Comunicazione di avvio del procedimento – esigenze di celerità - non necessità.
Il Consiglio di Stato, nell’escludere nella fattispecie sottoposta al suo esame
la necessità della comunicazione dell’avvio del procedimento, ha confermato
quell’orientamento per il quale la comunicazione di avvio del procedimento non
è necessaria in presenza di esigenze di celerità.
Cons. Stato Sez. V, 28-02-2006, n. 851
Svolgimento del processo
1. Il
ricorso in appello n. 3371 del 2005 è proposto dal titolare della ditta G. B.
C.. È stato notificato in data 21 e 22 aprile 2005 e depositato il 26 aprile
2005.
2. È
oggetto d'impugnazione la sentenza n. 19713 del 2004, con la quale il Tribunale
amministrativo regionale della Campania, Sezione I, ha respinto due ricorsi
della stessa impresa avverso la revoca dell'affidamento del servizio di
"Igiene urbana", nel Comune di Giugliano, ed una serie di atti
connessi dell'Ufficio territoriale del Governo - Prefettura di Napoli, del
Commissario di Governo per l'emergenza rifiuti nella Regione e dello stesso
Sindaco nella medesima vicenda.
3. Sono
dedotte due argomentate censure nei riguardi della decisione impugnata e dei
provvedimenti suddetti ed è avanzata richiesta di risarcimento dei danni.
4. Il
Comune intimato si è costituito per resistere al ricorso.
Nessuna
delle altre parti intimate si è costituita in appello.
5.
All'udienza del 15 novembre 2005, il ricorso è stato chiamato in discussione e,
poi, trattenuto in decisione.
Motivi
della decisione
1. Sono
stati impugnati in primo grado:
1.1. il
provvedimento, in data 29 gennaio 2004, del sindaco del Comune intimato, di
revoca, a decorrere dal 9 febbraio 2004, dell'affidamento del servizio di
igiene urbana nel Comune stesso, già conferito con deliberazione di giunta n.
219 del 24 ottobre 2001;
1.2. la
precedente conforme deliberazione di giunta del 28 gennaio;
1.3. il
provvedimento del sindaco in data 7 maggio 2004 e la deliberazione della giunta
municipale n. 114 del 5 maggio 2004 di conferma delle misure sopra dette;
1.4. la
connessa nota prefettizia n. 1/0897 del 15 ottobre 2003, recante
"informativa interdittiva" ex art. 10 d.p.r. 3 giugno 1998, n. 252, in tema di elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa
in società o imprese che hanno rapporti con amministrazioni pubbliche;
1.5.
l'ordinanza 06/26 gennaio 2004, con la quale il sub commissario del Governo per
l'emergenza rifiuti in Campania, vista l'informazione, fornita dal Comune in
data 22 ottobre 2003, sulle ditte affidatarie del servizio di raccolta e
trasporto dei rifiuti, ha disposto il subingresso della società per azioni
indicata in epigrafe nei predetti servizi comunali;
1.6. una
serie di altri atti connessi, la cui elencazione non è rilevante per questo
grado di giudizio.
2.1. L'atto
intorno al quale ruota la vicenda in esame è la predetta nota prefettizia del
15 ottobre 2003. Con essa si dà comunicazione all'ente locale che l'impresa,
ora appellante, era stata oggetto di "informativa interdittiva" in
data 23 agosto 1999, e che, come già era stato reso noto con una precedente
lettera del 25 luglio 2002, quell'informativa poteva ritenersi "ancora
attuale".
2.2. La
sentenza impugnata ha respinto, per quel che qui interessa, i ricorsi contro
tutti gli atti concernenti l'informativa ostativa "antimafia" e la
revoca dell'affidamento del servizio.
2.3. Si
possono, in proposito, esporre le osservazioni che seguono, circa i criteri che
devono ispirare sia l'azione degli enti, sia l'interpretazione delle norme che
inibiscono, nei casi in esame, l'instaurazione od il proseguimento di rapporti,
di regola contrattuali, con imprese suscettibili di tentativi di infiltrazioni
della criminalità organizzata, che ne possano condizionare l'attività.
