Attività amministrativa illegittima – risarcimento danni morali –
ammissibilità.
Il Tar Sicilia riconosce, in astratto, la configurablità di un risarcimento dei
danni morali derivanti da provvedimenti amministrativi dichiarati illegittimi.
Nella specie, il Comune aveva emesso un provvedimento di diniego di
autorizzazione in variante: detto provvedimento era stato annullato in seguito
ad una precedente pronuncia giurisprudenziale. Il Tribunale ha ravvisato nel
comportamento ostruzionistico dell’amministrazione la sussistenza di
quell’elemento psicologico necessario per consentire un legittimo
riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni nonché l’esistenza del
nesso causa effetto tra il comportamento illegittimo e i danni subiti.
REPUBBLICA
ITALIANAN. 0643/06 Reg. Sent.
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANON. 0598/05 Reg.
Gen.
Il Tribunale
Amministrativo Regionale per la
Sicilia, Sezione Staccata di Catania, Sezione Prima, composto
dai Signori Magistrati:
Dott.Vincenzo Zingales Presidente
Dr.ssa Rosalia
Messina
Consigliere
Dott.Pancrazio Maria Savasta Consigliere rel. est.
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
sul ricorso n°
598/05 R.G. proposto da GN ed IG, rappresentati e difesi dagli avv.ti Paolo
Falzea e Maurilio Scafidi edelettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. Simona Pavone, sito
in Catania Via Cervignano n. 11;
contro
il Comune di Gioiosa
Marea, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv.
Vincenzo Amato ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Giovanna
Seminara sito in Catania Via F. Crispi n. 246;
per la condanna
al risarcimento dei danni materiali, morali,
biologici ed esistenziali subiti in conseguenza di una serie di atti
amministrativi volti a reprimere asseriti abusi edilizi.
Visto il ricorso ed
i relativi allegati;
Visto l’atto di
costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata;
Viste le memorie
prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti
della causa;
Designato relatore
per la pubblica udienza del 7.12.2005 il Consigliere Dr. Pancrazio Savasta;
Uditi gli avvocati
delle parti, come da verbale d’udienza;
Ritenuto in fatto e
considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con sentenza n.
1207/02, che ha acquisito autorità di giudicato in quanto non impugnata, questo
stesso Tribunale, in
accoglimento di alcuni ricorsi del Sig. G N, ha annullato una serie di dinieghi
di autorizzazioni edilizie e conseguenti ordinanze di sospensione lavori
disposti dal Comune di Gioiosa Marea.
Con il ricorso in
epigrafe, asseriscono i ricorrenti che il sig. N, al fine di trasferire la propria residenza e
quella della sig.ra G da Messina a Gioiosa Marea, acquistava dalla A Costruzioni
s.r.l. di G B una villa sita nel complesso l’Altro Airone nella panoramica
frazione S.Giorgio.
Nelle more della
stipula dell’atto pubblico, lo stesso venditore otteneva (con nota prot. n. 8004 del 25/1/94)l’autorizzazione per la costruzione di vani
accessori interrati da adibire a posto macchina e cantina, inglobanti una
piattaforma elevatrice. Tale autorizzazione – già dotata del N.O. del Genio
Civile – era per i ricorrenti condizione essenziale per l’acquisto, posto che
la stessa era necessaria per consentire l’accesso all’abitazione de qua
alla signora G, gravemente invalida ed impedita all’ascensione delle scale,
stante la ridotta capacità motoria.
Il 7/4/94 venivano
sospesi i lavori, appena iniziati.
L’8/4/94, il Signor
G, frattanto divenuto proprietario, comunicava al Sindaco l’inizio dei lavori.
Il 19/4/94, il
Sindaco invitava il ricorrente a sospendere i lavori “nelle more dell’autorizzazione del condominio” “così
come prescritto al punto n° 2 dell’autorizzazione”.
Asseriscono i
ricorrenti, però, che detta limitazione non era presente nel provvedimento
autorizzativo.
Con telegramma del
20/4/94, il Sig. Go, unitamente al Direttore Lavori Ing. SF, comunicava al
Sindaco l’impossibilità di sospendere i lavori in quella fase tecnica perché lo
scavo aperto poteva determinare crolli. Quest’ultimo, inoltre, il 21/4/94
contestava la presunta infrazione del punto 3 del regolamento di condominio,
sul quale, comunque, nessuna legittima intromissione sarebbe possibile da parte
del sindaco del Comune.
Il 23/4/94, seguiva
un ulteriore sopralluogo dei VV.UU. che, nel verbale contestualmente redatto,
davano atto di non aver riscontrato alcuna difformità.
Ciò nonostante, il
Sindaco, con ordinanza n.18 del 26/4/94, revocava l’autorizzazione prima
concessa “nelle more dell’autorizzazione del condominio”.
Il Sig. G,
preoccupato di dover sospendere i lavori nel denunciato stato di pericolo, il
4/5/94 notificava al Sindaco atto extragiudiziale imputandogli preventivamente
la responsabilità di eventuali oneri risarcitori per le possibili frane.
La risposta del
Sindaco, datata 7/5/94, riproponeva in sostanza la pretesa dell’autorizzazione
condominiale.
Il 14/5/94 il
ricorrente chiedeva ed otteneva l’autorizzazione condominiale con la
maggioranza di 58 su 60 presenti all’assemblea.
Il 16/5/94 il Sig. G
paventando che il Comune di Gioiosa Marea eccepisse che la piattaforma
elevatrice fosse omologata solo fino a mt. 4,00 mentre il dislivello da coprire
era di mt. 5,50, presentava un’istanza di variante per far posto ad un vero
ascensore.
Nella relazione
puntualizzava che l’opera era destinata in favore della propria compagna
invalida ai sensi della L. 13/89 ed allegava certificato d’invalidità. Indi,
riprendeva i lavori. Dopo qualche ora, lo stesso giorno 16/5/94, i tecnici comunali
effettuavano l’ennesimo sopralluogo non ravvisando nulla da segnalare nel
verbale datato 17/5/94.
Il 18/5/94 veniva
effettuato un ulteriore intervento dell’Ufficio Tecnico Comunale, che accertava
che il “muro lato valle anziché essere ml. 7,00 misurava ml. 7,06…” l’angolo lato Messina anziché essere
arrotondato era quasi retto” etc . . .
Il Sig. G, presente
al sopralluogo, faceva verbalizzare che era stata presentata istanza di
variante e depositata la richiesta autorizzazione condominiale. Alla fine i
tecnici, nel verbale datato 20/5/94, davano atto di aver riscontrato solo “violazioni di poca entità”.
Il 26/5/94 il
Sindaco sospendeva comunque i lavori definendoli sommariamente “non autorizzati e quindi abusivi”.
Inoltre, il Comune stabiliva che per la variante non
era più sufficiente la semplice autorizzazione, ma che occorreva la
concessione, per cui veniva richiesto il parere della Commissione Edilizia.
Quest’ultima si
pronunciava il 24/5/94 e, come stabilito nella nota a firma del Sindaco fatta pervenire
il 3/6/94 al ricorrente, concludeva con parere favorevole“a condizione che la
parete esterna del manufatto segua la pendenza e l’allineamento delle murature
di contenimento esistenti…” murature che erano inclinate a fronte di nuovi pilastri ormai
realizzati perpendicolarmente, conformemente al progetto originario.
Asseriscono i
ricorrenti che, in sostanza, la
C.E.C.avrebbe
rilasciato un fittizio parere favorevole, da interpretarsi come un ordine di
demolizione, stante l’impossibilità di adeguamento.
Inoltre, la ripresa
dei lavori, come da nota sindacale, restava subordinata “al rilascio della
prescritta concessione”, che, nel lotto di terreno per cui è ricorso non poteva
essere legittimamente rilasciata, essendo stata esaurita la cubatura urbanistica
di pertinenza.
Le dette circostanze
risulterebbero confermate nella perizia disposta dalla Procura della Repubblica
di Patti e redatta dall’Arch. RL.
Come paventato dai
ricorrenti, la prima frana ebbe luogo a settembre del 1994, ma il telegramma
con cui la si comunicava al Sindaco rimaneva senza risposta, così come il
successivo datato 20/9/94 con cui si informava il Sindaco che i ricorrenti
erano rimasti senza abitazione, avendo dovuto consegnare agli acquirenti la
casa di Messina, alienata per poter acquistare la villetta oggetto del ricorso.
I mobili esistenti
nell’abitazione di Messina venivano collocati da parte del Sig. G. in altro suo
immobile di Gioiosa Marea, presso il Condominio Collemare, pregiudicando così
la possibilità di darlo in locazione.
