il
testamento può presentare anche un contenuto di carattere eventuale,
quale il riconoscimento di un figlio naturale.
La validità del testamento è infine subordinata al rispetto di
rigorosi requisiti formali.
Le forme testamentarie
Il codice civile, in particolare, prevede il testamento olografo ed il
testamento per atto di notaio, distinguibile a propria volta in testamento
pubblico e segreto (c. d. testamenti ordinari).
Il testamento olografo si caratterizza per essere interamente redatto, datato e
sottoscritto di pugno dal testatore.
Il testamento pubblico, invece, consiste in una dichiarazione di ultima
volontà del de cuius raccolta dal notaio alla presenza di due testimoni
e dallo stesso custodita.
Il testamento segreto, infine, si differenzia da ambedue le tipologie
già descritte per essere predisposto dal de cuius in assenza del notaio
e da questi semplicemente ricevuto mediante la stesura di un verbale di
consegna.
Altri tipi di testamento, denominati speciali, sono redatti da un pubblico
ufficiale (es. comandante di una nave), ma, in quanto redatti in situazioni di
pericolo, hanno un'efficacia limitata nel tempo, di soli tre mesi.
La capacità di disporre per testamento
La capacità di disporre per testamento si compone, in verità, di
due diversi elementi: la capacità di testare e la legittimazione a
disporre per testamento.
E' pacificamente capace di testare chiunque abbia compiuto la maggiore
età, purché non sia stato interdetto per infermità di
mente e non si trovi, anche in via transitoria, in stato d'incapacità
d'intendere e volere, al momento della redazione del testamento.
La legittimazione a disporre per testamento di determinati beni, invece, deve
sussistere al tempo dell'apertura della successione, non rilevando se essa
risultasse al momento della predisposizione della scheda testamentaria: taluni
parlano a questo riguardo di legittimazione sopravvenuta o di validità
sospesa del negozio.
L'interpretazione del testamento
L'esigenza fondamentale che si pone all'interprete dinanzi ad un testamento
è quella di tradurre la reale volontà del de cuius, attribuendo
alle parole ed espressioni spesso ambigue da lui utilizzate il significato
maggiormente conforme alla mens testantis; a tal fine si dovrà tenere
opportunamente conto anche di elementi estranei alla scheda testamentaria,
quali la mentalità, la cultura e l'ambiente di vita del de cuius. Su
tale posizione si è allineata la giurisprudenza costante (si veda Cass.,
17 luglio 1979, n. 4181, e Cass., 15 marzo 1990, n. 2107).
Una questione aspramente dibattuta in dottrina e in giurisprudenza concerne,
poi, l'applicabilità al testamento delle regole interpretative dettate
dal codice civile in materia di contratto agli artt. 1362 e segg. c. c.
Mentre sulla compatibilità o meno di talune disposizioni non sorgono
contestazioni di sorta (per esempio, nessuno dubita dell'inapplicabilità
dell'art. 1368, secondo comma, dell'art. 1370 e dell'art. 1371, seconda parte,
cod. civ., al negozio testamentario, dal momento che dette norme si fondano
sulla reciprocità delle prestazioni propria di un contratto), altre
norme sollevano al riguardo problematiche di rilievo.
Per quanto attiene ai criteri ermeneutici ispirati ad un principio di
conservazione degli effetti dell'atto, appare nettamente preferibile la tesi
che ne sostiene l'applicabilità anche al testamento: qualora tali norme
non trovassero attuazione, il testamento del de cuius rimarrebbe del tutto
privo di significato e, dunque, di esecuzione, senza più
possibilità di dare regolamentazione alla successione del defunto se non
mediante l'apertura di una successione legittima.
La validità del testamento
Al pari degli altri negozi giuridici, anche il testamento può essere
oggetto di un'azione di nullità o di annullabilità.
Tali rimedi processuali sono regolati sia dalla disciplina generale dettata in
materia di contratti, nei limiti della compatibilità, sia dalle norme
speciali contenute nel Libro II del codice civile dedicato alle successioni.
La nullità dell'intero testamento o di singole disposizioni di esso
può essere accertata sia in presenza delle violazioni formali
espressamente stabilite dalla legge, sia allorché manchi uno degli
elementi sostanziali del negozio testamentario (ad esempio, qualora non risulti
in alcun modo determinabile il beneficiario del lascito).
La sanzione dell'annullabilità, invece, colpisce il testamento o singole
clausole di esso ogniqualvolta il de cuius risulti incapace di testare,
nonché quando venga accertato che la disposizione è stata
determinata da un errore del testatore, da una violenza cui lo stesso sia stato
sottoposto ovvero da un inganno perpetrato ai suoi danni.
In particolare, la costante giurisprudenza di legittimità ritiene
necessaria, ai fini della configurazione del dolo, non la mera influenza
psicologica esercitata sul testatore, bensì l'utilizzo di veri e propri
mezzi fraudolenti che, tenuto conto dell'età e dello stato di salute del
de cuius, risultino idonei a trarlo in inganno, indirizzando la sua
volontà in una direzione diversa rispetto a quella che egli avrebbe
spontaneamente seguito (tra le altre, Cass. civ. 19 luglio 1999, n. 7689).
Così come può avvenire per ogni altro documento sottoscritto dal
suo autore, inoltre, l'autenticità del testamento può essere
contestata mediante l'instaurazione di un giudizio di disconoscimento.