La divisione ereditaria
Allorché più soggetti siano chiamati a succedere al de cuius ed
accettino l'eredità, viene ad esistenza uno stato di comunione
ereditaria incidentale, cioè occasionata dalla morte del disponente.
In tal caso, affinché ciascun coerede si veda assegnata non una quota
astratta del patrimonio ereditario, bensì una porzione concreta
dell'eredità stessa, mediante l'attribuzione di singoli beni, è
necessario procedere alla divisione delle poste attive della massa ereditaria
proporzionalmente alle quote spettanti ad ogni coerede, dichiarando sciolta la
comunione ereditaria.
Talvolta la divisione, come previsto dall'art. 734 c. c., viene fatta
direttamente dal testatore, attraverso l'attribuzione dei beni compresi
nell'eredità ai successori: tuttavia detta disposizione non può
ritenersi atto divisorio in senso proprio, dal momento che il testamento
esclude fin dal principio il sorgere di una comunione tra coeredi; i chiamati
che abbiano accettato diventano, infatti, direttamente titolari di diritti sul
bene loro assegnato dal de cuius.
E' anche possibile, invece, che nel suo atto di ultima volontà il defunto
si sia limitato a fornire delle indicazioni in merito all'attribuzione dei
propri beni agli eredi. L'ordinamento, in tali circostanze, offre uno strumento
di tutela all'erede che si sia visto leso nel proprio diritto, avendo ottenuto
dal testatore una porzione il cui valore è inferiore di oltre un quarto
rispetto alla quota spettantegli: si tratta dell'azione di rescissione,
disciplinata dagli artt. 763 e segg. c. c., che è ammessa anche contro
atti diversi da una divisione in senso tecnico, purché diretti comunque
allo scioglimento della comunione tra coeredi.
L'atto di divisione
La fonte dell'atto di divisione può essere tanto negoziale quanto
giudiziale.
I coeredi, infatti, possono pervenire ad una divisione in via amichevole
oppure, in mancanza del raggiungimento di un accordo, dovranno esercitare
un'azione giudiziale di divisione.
A tale riguardo va subito chiarito, come è stato affermato da un
orientamento ormai consolidato della giurisprudenza, che l'azione di divisione
è autonoma e distinta rispetto all'azione di riduzione promossa dai
legittimari lesi nei propri diritti. La domanda di divisione, infatti,
presuppone necessariamente, si ribadisce, l'esistenza di una comunione
ereditaria ed è rivolta nei confronti di tutti i coeredi; quella di
riduzione, invece, ha il diverso presupposto delle lesione della quota di
riserva attribuita dalla legge al legittimario ed è esercitata contro
tutti i beneficiari delle disposizioni ritenute lesive della legittima.
Tale principio presenta numerosi corollari, tra cui l'impossibilità di
proporre per la prima volta in appello la domanda di divisione, in quanto
domanda nuova, in un giudizio avente ad oggetto la reintegrazione della quota
di riserva (Cass. civ., sez. II, 29 marzo 2000, n. 3821). Nulla vieta,
comunque, che, per ragioni di economia processuale, la domanda di divisione
venga formulata in via subordinata all'accoglimento della domanda principale di
riduzione.
In linea di principio, ciascun coerede può chiedere lo scioglimento della
comunione ereditaria in qualunque momento (art. 713 c. c.); tuttavia, il
testatore può apporre alcune limitazioni, prevedendo, ad esempio, che la
divisione non venga effettuata prima che sia trascorso un determinato periodo
di tempo, non eccedente comunque i cinque anni, dal momento dell'apertura della
successione. Ciononostante, l'autorità giudiziaria, in presenza di gravi
circostanze, può disporre l'immediata divisione della massa ereditaria.
La divisione, inoltre, può anche essere sospesa dal giudice qualora,
nell'immediato, la comunione ereditaria possa subirne un grave pregiudizio
(art. 717 c. c.).
Il diritto di prelazione del coerede (art. 732 c. c.)
Il legislatore del 1942 ha inteso agevolare la permanenza dei beni costituenti
la massa ereditaria nella sfera di coloro che sono stati chiamati, per
testamento o per legge, alla successione del de cuius. Pertanto, ha inserito
nel nostro codice civile l'art. 732, il quale prevede, in caso di
volontà di uno o più coeredi di alienare la loro quota ad un
estraneo, non soltanto un diritto di prelazione degli altri coeredi a
parità di condizioni, ma anche un diritto di riscatto ( c. d. retratto
successorio) della quota nei confronti del terzo acquirente e di ogni
successivo avente causa, finché dura lo stato di comunione, qualora
l'alienante non abbia rispettato il suddetto diritto di prelazione.
Infatti il coerede, prima di alienare o comunque impegnarsi ad alienare la
propria quota ad altri, è tenuto a notificare ai comunisti la proposta
di acquisto fattagli dall'estraneo, completa in tutti i suoi elementi (in modo
particolare con precisazione del prezzo); una volta eseguito tale adempimento,
il coerede dovrà attendere due mesi, poiché entro detto termine
potrà ricevere dagli altri eredi la dichiarazione che essi intendono
avvalersi del diritto di prelazione loro conferito dalla legge.
Per quanto riguarda, poi, cosa debba intendersi con l'espressione
"estraneo" usata dall'art. 732 c.c., la Suprema Corte ha chiarito in
più di un'occasione che "è estraneo non solo chi non sia
legato da parentela con i coeredi del de cuius, ma anche chi non partecipa
all'eredità di cui fa parte la quota ceduta", a prescindere
dall'appartenenza alla famiglia del defunto (Cass. civ., sez. II, 28 gennaio
2000, n. 981).