Questi era costretto
a far la spola tra il Condominio Collemare e l’abitazione dei genitori a
Messina, mentre la Sig.ra G
rimaneva stabilmente a Messina presso la madre abitante in un immobile dotato
di ascensore.
Intanto, avverso il
parere della C.E.C., il Sig. G faceva ricorso innanzi a questo Tribunale,
iscritto al n. 5577/94 R.G., che, con Ordinanza n. 3317/94 rigettava la domanda
cautelare,ritenendo il provvedimento
amministrativo“endoprocedimentale, privo di rilevanza esterna e pertanto non lesivo degli interessi legittimi del
ricorrente.
All’inizio del 1995
si produceva una ulteriore e più grave frana immediatamente segnalata al
Sindacoe, per conoscenza, alla Procura
ed al Genio Civile.
Il 10/1/95, previo
sopralluogo, i tecnici dell’U.T.C. davano atto della frana intervenuta.
L’11/1/95, il
Sindaco convenendo che occorreva realizzare opere di contenimento invitava il
Sig. G a presentare istanza a tal fine.
Con raccomandata
pervenuta al Sindaco il 20/1/95, il ricorrente presentava l’istanza corredata
da una nota tecnica dell’Ing. S e riprendeva i lavori.
Il 26/1/95, il
Sindaco sospendeva nuovamente i lavori con l’ordinanza n. 5, senza tenere conto
della determina dallo stesso emanata e volta ad ovviare al pericolo.
Il 28/1/95 il Sig. G
contestava la decisione. Il 31/1/95 la
C.E.C. esprimeva parere negativo per la variante: “cubatura inammissibile per via del fatto che i
pilastri si innalzano verticalmente mentre il preesistente muro di sostegno si
innalza inclinato . . .”.
In sostanza, come
già stigmatizzato nella perizia del CTU arch. R, il ricorrente avrebbe dovuto
demolire i pilastri realizzati conformemente all’autorizzazione rilasciata per
ricostruirli secondo i dettami sopravvenuti del Comune di Gioiosa Marea.
Dietro richiesta del
ricorrente e dell’Ing. S era intanto intervenuto il Genio Civile che “ravvisava la necessità di completare le opere…
al fine di scongiurare ulteriori possibili fenomeni di franamento”. Contestualmente detto Ufficio informava la Procura.
Il 2/2/95 il
“vicesindaco” inviava “tele” al Sig. G. per autorizzarlo alla messa in
sicurezza. Sennonché, in gran parte il danno si era oramai verificato, come si
evince dalla perizia giurata redatta dall’Ing. S.
Il 6/4/95 con
ordinanza n. 35 il Sindaco emanava il suo primo ordine di demolizione.
Questo Tribunale, in
data 10/5/95, sospendeva il parere negativo al progetto di variante presentato
dal sig. G il 16/5/94.
Il vicesindaco
(formalmente sostituente il Sindaco finito sotto processo) si dichiarava pronto
a darvi ottemperanza pretendendo però la presentazione dell’istanza di
concessione, invece di debitamente rilasciare le autorizzazioni negate col
provvedimento annullato.
Nel frattempo il
Sig. G riprendeva i lavori ed il 19/6/95 veniva prontamente denunciato alla
Procura della Repubblica dal Comune di Gioiosa Marea.
Il 30/6/95 il Sig. G
presentava una seconda variante per portare l’ascensore sino alla zona notte,
non più limitandosi, ma avvalendosi appieno della L. 13/89.
Intanto, questo
Tribunale, che prima aveva annullato il diniego all’autorizzazione della
variante, successivamente, con Ordinanza n. 1117/95 del 9/6/95, rigettava la
domanda cautelare proposta avverso l’ordine di demolizione dei lavori.
Per cui,
contraddittoriamente, il vicesindaco in data 8/7/95 prima tornava ad invitare
il Sig. G ad attivarsi per il rilascio della concessione e poi, il 12/7/95, lo
denunciava alla Procura per non aver ottemperato all’ordine di demolizione.
Verificata
formalmente tale inottemperanza in data 18/7/95, il giorno successivo si procedeva
al sequestro giudiziario dell’immobile.
Nel contempo il
Consiglio di Giustizia Amministrativa, con Ordinanza n. 560/95 del 14/9/95,
accoglieva l’appello proposto dal G e sospendeva l’ordine di demolizione.
Successivamente, lo stesso C.G.A., con Ordinanza n. 758/95 del 19/10/95,
rigettava l’appello del Comune di Gioiosa Marea avverso l’ordinanza del 10/5/95
di questo Tribunale. Conseguentemente la Procura il 21/12/95 disponeva il dissequestro del
cantiere.
Tuttavia, il Comune
di Gioiosa Marea, nella persona del vice sindaco, in data 23/1/1996, ordinava
la sospensione lavori perché il Sig. G non aveva regolarizzato la pratica per
il rilascio della concessione.
A questo punto il
ricorrente presentava istanza di concessione, ma la stessa, una volta richiesta,non veniva rilasciata.
L’8/3/96 venivano
apposti i sigilli amministrativi ai lavori per l’ascensore dell’invalida.
Il 12/3/96 la C.E.C. esprimeva parere
contrario anche alla seconda variante ritenendo vigente l’ordinanza n. 18 del
26/4/94 – quella, cioé, con cui era stata revocata l’autorizzazione originaria
“nelle more del rilascio dell’autorizzazione condominiale”.
Previo sequestro
giudiziario del già sigillato cantiere, il 3/4/96, il Signor G veniva citato in
giudizio per abuso edilizio e per aver eluso l’ordinanza sindacale di
sospensione lavori. Il giudizio promosso atteneva ai soli lavori previsti nella
seconda variante.
Il 18/10/97, con
sentenza n.125/97, il Sig. G veniva assolto dai reati contestati.
La motivazione
rileva, tra l’altro ed in particolare, l’illegittimità delle più salienti
ordinanze sindacali” “fondate su provvedimenti la cui efficacia era stata già
sospesa dalla giustizia amministrativa”.
Nel contempo, si
erano svolte nuove elezioni amministrative ed in data 16/1/98 il nuovo Sindaco
eletto disponeva la rimozione dei sigilli amministrativi.
Il 2/3/98, a seguito sopralluogo, i VV.UU. e l’UTC
davano atto che “non era stata rilevata alcuna violazione edilizia” e
che “i lavori risultavano conformi alla seconda variante presentata il 30/6/95”
.
Il 20/6/98 venivano
infine rimossi i sigilli.
Nel settembre 1998, adistanza di oltre 4 anni, precisamente 54
mesi, il Sig. G poteva riprendere senza alcun disturbo i lavori alla sua
abitazione e quindi poteva andare a vivere nella villa insieme alla signora G.
Tanto premesso in
punto di fatto, asseriscono i ricorrenti che i danni loro arrecati dal comportamento del Comune di
Gioiosa Marea sarebbero molteplici e di notevole entità, per i quali sarebbe
già stata predisposta una transazione poi non sottoscritta, nonostante il
parere legale acquisito sull’opportunità della stipula della stessa.
Riprese le
trattative, nell’agosto 2003 il tecnico effettuava i sopralluoghi, mentre il
Sig. G l’1/9/03 formalizzava la propria richiesta fissandola in Euro 200.000.
Il mese successivo
veniva infine raggiunto, in una riunione collegiale, l’accordo conclusivo per
il ridotto importo di Euro 113.500.
Anche questa volta,
però non si addiveniva alla transazione tra le parti e l’11/10/04 il Sindaco S.
inviava al Sig. G.una comunicazione, con la quale si rappresentava che il “risarcimento richiesto non è supportato
da rigorosi criteri oggettivi”.
Ciò posto,
asseriscono i ricorrenti di avere diritto al risarcimento per i seguenti danni:
1)mancato godimento della villa del residence L’Altro Airone per un periodo
di 54 mesi. Infatti, per effetto degli illegittimi provvedimenti adottati dal
Comune di Gioiosa Marea, per il periodo anzidetto la disponibilità
dell’immobile è stata sottratta al suo proprietario. Il risarcimento dovrebbe
essere determinato, tenendo presente il relativo valore locativo in regime di
libero mercato pari a Euro 12.000 annue. Pertanto sarebbe congruo un
risarcimento pari a Euro 54.000,00.
Detto risarcimento
dovrebbe essere esteso, per il medesimo periodo, anche ad altra abitazione di
proprietà del Sig. G. N. – l’appartamento del complesso Collemare sempre di
Gioiosa Marea – dove sono stati depositati mobili ed arredi provenienti
dall’abitazione di Messina alienata dal ricorrente proprio per l’acquisto della
villa sita nel residence l’Altro Airone.