Vanno sin
d'ora fatte queste premesse, circa:
2.2.1. la
funzione fondamentale dell'informativa prefettizia, che, ove positiva,
determina ineludibilmente la sorte dei contratti in essere con le
amministrazioni pubbliche, senza spazi per valutazioni discrezionali;
2.2.2. la
latitudine delle fonti d'indagine, che tuttavia, se al di fuori delle
fattispecie tipiche enunciate nell'art. 10, comma 7, lett. a) e b), del citato
d.p.r. 252 del 1998, esigono che si dia conto degli elementi specifici raccolti
e del nesso fra questi e la situazione negativamente valutata dalla legge;
2.2.3. la
natura degli interessi implicati, nel campo del contrasto alla criminalità
organizzata, che sposta, con scopi di prevenzione, la soglia della difesa sociale
a posizioni di rischio di condizionamenti e di interferenze, di carattere
potenziale;
2.2.4.
l'esigenza che sia, in ogni caso, garantito il sindacato giurisdizionale sulla
concreta esistenza dei presupposti, cui la legge si richiama per consentire di
comprimere talune situazioni soggettive.
3. Le
considerazioni del primo giudice gravitano, nel caso in esame:
3.1. sul
fatto che l'informazione, data dal prefetto, e che - si può qui aggiungere -
consiste, più propriamente in una valutazione di una serie di circostanze di
varia fonte, reputa ancora attuale una precedente conclusione esposta in una
informazione "ostativa" del 23 agosto 1999. Il T.A.R. ha chiarito
che, oltre gli elementi posti a fondamento della precedente informativa, erano
da considerare una nota dell'Arma dei carabinieri del 2003, le risultanze del
casellario giudiziario del 2002, la segnalazione di una serie di denunce ed
arresti, per il titolare della ditta, la segnalazione di numerosi soggetti
pregiudicati annoverati fra i dipendenti della ditta, la segnalazione di
frequentazioni con pregiudicati appartenenti alla "camorra", con
indicazione di nove nomi cui erano ascritti vari precedenti penali;
3.2. sul
fatto che la contestazione di "non attualità" degli accertamenti non
era da condividere, in dipendenza dei dati sopra elencati;
3.3.
sulla motivazione dell'atto prefettizio, avuto riguardo ai dati raccolti, da
ritenere logica alla luce di una lettura non atomistica del complesso degli
elementi indiziari.
4.1. Il
primo motivo del ricorso in appello è imperniato sulla tesi della violazione
dell'art. 10, comma 7, lettera c), del d.p.r. 3 giugno 1998, n. 252.
In
sintesi, partendo dalla considerazione che i fatti sui quali si basa il
giudizio del prefetto devono essere precisi, comprovati ed attuali, sì da
dimostrare il persistere del condizionamento mafioso, si pone in rilievo che
non sono da ritenere attuali situazioni risalenti nel tempo, vale a dire
dall'anno 1964 all'anno 1999. Si esprime perciò critica alla valutazione
negativa, sulla scorta:
- della
precedente "informativa" del 23 agosto 1999;
- di una
espressione contenuta in una nota del 3 aprile 2003 dei Carabinieri, circa
l'assenza di "elementi oggettivi tali da far ritenere che" la persona
in questione "sia appartenente alla criminalità organizzata";
- delle
risultanze del casellario giudiziario del 2002, nelle quali, si fa notare, è
riportato, quale "fatto nuovo", soltanto una condanna per lesioni
colpose pronunciata nel 2000 e per un fatto risalente al 1993;
- della
presenza, fra i dipendenti della ditta, di pregiudicati, mentre per tre di essi
il rapporto di lavoro è stato risolto da anni e uno di essi non ha mai fatto
parte del personale;
- della
non incidenza del richiamo al comportamento del figlio dell'interessato, perché
condotta che non può automaticamente convertirsi in cause di inaffidabilità del
padre;
- del
fatto che il comportamento del legale rappresentante della ditta non ha dato
adito a censure di sorta dal 1996.
4.2. Il
motivo non merita adesione.
Deve
essere, certo, condivisa la premessa che - al di fuori delle ipotesi tipiche,
descritte alle lettere a) e b) del comma 7, dell'art. 10 del citato d.p.r. 3 giugno 1998, n. 252, nelle quali sono precisati i provvedimenti donde
si desumono immediatamente i tentativi di infiltrazione mafiosa nelle imprese -
ogni altro accertamento di fatti, ammesso dalla lettera c) della stessa norma,
si deve concretare in elementi puntuali, comprovati ed attuali, come anche ha
riconosciuto la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato. Ma l'attualità dei
fatti e del rischio, che deriva dall'emersione di tentativi di infiltrazione
della criminalità organizzata in organismi imprenditoriali, va intesa in senso
diverso da quella sostenuta dalla parte appellante. Vale a dire che, se non vi
sono fatti nuovi, rispetto ad una precedente valutazione di presenza di
tentativi siffatti, non è ragionevole, per ciò solo, concludere per il venir
meno di essa.