Le operazioni della divisione
Prima di procedere alla divisione del patrimonio ereditario può essere
necessario provvedere alla liquidazione delle passività mediante la
vendita di beni mobili e, in mancanza, immobili, facenti parte del compendio
ereditario.
Qualora i condividenti non riescano a trovare un accordo su una vendita in via
privata, si dovrà procedere ad una vendita all'incanto, previa richiesta
in tal senso dei coeredi aventi diritto a più della metà della
massa e secondo modalità e condizioni dettate dall'autorità
giudiziaria.
La vendita risulta poi necessaria nel caso in cui l'asse ereditario comprenda
beni immobili non comodamente divisibili o la cui divisione possa arrecare
pregiudizio alle ragioni dell'economia e dell'igiene pubblica o ancora beni
dichiarati indivisibili dalla legge stessa. La Cassazione, peraltro, ha
recentemente precisato che il giudice, nel determinare il coerede cui assegnare
l'immobile non comodamente divisibile, soprattutto in presenza di quote uguali
tra loro, gode di ampi poteri discrezionali (Cass. civ., sez. II, 19 marzo
2003, n. 4013).
Dunque, si giunge alla fase della c. d. resa dei conti tra coeredi, mediante la
formazione di un più preciso stato del patrimonio del de cuius e la
determinazione delle porzioni ereditarie, dei conguagli e dei rimborsi che
risultino dovuti tra i condividenti.
A tal fine è necessario che i coeredi tenuti alla collazione, su cui si
tornerà tra breve, conferiscano all'asse ereditario tutto ciò che
è stato loro donato in vita dal de cuius, ed occorre altresì che
ciascuno imputi alla quota che gli spetterebbe i debiti assunti nei confronti
del defunto anteriormente all'apertura della successione.
Esaurita tale fase, si può pervenire alla stima del relictum e quindi
alla formazione di una porzione per ogni avente diritto, comprensiva, se
possibile, in misura proporzionale, di una quantità di mobili, immobili
e crediti di uguale natura e qualità (art. 727 c. c.); qualora, a
parità di quote, si verifichi una disparità di valore, tale
differenza dovrà essere compensata mediante la corresponsione di
conguagli.
Infine, in mancanza di un accordo dei condividenti, al momento dell'assegnazione
effettiva delle quote, si dovrà procedere, in caso di porzioni eguali,
all'estrazione a sorte, mentre, in presenza di frazioni diseguali, si
renderà necessaria un'attribuzione delle stesse secondo un piano di
riparto redatto da un consulente tecnico ed approvato dal giudice.
La collazione
A norma dell'art. 737 c. c. i soggetti tenuti alla collazione, e cioè al
conferimento alla massa ereditaria dei beni donati in vita dal de cuius, sono,
a seguito della riforma del diritto di famiglia del 1975, il coniuge, i figli,
legittimi e naturali, ed i discendenti di questi, chiamati a succedere per
testamento o per rappresentazione.
Tale obbligo, peraltro, può venire meno qualora il testatore abbia
espressamente dispensato il donatario dalla collazione, contestualmente
all'atto di donazione o in sede di testamento.
Oggetto della collazione, inoltre, è tutto ciò che è stato
donato al soggetto sia direttamente che indirettamente. In merito alla
configurazione di una liberalità, soprattutto in forma indiretta,
dev'essere segnalata abbondante giurisprudenza. Per esempio, è stato
chiarito dalla Suprema Corte che rileva, ai fini della collazione, la donazione
effettuata tramite una terza persona, anche senza ricorrere allo schema del
contratto a favore di terzo (cfr., tra le altre, Cass., 5 agosto 1992, n.
9282).
Un'altra problematica spesso affrontata dalla Cassazione concerne
l'individuazione del bene da conferire in collazione; è stato dunque
deciso che, in caso di donazione di denaro al figlio per consentirgli
l'acquisto di un'abitazione, il beneficiario della donazione è tenuto a
restituire al compendio ereditario l'equivalente della somma ricevuta (Cass.,
28 febbraio 1987, n. 2147), mentre, quando il genitore acquista con denaro
proprio un immobile intestandolo al figlio, si configura un'ipotesi di
donazione indiretta dell'immobile stesso.
Il codice civile, tuttavia, agli artt.738 e ss. c. c., prevede taluni casi di
esclusione dell'obbligo di collazione: si tratta delle donazioni di modico
valore in favore del coniuge, delle donazioni ai discendenti o al coniuge
dell'erede, sebbene quest'ultimo possa averne tratto vantaggio, nonché
delle spese di mantenimento ed educazione, per malattia, per abbigliamento e
per nozze, di natura ordinaria, sostenute in vita dal de cuius per l'erede.
Il pagamento dei debiti ereditari
Il principio generale in materia è dettato dall'art. 752 c. c.:"I
coeredi contribuiscono tra loro al pagamento dei debiti e pesi ereditari in
proporzione delle loro quote ereditarie, salvo che il testatore abbia
altrimenti disposto". E' infatti possibile che il de cuius abbia accollato
uno o più debiti a taluno degli eredi oppure abbia esonerato qualcuno
dal pagamento delle passività.
Per quanto concerne la posizione dei legatari, invece, essi possono al massimo
essere soggetti all'ipoteca sul bene oggetto di legato ed alla conseguente
azione espropriativa dei creditori ipotecari.
Qualora, comunque, il legatario adempia tale debito del de cuius, egli
avrà diritto di surrogarsi nelle ragioni dei creditori da lui
soddisfatti verso i coeredi.