Circa l’entità, i
ricorrenti rinviano al canone che risulta dal contratto di locazione stipulato
dal Sig. G. appena liberato l’alloggio, che consentirebbe di quantificare il
risarcimento specifico in Euro 15.350,00.
2)spese condominiali sostenute per la villa sita all’interno del residence l’Altro Airone e
per l’appartamento del Complesso Collemare per tutto il periodo che detti
immobili sono stati sottratti alla sua fruibilità. Come da ricevuta a firma
degli amministratori Euro 1.660.
3)ICI pagata negli anni
94,95,96,97 e 98, come da prospetto dei bollettini postali di
pagamento Euro 2.460,00.
4)maggior costo conseguente al
differimento della costruzione dal 1994 al 1998 considerato l’intervenuto aumento dei prezzi di materiali e mano
d’opera. Basti pensare
che solo l’ascensore ad assoluta parità di caratteristiche tecniche, ha
maturato un incremento documentato dal raffronto dei contratti di Euro 5.164,00
oltre la somma di Euro 516,00 che il Sig. Guglielmo ha perduto quale acconto
trattenuto dalla Sud Ascensori che nel 1996 ha cessato l’attività. Il complessivo
maggior costo sinteticamente apprezzato è pari ad Euro 20.000,00.
5)spese sostenute per la rimozione
del materiale franato e per il
trattamento della struttura con prodotto impermeabilizzante dall’interno, essendo perita nei crolli
la guaina esterna non più ricollocabile per motivi di sicurezza. Come da
fattura allegata, Euro 1.870,00.
6)spese sostenute per il
prodotto di cui al punto 5). Come da fattura allegata, Euro 940,00.
7)danni arrecati all’immobile
dalle frane causate dall’illegittime sospensioni lavori disposte in stato
di pericolo e cioè: infiltrazioni d’acqua di cui lo stesso Comune ha dato atto
con periodici blocchi dell’ascensore, umidità diffusa e refrattaria ai
trattamenti sin’ora eseguiti, muffe, svalutazione immobile per vizi estetici,
invecchiamento precoce del cemento armato posto a diretto contatto col
terrapieno e, col tempo, rischio di pregiudizi alla staticità, etc; così come
relazionato nella perizia allegata.- L’ammontare del danno può commisurarsi in
Euro 40.000,00.
8)spese sostenute per consulenze,
assistenza tecnica, perizie giurate,
etc. fornite dall’Ing. S
Franco per contrastare le iniziative del Comune di Gioiosa Marea e per
cautelarsi dalle medesime. Equitativamente, in misura non inferiore a
Euro10.000,00
9)spese legali sostenute per difendersi
dall’attività promossa dalle autorità penali (sequestri, processo, etc) per fatto del Comune di Gioiosa Marea e quelle sostenute in questi
anni per pareri e consulenze, atti extragiudiziari, diffide, etc da liquidarsi
equitativamente in almeno Euro 15.000.
10)in via equitativa, spese per
bolli, copie, telegrammi, dattilografia, raccomandate, telefonate, viaggi,
estratti giudiziari, certificati, etc, sostenute per colpa del Comune di Gioiosa
Marea dall’aprile 1994 ad oggi. Forfettariamente Euro 2.750,00.
11)danni alla salute che il Sig.r G
N ha subito in conseguenza dei
provvedimenti illegittimi ed iniquiadottati dal Comune di Gioiosa Marea per così tanto tempo consecutivo. Lo stress, la prostrazione, l’amarezza per
l’assoluzione dei responsabili, il rimpianto di una vita programmata e presunta
ben diversa da quella a cui si è visto costretto, avrebbero pregiudicato la sua
integrità fisica determinando l’insorgere di patologie prima inesistenti:
nevrosi d’ansia, gastrite, labirintite, ulcere non di origine batterica.
Per accertare il nesso di casualità, l’entità dei postumi permanenti residuati
ed infine quantificare il danno si chiede che venga disposta consulenza medico
legale.
12)entrambi i ricorrenti, per i
rilevantissimi danni esistenziali e morali. Relativamente a tale richiesta basta considerare che agli stessi, allora
mediamente di quasi cinquanta anni di età e quindi non più giovanissimi, è
stato di fatto impedito di vivere insieme per oltre quattro anni con tutte le
conseguenti implicazioni e privazioni.
Il significativo
esborso di denaro cui hanno dovuto far fronte avrebbe imposto un tenore di vita
inferiore a quello che diversamente si sarebbero potuto consentire, con
definitivo pregiudizio di possibilità non più ripetibile con l’avanzare
dell’età.
Particolarmente
dolorosa e sofferenziale la condizione imposta alla Sig.ra G che è stata
pubblicamente mortificata nelle sue menomazioni, tant’è vero che la stessa si è
persino sentita responsabile di tutti i guai cui è andato incontro il suo
compagno per soccorrerla nelle esigenze derivantile dalla sua invalidità. Non
solo: un serrato dibattito pubblico avrebbe dato estrema notorietà alla vicenda
innescando curiosità morbose che comportano alla Sig.ra G comprensibile disagio
nell’ambiente in cui vive a tutt’oggi.
Costituitosi, il
Comune ha concluso per il difetto di giurisdizione di questo Tribunale e,
comunque, per l’infondatezza del gravame.
Alla pubblica
udienza del 7.12.2005 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
I.Prima di esaminare nel merito la
complessa vicenda scaturente dal ricorso in epigrafe, il Collegio deve farsi
carico di valutare la preliminare eccezione di inammissibilità sollevata dalla
difesa del Comune intimato, secondo il quale sulla domanda risarcitoria
introdotta dai ricorrenti difetterebbe la giurisdizione di questo Tribunale a
favore del Giudice Ordinario.
Secondo quanto
prospettato dall’Amministrazione resistente, infatti, la competenza a conoscere
detta domanda appartiene a quest’ultimo Giudicante, ove questa, come nel caso
di specie, consegua dall’illegittimità di atti relativi alla materia edilizia
(e, segnatamente, ad autorizzazioni e/o concessioni edilizie) tutti antecedenti
al d.lgs.vo 80/1998, posto che, solo con l’art. 34 in esso contenuto, il
Legislatore ha esteso anche in dette ipotesi la giurisdizione del G.A al
risarcimento del danno.
Più
dettagliatamente, ad avviso del Comune intimato, l’art. 45, comma 18, della
citata fonte legislativa ha indicato l’1 luglio 1998 quale termine per il nuovo
riparto della giurisdizione, per cui quest’ultima resterebbe incardinata presso
il G.O. per tutte le controversie pendenti al 30 giugno 1998 e, quindi, anche
per il caso in esame, posto che le doglianze nel merito sono state introdotte
con vari ricorsi negli anni 1994 – 95, anche se risolte con sentenza del 2002
da questo stesso Tribunale.
La prospettata
eccezione non può essere condivisa.
L’art. 45, comma 18,
invocato dal Comune resistente, in effetti, così si esprime:
“le controversie di cui agli articoli 33 e 34 del presente
decreto sono devolute al giudice amministrativo a partire dal 1° luglio 1998.
Resta ferma la giurisdizione prevista dalle norme attualmente in vigore per i
giudizi pendenti alla data del 30 giugno
1998”.
Ritiene il Collegio
che il ricorso in esame, volto alrisarcimento dei danni conseguenti all’attività riconosciuta illegittima
da questo Tribunale, in quanto introdotto nel 2005, non può considerarsi
“pendente” al 30 giugno 1998, anche se, come chiarito, i gravami di merito sono
antecedenti a detto termine.
Invero, il sindacato sulla
legittimità di provvedimenti autoritativi, quali sono quelli impugnati con i
ricorsi di merito (diniego di autorizzazioni e/o concessioni ad edificare),
così come le questioni risarcitorie ed altre questioni patrimoniali
consequenziali, appartengono alla giurisdizione amministrativa.
Il principio deriva dal disposto
dell’art. 34, comma 1, del d. lgs 31 marzo 1998, n. 80, confermato dall’art. 7
della l. 21 luglio 2000, n. 205, che ha esteso la cognizione del giudice
amministrativo alle controversie, in materia di urbanistica ed edilizia, che
hanno per oggetto diritti patrimoniali consequenziali alle pronunzie di
illegittimità, ivi comprese quelle di risarcimento dei danni.E’ bene precisare che in tema di concessioni
edilizie, sulla cui riconosciuta illegittimità si appuntano le richieste
risarcitorie introdotte con il presente giudizio,il G.A. era già dotato di giurisdizione
esclusiva ai sensi dell’art. 16 della l.n. 10/1977.