Invero,
il divieto di contrarre, ex art. 10, comma 1, d.p.r. 252/98, o
l'esigenza di annullare o revocare il provvedimento che ha consentito il
contratto o la concessione, hanno una funzione spiccatamente cautelare.
Prescindono, quindi, dal concreto accertamento, in sede penale, di reati, ma si
basano sulla oggettiva rilevazione di fatti, suscettibili di condizionare
scelte ed indirizzi di imprese che hanno, o mirano ad avere rapporti economici
con pubbliche amministrazioni o con soggetti privati, che ne svolgono le
funzioni. Si fondano, perciò, su fattori di pericolo.
Questi
fattori si manifestano per evidenze oggettive. Ma il rischio si può considerare
fugato, non tanto e non solo per il trascorrere di un più o meno breve lasso di
tempo dall'ultima verifica fatta e senza che sia emersa alcuna nuova evenienza
negativa, quanto per il sopraggiungere anche di fatti positivi, idonei a dar
conto di un nuovo, e consolidato operare dei soggetti cui è stato ricollegato
il pericolo, che persuasivamente e fattivamente giustifichi che si discostino
ormai dalla situazione rilevata in precedenza.
Orbene, i
fatti enunciati ed esaminati nell'appello non hanno la valenza positiva
necessaria con riguardo alla situazione verificata pochi anni prima. Perché
dimostrano soltanto che nessun ulteriore addebito può essere mosso, o è stato
mosso, alla persona esaminata. Non che sia sicuramente scomparsa ogni
situazione di rapporto con la malavita organizzata o, quanto meno, che se ne
possa trarre un giudizio diverso, e ciò a causa del non consistente tempo
trascorso dall'ultimo dei fatti di rischio accertati. In specie, quando viene
riconosciuto che la situazione di "contatti" inquinanti si è
protratta dal 1964 al 1999, per trentacinque anni (sopra: 4.1).
E poi, in
punto di fatto, non vi sono elementi concreti sulla cessazione della
frequentazione di persone pregiudicate. Invero, sono stati dal primo giudice,
messi in luce collegamenti "inquinanti" del titolare della ditta con
almeno otto (un nono sarebbe deceduto) appartenenti ad un preciso
"clan" camorristico, senza che siano stati smentiti con il ricorso in
questa sede.
5. Il
secondo motivo dell'appello lamenta che è mancata la comunicazione
di avvio
del procedimento
volto alla revoca dell'affidamento dell'appalto del servizio.
Viene, in proposito, richiamata la
giurisprudenza che esige siffatta comunicazione,
in mancanza di esigenze di celerità, e quella che afferma che si deve così
procedere anche in vista di atti da assumere con contenutp vincolato.
Anche
questa censura non può essere condivisa.
Si può,
invero, omettere di verificare le singole situazioni che, in concreto, hanno
indotto, nei giudizi citati dalla parte, alle affermazioni riportate, giacché,
nella specie, è sufficiente rimarcare:
a) che certamente non corrisponde
allo scopo partecipativo, cui mira l'art. 7 della l. 7 agosto 1990, n. 241, l'avvio di un accertamento indagatorio in
tema di contatti con la criminalità organizzata;
b) che altrettanto negativamente
va risolta la questione della previa conoscenza da darsi dell'avvio del procedimento di revoca
in questione, dopo il compimento delle indagini. E ciò proprio per il carattere
spiccatamente cautelare della misura, nella quale esso sfocia, e che fa
rilevare quelle esigenze di celerità, che, nell'esplicita premessa dell'art. 7,
comma 1, rendono giustificata l'omissione della notizia partecipativa
altrimenti prescritta.
6. Dalla
infondatezza dell'appello per quel che riguarda la revoca dell'appalto, deriva
la mancanza di fondamento della domanda risarcitoria avanzata.
7. Alla
conferma della sentenza impugnata può farsi seguire la compensazione delle
spese fra le parti costituite.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l'appello
n. 3371 del 2005.
Spese
compensate.
Ordina
che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quinta), nella camera di consiglio del 15 novembre 2005, con l'intervento dei
Signori:
Sergio
Santoro Presidente
Giuseppe
Farina rel. est. Consigliere
Corrado
Allegretta Consigliere
Chiarenza
Millemaggi Consigliere
Nicola Russo Consigliere