Dall’esame del successivo art. 35 emerge, senza possibilità di
dubbio alcuno, che per i danni derivanti da provvedimenti autoritativi,
riconosciuti illegittimi in sede di giurisdizione esclusiva, è competente, in
via consequenziale, il giudice amministrativo.
La norma, in effetti, non attiene alla giurisdizione, ma alla
estensione dei poteri del G.A. (cfr. Corte cost. 204/04), nel senso che, per un
principio di concentrazione, la stessa configura ora come "piena" la
giurisdizione, sia esclusiva che generale di legittimità del G.A. (ex art.
7 l.n.
1034/1971), autorizzando il detto Giudicante a conoscere anche delle domande
risarcitorie connesse alla impugnazione dell'atto, ove appunto sussista, in
relazione a questo, la sua giurisdizione, e non già in relazione a qualsiasi
istanza risarcitoria formulata nei confronti della P.A. (TUCassazione Civile, Sez. Unite, 31 marzo
2005, n. 6743UT).
In altri termini, il venir meno,
per annullamento giurisdizionale, di atti che sono espressione di una posizione
di autorità, fa concentrare la cognizione del risarcimento dei danni
conseguenti dinanzi allo stesso giudice amministrativo che verifica il corretto
esercizio del potere (cfr. Cons. Stato, A.P., 9.2.2006, n. 2; in senso
conforme, per il principio, giurisprudenza ivi citata: Cass. SS. UU. 31 marzo
2005, n. 6745; 9 marzo 2005, n. 5078; 17 novembre 2004, n. 21710).
La
questione ulteriore, come premesso, é se detta assorbente cognizione sia
concepibile ove la pretesa risarcitoria, come nel caso di specie, sia stata
avanzata separatamente da quella che ha dato corso al sindacato di legittimità.
Il Tribunale ritiene di dover
incondizionatamente aderire a quanto recentemente asserito dal Supremo Consesso
della Giustizia amministrativa con la citata decisione n. 2/2006, ove è stato
sottolineato che è da ritenersi ininfluente, ai predetti fini dell’attribuzione
della giurisdizione, lo iato temporale sul quale affonda il dubbio sollevato
con l’eccezione in esame.
Asserisce
l’A.P. che la scelta di un momento successivo, per prospettare la domanda
consequenziale, non giustifica una diversa competenza giurisdizionale. Né sul
piano testuale, giacché nessuna delle due norme in discorso – l’art. 7
novellato della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, e l’art. 34, comma 1, del d.lgs.
31 marzo 1998, n. 80 – introduce una prescrizione di contestualità fra
sindacato di legittimità e cognizione degli effetti di ordine patrimoniale. Né
sul piano logico-sistematico, perché si mostra inaccettabile, in via di
principio, una tesi che lasci al ricorrente la scelta del giudice competente,
proponendo insieme o distintamente le due domande, senza che mutino i
presupposti di fatto e di diritto sui quali si fondano. E, in definitiva, in
contraddizione con lo “strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello
classico demolitorio e/o conformativo”, riconosciuto dal giudice costituzionale
(sentenza n. 204 del 2004) a giustificazione della concentrazione nel giudizio
amministrativo della cognizione delle questioni conseguenziali di ordine
patrimoniale.
Secondo l’A.P., inoltre,
coerentemente con la precedente decisione del 18 ottobre 2004, n. 10, la regola
della concentrazione, davanti al giudice dell’impugnazione, anche della
cognizione della pretesa riparatoria, non conduce ad una diversa soluzione,
quando la controversia sul risarcimento sia prospettata con autonomo, e
successivo, ricorso, ossia dopo che il giudizio sul provvedimento si sia
concluso e la relativa decisione sia passata in giudicato. Ed, invero, il nesso
fra illegittimità dell’atto e responsabilità dell’autorità amministrativa che
lo ha posto in essere, non ha diversa natura, né è meno stretto o di diversa
intensità se le due questioni dibattute – quella di non conformità a legge
della misura autoritativa e quella di responsabilità per i danni che ne sono
derivati – sono esaminate e risolte in unico o in separati giudizi.
Perciò, è stato sottolineato (cit. Ad. plen. n. 10 del
2004), che “l’atto dalla cui illegittimità si origina la domanda di
riparazione, si manifesta come momento essenziale per la cognizione della
ulteriore vicenda di ripristino della situazione del soggetto che ne è stato
leso, perché è la causa diretta – o perché deve verificarsi se è stato la causa
diretta – delle conseguenze negative lamentate”. Sicché, sia in sede di
ottemperanza, sia in sede di esame della domanda risarcitoria-reintegrativa,
può sorgere l’esigenza di verificare – in implicazioni ulteriori riguardanti la
responsabilità, il nesso causale o la misura del danno derivatone – lo stesso
provvedimento ed il procedimento dal quale è scaturito. Questa verifica spetta
al giudice che già ne ha riconosciuto, o che è chiamato a conoscere,
l’illegittimità dell’azione amministrativa.
Conclusivamente,
l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione va
rigettata e, per l’effetto, va ritenuta la competenza di questo Tribunale.
II.E’ possibile, dunque, passare all’esame
del merito del ricorso.
Con sentenza n.
1107/2002, questa stessa
Sezione, dopo aver dichiarato l’inammissibilità del ricorso n. 5574/94,
proposto, come i successivi di seguito citati, dal solo GN,perché rivolto ad atto endoprocedimentale
(comunicazione del parere favorevole, ma condizionato,della C.E.C. sul progetto di variante
edilizia presentato in data 16.5.94), ha accolto il successivo gravame iscritto al n. 1849/95,
volto ad impugnare il definitivo provvedimento negativo su detta variante,
nonché quello iscritto al n. 2675/95, con il quale è stato avversata
l’ordinanza n. 35 del 6.4.1995 di sospensione e demolizione lavori, frattanto
realizzati.
La predetta
decisione così si è espressa:
“Come si rileva chiaramente
dalla relazione del consulente tecnico d’ufficio dell’Arch. R nominato nel
procedimento penale n. 190/94, le opere eseguite dal ricorrente sono
riconducibili a quanto autorizzato dal sindaco di Gioiosa Marea in data
25.1.1994 e corrispondono a quelle previste nel progetto di variante approvato
il 24.5.94. La condizione apposta dalla C.E. determinerebbe a detta del C.T.U.
onerose opere di demolizione e ricostruzioni, e renderebbe il manufatto
difforme da quello originariamente autorizzato e, di fatto, realizzato.
Come contestato
dal ricorrente con le censure addotte, da un lato il procedimento incardinato
con la richiesta di autorizzazione in variante è stato illegittimamente
aggravato dal richiesto parere della C.E. non previsto per il rilascio di
autorizzazioni edilizie e, dall’altro è culminato in un atto di diniego
contraddittorio rispetto ad un parere, favorevole, precedente emesso e in
palese travisamento dei fatti, rilevata la insussistenza di discrasie e
divergenza con quanto originariamente autorizzato, giusta le risultanze della
C.T.U. prodotta in atti.
La rilevata
fondatezza della censure posta a sostegno del secondo ricorso in epigrafe,
determina l’accoglimento del ricorso n. 2675/95 R.G. proposto avverso
l’ordinanza di demolizione n. 35/95.
Le opere
realizzate dal ricorrente non sono infatti assoggettate a regime concessorio,
bensì a regime autorizzatorio e di tali opere è stata riscontrata la
corrispondenza rispetto a quelle regolarmente autorizzate dal Comune intimato.
Non sussiste in
capo al Comune di Gioiosa Marea il potere sanzionatorio esercitato fuori dai
casi consentiti dalla legge in assenza di riscontrati abusi edilizi, potendo la
demolizione essere irrogata solo nella ipotesi di edificazione effettuata in
assenza di concessione edilizia o in totale difformità con una concessione
rilasciata.
Conclusivamente i
ricorsi in epigrafe vanno riuniti e del primo va dichiarata la inammissibilità
per carenza di interesse, mentre gli altri due vanno accolti perché fondate le
censure che li sostengono”.
In sostanza, l’attività ritenuta illegittima
da questo Tribunale si riferisce alla ingiusta apposizione di una condizione
alla variante presentata dal ricorrente in data 16.5.1994 ed al conseguente
ordine di demolizione.
Ne deriva che le rappresentate vicende anteriori a
detta data non possono essere prese in considerazione ai fini risarcitori.
Dall’esame del
fatto, inoltre, emerge che l’effetto degli atti annullati, e segnatamente la
sospensione dei lavori (tranne trascurabili interruzioni) finisce con il
21.12.1995, data di dissequestro del cantiere.
Tutte le vicende
successive attengono ad ulteriore attività, sia pure collegata alla vicenda in
esame, ma, sotto il profilo strettamente amministrativo,caratterizzata da una serie di atti e di
omissioni diversi, iniziati con la nuova sospensione dei lavori del 23.1.1996,
motivata con la mancanza di concessione edilizia, e definiti, poi,
dall’Ordinanza n. 21 dell’8.3.1996 di apposizione sigilli al cantiere (con la
quale, invero, oltre al richiamo agli atti precedenti, vi è l’espresso
riferimento alla istanza di concessione frattanto presentata l’8.2.1996) ed,
infine, dal parere negativo della C.E.C. del 12.3.1996, comunicato al
ricorrente, con il quale si é ribadito in ordine alla seconda variante che “le
opere realizzate non possono considerarsi pertinenze di fabbricato esistente,
anche se richieste ai fini della L. 13/89 per le quali non viene dimostrata la
rispondenza al P.R.G. Si rilevano inoltre evidenti difformità all’invocata L. 13/89”.
Nel corpo del parere
emerge, altresì, che il relativo giudizio si è formato anche sulla scorta di
diversi sopralluoghi effettuati dall’Amministrazione, a dimostrazione di
un’attività istruttoria autonoma.
Tutti i detti atti,
compreso il diniego di concessione del 12.3.1996, non sono oggetto della
sentenza n. 1207/2002 e, quindi, non risultando annullati, supportano
autonomamente l’agire amministrativo dalla cui asserita (ma non giudizialmente
dichiarata) illegittimità i ricorrenti vorrebbero far dipendere in parte il
diritto al risarcimento del danno.
Ora, a prescindere
dalla valutazione circa la prescrizione non dedotta in giudizio sui danni
emergenti da questa ulteriore attività, il Collegio ritiene che i ricorrenti
avrebbero dovuto, nei termini decadenziali, far valere, anche in via derivata,
l’illegittimità degli stessi, attaccando gli ulteriori provvedimenti
autonomamente lesivi.
In altri termini, il
consolidamento degli atti amministrativi, seppur illegittimi, impedisce la
proposizione dell’azione risarcitoria, posto che in questo caso il giudice
dovrebbe pregiudizialmente pronunciarsi sulla loro illegittimità fuori dai
prescritti termini decadenziali.
Del pari è
assolutamente non configurabile un potere di disapplicazione dei dinieghi e
degli ordini rivolti al ricorrente, posto che, il Collegio, aderendo al
dominante indirizzo giurisprudenziale, non reputa possibile l'esame incidentale
della legittimità di un atto amministrativo - non ritualmente impugnato -, ai
fini della cognizione di una domanda (principale) di risarcimento del danno di
un diritto da questo asseritamente ritenuto leso.
Il potere del giudice amministrativo di disapplicare
atti non ritualmente impugnati è invece rigorosamente circoscritto alle sole
ipotesi di giurisdizione esclusiva, relativamente alle controversie concernenti
originariamente diritti soggettivi, nonché nei riguardi di regolamenti
illegittimi, sia quando il provvedimento impugnato sia contrastante con il
regolamento, sia quando sia conforme al presupposto atto normativo. Al di fuori
di tali limiti, la disapplicazione va esclusa, non solo nei confronti di atti a
valenza generale privi di natura normativa, ma a maggior ragione nei confronti
di provvedimenti amministrativi puntuali. Ammettendo infatti il sindacato "incidentale"
su tali atti (generali ovvero individuali), si sovvertono le regole del
giudizio amministrativo, consentendo, come chiarito,l'elusione del termine di decadenza, o,
addirittura, come nella fattispecie, il completo sacrificio del diritto di
difesa dei controinteressati (cfr., sul punto, C.S., V. 10 gennaio 2003, n. 35;
T.A.R. Lazio, II Ter, 14.10.2004, n. 11000).
In quest’ultimo senso, dall’esame dell’ordinanza
comunale n. 21/1996, sembrerebbe altresì emergere un interesse concreto
contrario all’atto ampliativo denegato al ricorrente rispetto a soggetti, per
altro, non evocati in giudizio neanche con i ricorsi decisi con la sentenza n.
1207/02 di questo Tribunale.
In ordine, poi, alla insussistenza di un mero
diritto soggettivo, che, come chiarito, consentirebbe la disapplicazione, basta
osservare che la situazione del soggetto richiedente la concessione edilizia si
atteggia pacificamente come interesse legittimo, in quanto correttamente
fondato sul rilievo della necessaria intermediazione di un'attività
pianificatoria e provvedimentale dell'amministrazione che permetta la piena
attuazione dell'interesse del privato a costruire, che, nella fattispecie
controversa, è garantita mediante l’esercizio di atti autoritativi, come tali,
da impugnare nei termini decadenziali (Cons. Stato, V, 4.2.2004, n. 367).
In definitiva, una
volta concentrata presso il giudice amministrativo la tutela impugnatoria
dell’atto illegittimo e quellarisarcitoria conseguente, non è possibile l’accertamento incidentale da
parte del giudice amministrativo della illegittimità dell’atto non impugnato
nei termini decadenziali al solo fine di un giudizio risarcitorio, per cuil’azione di risarcimento del danno, mentre
per un verso può essere proposta sia unitamente all’azione di annullamento che
in via autonoma, dall’altro è ammissibile solo a condizione che sia impugnato
tempestivamente il provvedimento illegittimo e chesia coltivato con successo il relativo
giudizio di annullamento, in quanto al giudice amministrativo non è dato di
poter disapplicare atti amministrativi non regolamentari. (Cons. Stato,A.P. 4/2003).
E’ bene precisare, infine, che le dette conclusioni
non vengono meno in quanto nella materia rilevante nel presente giudizio vi è
la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, posto che ciò non
significa che tutte le controversie in argomento vertano su diritti soggettivi.
Vero è, infatti, che la giurisdizione esclusiva
implica l'attribuzione di un'intera materia al giudice amministrativo, a
prescindere dal tipo di situazione giuridica soggettiva fatta valere, e dunque
senza necessità di individuare il tipo di situazione soggettiva, ma questo al
solo fine della determinazione della giurisdizione. Però, una volta stabilito
che la giurisdizione è del giudice amministrativo, occorre anche nell'ambito
della giurisdizione esclusiva, individuare il tipo di situazione soggettiva
lesa (interesse legittimo o diritto soggettivo) al fine di delimitare i poteri
del giudice (Cons. Stato, A.P. 4/2003 cit.).
Conclusivamente, vanno
positivamente considerate, con i limiti di cui appresso, soltanto le domande
dedotte a partire dal 16.5.1994 e sino al 21.12.1995, con la necessaria
preliminare considerazione, che, sotto il profilo fattuale, all’abitazione
oggetto della controversia non era più possibile accedere “perché non era stato
ancora realizzato alcun passaggio in sostituzione della rampa di scala demolita
per l’esecuzione dei lavori (cfr. pag. 6 della C.T.U. disposta dalla Procura
della Repubblica di Patti).
Sotto il profilo soggettivo,
ai fini della individuazione della necessaria colpa dell’Amministrazione, la
decisione di questo Tribunale n. 1207/02, ha già stigmatizzato l’illiceità del
comportamento ostruzionistico del Comune che, senza alcun supporto normativo,
ha imposto obblighi pregiudizievoli. Dal che deriva certamente la sussistenza
di quell’elemento psicologico necessario per consentire un legittimo
riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni.
La circostanza non
può venir meno per l’asserita assoluzione in giudizio penale del sindaco del
Comune intimato, posto che la mancata attuazione di attività amministrativa in
conformità alle norme deputate a regolare la materia può trovare adeguato
fondamento nel più attenuato elemento psicologico della colpa, che, mentre è
insufficiente a costituire elemento imprescindibile per qualificare il reato
d’abuso d’ufficio (dal quale è stato riconosciuto non colpevole il sindaco), è
più che sufficiente per determinare la risarcibilità del danno.
Del tutto
tautologico è il rapporto causa-effetto tra il comportamento ritenuto
illegittimo da questo Tribunale con la sentenza n. 1207/2002 e parte dei danni
rappresentati in giudizio, posto che, come chiarito, l’impossibilità di
ultimare i lavori, secondo i legittimi desiderata dei ricorrenti, ha
comunque comportato anche l’impossibilità di uso limitato dell’immobile,
sprovvisto della rampascale d’accesso.
Venendo proprio alla
qualificazione dell’esatto rapporto causativo dei danni richiesti, seguendo lo
stesso ordine della domanda dei ricorrenti, vanno formulate le seguenti
osservazioni:
1)mancato godimento della villa del residence L’Altro Airone, oggetto della controversia, il cui danno è
statoquantificato in euro 1.000
mensili, e mancato uso di altra abitazione di proprietà del Sig. Guglielmo
Nunzio – l’appartamento del complesso Collemare sempre di Gioiosa Marea – dove
sarebbero stati depositati mobili ed arredi provenienti da altra abitazione
sita in Messina ed alienata dal ricorrente proprio per consentire l’acquisto
dell’immobile in contestazione.
Ritiene il Collegio
teoricamente risarcibile anche il danno per il mancato uso di altro immobile.
Sennonché, agli
atti, del detto trasferimento dell’originaria abitazione del ricorrente, non vi
è traccia alcuna, se non l’affermazione labiale contenuto a pag. 2 del ricorso,
nonché un telegramma del 20.9.94 con il quale il sindaco del comune intimato,
tra le altre cose, veniva reso edotto della asserita avvenuta consegna
dell’immobile.
Nè alcuna prova vi è
dell’utilizzo dell’altra abitazione ai fini del ricovero dei mobili, così come
prospettato in ricorso.
Anzi, dall’analisi
della perizia giurata di parte (pag. 8) allegata dagli stessi ricorrenti (all.
35), si evince che alla data di redazione (21.3.1995) “da quasi un anno ormai,
la ditta proprietaria è impossibilitata ad accedere alla propria villa in cui giacciono accatastati mobili ed arredi
colà trasportati dalla precedente residenza”.
In mancanza della dovuta prova del trasferimento e
del valore di mercato del villino, ritiene il Collegio di poter ammettere il
risarcimento per il mancato uso per il premesso periodo di diciannove mesi dal
16.5.1994 al 21.12.1995 solo per quest’ultimo. Posto che i ricorrenti hanno fornito un principio di prova almeno per
l’altra abitazione, sita anch’essa nel medesimo comune, è possibile disporre
sul punto consulenza tecnica d’ufficio.
2)spese
condominiali sostenute per la villa
sita all’interno del residence l’Altro Airone e per l’appartamento del
Complesso Collemare per tutto il periodo che detti immobili sono stati
sottratti alla sua fruibilità. Come da ricevuta a firma degli amministratori
Euro 1.660.
In atti vi sono le
ricevute di versamento per L. 3.219.099, pari ad Euro 1.662/52, di cui Lire
1.096.280 (pari ad Euro 566/18) per il condominio l’Altro Airone.
Detto ultimo importo
di Euro 566/18 va riconosciuto,
per quanto detto sub 1) in quanto riferito al villino oggetto del ricorso,
perché relativo a danno per esborso corrisposto nonostante la mancata
utilizzazione dell’immobile e, quindi, dei servizi condominiali.
3)ICI pagata negli anni
94,95,96,97 e 98, come da
prospetto dei bollettini postali di pagamento Euro 2.460,00.
L’asserito danno non
è collegabile al mancato uso degli immobili, configurandosi l’imposta dovuta a
prescindere da qualsiasi utilizzo degli stessi.
Consegue il rigetto
della domanda.
4)maggior costo
conseguente al differimento della costruzione dal 1994 al 1998 considerato l’intervenuto aumento dei prezzi
di materiali e mano d’opera.
Va riconosciuta la
differenza di costo dell’ascensore, posto che i ricorrenti documentano il costo
al 9.3.1995 (Lire 15.000.000) e quello al 10.2.1998, pari a Lire 25.000.000.
Invero i due
impianti appaiono avere caratteristiche simili.
Posto, però, che
l’indagine, per i motivi detti, va condotto sino al 1996, appare equo ridurre
l’incremento di che trattasi nella misura del 50%
Per cui il danno va
quantificato in Lire 5.000.000 più Lire 1.000.000 per anticipo apparentemente
versato, posto che viene allegato ordine di fornitura con detta previsione.
E’ dovuto, pertanto
l’importo complessivo di L. 6.000.000, pari a Euro 3.098/74.
L’incremento dei
costi per le opere diverse va, invece,stabilito in misura pari all'incremento del costo di costruzione dal
momento in cui è intervenuto l'illegittimo diniego
(16.5.1994) e sino alla già indicata data del 21.12.1995 (Cons. Stato,
IV, 2.6.2000, n. 3177).
Lo stesso verrà
determinato, mediante apposita C.T.U., tenendo conto delle previsioni di cui ai
prezziari regionali per le OO.PP. per i periodi riferimento (considerando la
decurtazione percentuale dei prezzi per le voci che compongono gli stessi e non
caratterizzanti gli appalti traprivati)
o con altri analoghi sistemi determinati dal consulente.
5)spese sostenute per la
rimozione del materiale franato e per il trattamento della struttura con prodotto impermeabilizzante
dall’interno, essendo perita nei crolli la guaina esterna non più ricollocabile
per motivi di sicurezza. Come da fattura Euro 1.870,00.
6) spese sostenute per il prodotto di cui al punto 5). Come da fattura allegata pari a Euro 940,00.
Le spese sub 5) e 6)
appaiono dovute.
E’ indubbio che gli
eventi franosi, per altro oggetto di precauzionali note di avvertimento da
parte del ricorrente, si sono verificati durante l’illegittima sospensione dei
lavori coperta dal giudicato della sentenza n. 1207/2002.
Appare opportuno
disporre C.T.U., al fine di confermare la necessità e l’utilità di posa dei
predetti materiali ai fini di interdire l’umidità nei locali del ricorrente.
7)danni arrecati
all’immobile dalle frane causate dall’illegittime sospensioni lavori disposte in stato di pericolo e cioè:
infiltrazioni d’acqua di cui lo stesso Comune ha dato attocon periodici blocchi dell’ascensore, umidità
diffusa e refrattaria ai trattamenti sin’ora eseguiti, muffe, svalutazione
immobile per vizi estetici, invecchiamento precoce del cemento armato posto a
diretto contatto col terrapieno e, col tempo, rischio di pregiudizi alla
staticità, etc; così come relazionato nella perizia allegata.- L’ammontare del
danno può commisurarsi in Euro 40.000,00.
Anche in questa
ipotesi va disposta C.T.U., nei modi di seguito indicati.
8)spese sostenute per
consulenze, assistenza tecnica, perizie giurate, etc. fornite dall’Ing. Spanò Franco per
contrastare le iniziative del Comune di Gioiosa Marea e per cautelarsi dalle
medesime. Equitativamente, in misura non inferiore a Euro 10.000,00
Detto tipo di danno
non può essere liquidato equitativamente, ma richiede la dimostrazione rigorosa
delle spese sostenute.
Consegue il rigetto
della domanda.
9)spese legali sostenute
per difendersi dall’attività promossa dalle autorità penali (sequestri, processo, etc.) per fatto del
Comune di Gioiosa Marea e quelle sostenute in questi anni per pareri e
consulenze, atti extragiudiziari, diffide, etc da liquidarsi equitativamente in
almeno Euro 15.000.
Il rigetto della
domanda consegue dalla medesima considerazione sub 8).
10)in via equitativa,
spese per bolli, copie, telegrammi, dattilografia, raccomandate, telefonate,
viaggi, estratti giudiziari,
certificati, etc, sostenute per colpa del Comune di Gioiosa Marea dall’aprile
1994 ad oggi. Forfettariamente Euro 2.750,00.
La domanda, oltre
che non supportata da alcun elemento di prova, appare generica e, pertanto, va
respinta.
III.Particolare attenzione merita la richiesta
dei danni di cui ai conclusivi punti nn. 11 e 12, che così sinteticamente si
possono rappresentare:
11)danni alla salute che
il Sig. G N avrebbe subito
in conseguenza dei provvedimenti illegittimi ed iniquiadottati dal Comune di Gioiosa Marea per così
tanto tempo consecutivo. Lo stress, la prostrazione, l’amarezza per
l’assoluzione dei responsabili, il rimpianto di una vita programmata e presunta
ben diversa da quella a cui si è visto costretto, avrebbero pregiudicato la sua
integrità fisica determinando l’insorgere di patologie prima inesistenti:
nevrosi d’ansia, gastrite, labirintite, ulcere Unon di origine battericaU. Per accertare il nesso di casualità,
l’entità dei postumi permanenti residuati ed infine quantificare il danno il
ricorrente ha chiesto consulenza medico legale.
12)entrambi i ricorrenti,
per i rilevantissimi danni esistenziali e morali.
Relativamente a tale richiesta, asseriscono i
ricorrenti che per effetto dell’illecito comportamento dell’Amministrazione
intimata, sarebbe stato loro di fatto impedito di vivere insieme per oltre
quattro anni con tutte le conseguenti implicazioni e privazioni.
Il significativo
esborso di denaro avrebbe imposto e tuttora imporrebbe loro un tenore di vita
inferiore a quello che diversamente si sarebbero potuto consentire, con
definitivo pregiudizio di possibilità non più ripetibile con l’avanzare
dell’età.
Particolarmente
dolorosa e sofferenziale sarebbe stata la condizione imposta alla Sig.ra G, in
quanto pubblicamente mortificata nelle sue menomazioni, tant’è che la stessa si
sarebbe persino sentita responsabile di tutti i guai cui è andato incontro il
suo compagno per soccorrerla nelle esigenze derivantile dalla sua invalidità.
Non solo: un serrato dibattito pubblico avrebbe dato estrema notorietà alla
vicenda innescando curiosità morbose che avrebbero comportato alla Sig.ra Greco
comprensibile disagio nell’ambiente in cui vive a tutt’oggi.
Le questioni
sottoposte all’esame del Collegio richiedono la ricostruzione dell’istituto del
danno biologico ed esistenziale, nonché il complesso compito della verifica
della applicabilità di detti istituti a fronte del poco esplorato campo
dell’attività “illecita” amministrativa.
Nella suddetta
materia, in effetti, tra i pochi precedenti si possono citare: TAR Catania,
19.6.2001, n. 1223; T.A.R. Bari, I, 25.7.2003, n. 3000; T.A.R. Napoli,
6.5.2004, n. 8235; e da ultimo Cons. Stato, Sez. VI, 16.3.2005, n. 1096; Sez.
V, 18.1.2006, n. 12.
Sembra al Collegio
interessante la rappresentazione delle questioni di fatto che hanno mosso dette
decisioni.
La prima di esse,
resa da questo Tribunale, ha ricollegato il danno biologico ed esistenziale al
pregiudizio ricevuto dal ricorrente per non aver potuto esercitare un’attività
ricreativa, quale dallo stesso ritenuta, in quanto illegittimamente gli era
stato revocato il permesso di porto d’armi finalizzato all’esercizio
dell’attività venatoria. Il danno in questo caso è stato liquidato senza il
sostegno di alcuna specifica prova ed in misura equitativa.
Il Tribunale
pugliese, invece, ha denegato il risarcimento del danno biologico, pur
ritenendolo configurabile nell’ipotesi di illegittimo fermo amministrativo
dell’automobile, in quanto il pregiudizio ricevuto dal ricorrente, diversamente
che nelle ipotesi di lesioni dirette alla personalità (sfera dell’onore e
reputazione, riservatezza, libertà personale), ove sarebbe possibile ricorrere
a criteri di tipo presuntivo, non è stato da questi dimostrato, con la
rappresentazione dei disagi e delle menomate occasioni di svolgimento della sua
personalità connesse alla privazione dell’autovettura (ad esempio,
utilizzazione di altri mezzi anche a titolo di trasporto gratuito, omessa
realizzazione di occasioni di vita quali viaggi, incontri, attività di
socializzazione in generale).
Il Tribunale
campano, invece, con il medesimo sistema del riconoscimento del danno
presuntivo, ha accolto la domanda di risarcimento per il pregiudizio
“biologico” nel caso di illegittima cartolina precetto, per effetto della quale
il ricorrente era stato costretto a svolgere il servizio militare di leva.
Le richiamate
decisioni del Consiglio di Stato, infine, hanno ritenuto riconoscibile il
risarcimento del danno biologico ed esistenziale, rispettivamente, per l’illegittima mancata assegnazione di un incarico di
supplenza nella scuola e per l’altrettanto illecito mancato riconoscimento del
diritto del ricorrente al pensionamento alla data da questi indicata ed il
consequenziale “obbligo” a restare in servizio.
Anche in
queste due ultime ipotesi si è pervenuti alla liquidazione di un danno in via
equitativa.
Ciò posto, occorre
stabilire in che cosa consista il danno non patrimoniale.
Senza addentrarsi
nella ricostruzione e nell’evoluzione storica dell’istituto, puntualmente
tratteggiata nelle citate pronunce del Consiglio di Stato, è possibile
concludere, conformemente a dette decisioni, che, così come da ultimo stabilito
dalle sentenze 8823/2003 e 8828/2003 della III
sezione civile della Corte di Cassazione, alle quali si è uniformata la
sentenza n. 233/2003 della Corte Costituzionale, il diritto vivente ha sancito
il principio secondo cui il danno non patrimoniale, pur in assenza di reato ai
sensi dell’articolo 185 del codice penale, va sempre risarcito, ai sensi
dell’art. 2059 c.c., ove connesso alla lesione di diritti essenziali della
persona sanciti dalla Carta Costituzionale.
Ciò in
quanto nel vigente assetto
dell'ordinamento, nel quale assume posizione preminente la Costituzione — che,
all'art. 2, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo —, il danno
non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni
ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona e non più limitata,
come nel passato, alle sole ipotesi di danno derivante dalla commissione di un reato
(ex art. 185 c.p.) ovvero dall’uso nel processo di espressioni sconvenienti ed
offensive (ex art. 89 c.p.c.).
Del resto, una lettura della norma
costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. impone di ritenere inoperanti
le suddette superate limitazioni, se la lesione abbia riguardato valori della
persona costituzionalmente garantiti. Occorre considerare, infatti, che nel
caso in cui la lesione abbia inciso su un interesse costituzionalmente
protetto, la riparazione mediante indennizzo (ove non sia praticabile quella in
forma specifica) costituisce la forma minima di tutela ed una tutela minima non
è assoggettabile a specifici limiti, poiché ciò si risolverebbe in un rifiuto
di tutela nei casi esclusi (arg. ex sentenza Corte Cost. n. 184/1986).
In definitiva,
l’area della tutela aquiliana va intesa ormai secondo una struttura bipolare.
Secondo la
richiamata decisione del Consiglio di Stato n. 1096/05, infatti, al risarcimento del danno patrimoniale, da sempre
saldamente collocato nel paradigma dell’art. 2043 c.c., si affianca il
risarcimento del danno non patrimoniale, che può ora trovare protezione più
ampia ed articolata nell’art. 2059 c.c., il quale, in una lettura
costituzionalmente orientata, divenuta imprescindibile per evidenti ragioni di
allineamento dell’interpretazione normativa a principi di civiltà giuridica,
non va più restrittivamente applicato in via esclusiva ai richiamati casi del
tradizionale danno morale soggettivo in virtù della tralaticia identificazione
dell’unica ipotesi di danno non patrimoniale espressamente previsto dalla legge
con il danno da reato ex art. 185 c.p.,ma
deve assicurare la riparazione, oltre che in ogni altra ipotesi legale espressa
di danno non patrimoniale risarcibile (si fanno, esemplificativamente, i casi
dell’art. 89 c.p.c., dell’art.
2 l. n.
117/1988, dell’art.
29 l. n.
675/1996, dell’art. 44 d. lgs. n. 286/1998, dell’art.
2
l. n. 89/2001), anche a quelle lesioni che, incidendo su valori e prerogative della persona,
dotate di posizione preminente nell’assetto costituzionale – in cui i diritti
inviolabili dell’uomo ed il divieto di discriminazioni irragionevoli assurgono
a rango di principi fondanti, irrinunciabili ed immodificabili (artt. 2 e 3
Cost.) – non possono non costituire figure di danno risarcibile, a prescindere
da connotazioni penalistiche, finalmente non più condizionanti.
Ne deriva che: il
danno non patrimoniale (risarcibile) deve essere inteso come categoria ampia,
nella quale trovano collocazione giuridica tutte le ipotesi in cui si verifichi
la lesione di beni o valori inerenti alla persona, ovvero sia il danno morale
soggettivo (o danno da reato, concretantesi nel turbamento dell’animo della vittima),
sia il danno biologico in senso stretto (o danno all’integrità fisica e psichica,
coperto dalla garanzia dell’art. 32 Cost.), sia il c.d. danno esistenziale (o
danno conseguente alla lesione di altri beni non patrimoniali di rango costituzionale).
Chiaro è che
l’individuazione di questi ultimi va fatta sulla scorta della categoria dei
diritti inviolabili ex art. 2 Cost. e, più in generale, dei principi
fondamentali e nella parte Prima della Carta costituzionale (uguaglianza,
libertà variamente tipizzate, famiglia, salute, studio, ecc.).
In altri
termini, come chiarito dalla Corte
di cassazione, sez. I, sentenza n.
7713 del 7 giugno 2000, la lesione dei diritti fondamentali della
persona, collocati al vertice della gerarchia dei valori costituzionalmente
garantiti, va incontro alla sanzione risarcitoria per il fatto in sé della
lesione (danno evento)
indipendentemente dalle eventuali ricadute patrimoniali che la stessa possa
comportare (danno conseguenza) -
come posto in luce dalla Corte costituzionale con la nota sentenza n. 184 del
1986.
La Corte
di Cassazione ha osservato che la vigente Costituzione, garantendo
principalmente e primariamente valori personali impone una lettura
costituzionalmente orientata del paradigma aquiliano (che non si sottrarrebbe
altrimenti ad esiti di incostituzionalità), “in correlazione agli articoli
della Carta che tutelano i predetti valori”, nel senso appunto che quella norma
sia “idonea a compensare il sacrificio che gli stessi valori subiscono a causa
dell’illecito”, attraverso “il risarcimento del danno (che) è sanzione
esecutiva del precetto primario ed è la minima delle sanzioni che l’ordinamento
appresta per la tutela di un interesse”.
Il danno
esistenziale consiste, pertanto, nei
riflessi esistenziali negativi (perdita di compiacimento o di benessere per il
danneggiato) che ogni violazione di un diritto della personalità produce.
A differenza del danno biologico, tale voce di danno
sussiste indipendentemente da una patologia (lesione fisica o psichica)
suscettibile di accertamento e valutazione medico-legale; diversamente dal danno patrimoniale, prescinde da una diminuzione
della capacità reddituale; rispetto al danno
morale, inteso come turbamento dello stato d'animo della vittima, non
consiste in una sofferenza od in un dolore, ma in un peggioramento della
qualità di vita derivante dalla lesione del valore costituzionale “uomo” (cfr. Cons. Stato, 125/2006 cit.).
La distinzione sopra
individuata non può non avere riflessi sull’onere della prova.
Prima di affrontare
il delicato argomento, il Collegio ritiene di dover ulteriormente indugiare
sulla questione, ricollegandosi ai principi generali.
Il condivisibile
bipolarismo della tutela aquiliana, argomentato dalla decisione n. 1096/05 del
Consiglio di Stato, finisce con indicare in maniera inconfutabile la natura
della responsabilità in cui incorre l’Amministrazione nell’ambito dell’attività
ritenuta illegittima.
La possibilità,
anch’essa da condividere, di riconoscere il danno non patrimoniale conseguente
all’agere amministrativo, finisce con il qualificare la responsabilità
dell’Amministrazionenecessariamente
come extracontrattuale, posto che l’art. 2059 c.c. costituisce una “costola” di
un unico corpo diverso e non estensibile alla responsabilità contrattuale.
In sostanza, senza
ulteriormente addentrarsi nella questione, invero dibattuta in giurisprudenza,
solo qualificando la responsabilità dell’amministrazione come extracontrattuale
è possibile giungere al riconoscimento del danno non patrimoniale, facendo,
così, giustizia delle teorie, invero non condivise dal Collegio, della
responsabilità da “contatto” (cfr., diffusamente sul punto, T.A.R. Catania, II,
13.8.2003, n. 1290).
Del resto, come
anche la più recente giurisprudenza ha riconosciuto
“la
responsabilità civile è ramo del diritto che non può diversamente atteggiarsi a
seconda del soggetto che viene ad esserne coinvolto, o almeno non sotto
l'aspetto fondamentale della sua struttura.
Altrimenti
ragionando si verrebbe a costruire un sistema del tutto disomogeneo,
scollegato, frammentario della materia risarcitoria, che non risponde
certamente alle imprescindibili esigenze di coerenza e di coordinamento
dell'ordinamento.
In
altre parole, pur non ignorando che il coinvolgimento del soggetto pubblico
comporti inevitabilmente talune peculiarità (legate alla particolare natura, ed
al tipo di interesse super-individuale perseguito, che importa talvolta la
applicazione di specifiche norme, che, si vedrà, interferiscono anche con la
responsabilità) non può però stravolgersi la stessa natura dell'istituto della
responsabilità civile.
Quindi,
inevitabilmente, il modello da seguire anche nella ricostruzione della
responsabilità civile degli enti pubblici è quello abitualmente in uso nel
diritto privato: la responsabilità aquiliana ex 2043 c.c. (o ex 2059 c.c. in
caso di danni non patrimoniali) e la responsabilità contrattuale ex. 1218 c.c.
(o ex art. 2087 c.c. nella materia lavoristica, almeno secondo la impostazione
che si ritiene preferibile), oltre alla responsabilità precontrattuale (sulla
cui natura si contendono ancora in campo le tre tradizionali tesi).
Le
peculiarità del coinvolgimento di un soggetto che persegue l'interesse
pubblico, infatti, possono interferire con i singoli elementi che compongono
l'illecito (e di cui si dirà appresso), ma non con la natura e la struttura” (T.A.R. Milano, II, 27.7.2005, n.
3438).
Qualificato l’alveo
applicativo della responsabilità, è possibile indagare sui limiti che, in detto
ambito, occorre riconoscere alla risarcibilità del danno non patrimoniale.
Ritornano, in tal
senso, estremamente utili le ipotesiaffrontate dalla giurisprudenza ed enucleate da questo Tribunale.
Nei casi richiamati
(tranne quello di cui si è occupato il TAR Bari), la questione del
riconoscimento del danno non patrimoniale si appuntava su ipotesi in cui era
immediatamente percepibile il nocumento alla libertà individuale derivante
dall’attività illecita dell’Amministrazione.
Nelcaso in esame, invece,la sofferenza individuale viene fatta
discendere dalla impossibilità di fruire di un bene materiale (la casa di
abitazione) quale luogo di composizione e svolgimento degli affetti familiari.
In altri termini,
allo scrutinio delle dette decisioni sono venuti casi in cui il ricorrente non
avrebbe potuto trovare possibili alternative.
Così, non avrebbe
potuto legittimamente praticare lo sport della caccia o sottrarsi dal servizio
di leva ovvero concretamente essere collocato a riposo o insegnare sia pure con
incarico annuale.
In definitiva,
rispetto all’aggressione della propria sfera individuale proveniente
dall’attività illegittima dell’Amministrazione, i ricorrenti non potevano far
altro che soccombere, senza la possibilità di alcuna possibile alternativa.
Detto criterio
discretivo assume, ad avviso del Collegio, particolare rilevanza.
Non v’è dubbio che
qualsiasi comportamento illegittimo dell’Amministrazione possa provocare un
perturbamento dell’animo del cittadino.
Analogamente, anche
la violazione di un obbligo contrattuale può provocare detta reazione. Ma il
Legislatore non ha previsto in detta ultima ipotesi alcuna garanzia di
risarcimento del danno non patrimoniale.
La tutela che
l’Ordinamento giuridico può approntare deve essere, quindi, commisurato alla
rilevanza del bene di cui il soggetto è stato privato ed alla possibile
reazione che il cittadino può adottare al fine di lenire o, addirittura,
escludere, l’inconveniente “individuale”.
Si è già fatta
chiarezza sulla possibilità che venga tutelato, di per sé, quale danno
esistenziale, il turbamento di beni di rango costituzionale.
Va precisato, però,
che ciò è possibile ogniqualvolta, secondo la comune esperienza ovvero qualora
vi sia la prova in negativo precisa e puntuale offerta dal ricorrente,
all’aggressione sul bene, causativa della sofferenza, non vi sarebbe potuto
essere una reazione volta ad eliminarla.
In altri termini,
altro è il caso in cui, ad esempio, il pregiudizio (sul quale è sorta tutta la
problematica del danno non patrimoniale) si concentra sulla morte di un
individuo, cosicché i familiari subiscono un evidente nocumento psichico oltre
che patrimoniale, per cui non vi è alcun rimedio attivabile che possa impedire
la sofferenza degli incisi dall’evento luttuoso; altro, invece, è che oggetto
immediato del provvedimento sia l’indisponibilità di un bene della vita, la cui
carenza può, di riflesso, influire sulla sfera individuale del cittadino.
Analogamente alla
prima ipotesi, se l’attività amministrativa incide in maniera del tutto
ineludibile rispetto alla possibilità di reazione del ricorrente, il turbamento
individuale non può essere di per sé eliminato con un’attività contraria o
elusiva del cittadino, che, quindi, avrà diritto al riconoscimento del danno
non patrimoniale.
Tornando ai casi
pratici ricordati nelle premessedella
presente decisione, se al cittadino viene impedito di andare a caccia o di
insegnare o, ancora, di essere definitivamente in quiescenza, nulla potrà
legittimamente fare perovviare alla
incisione dei propri diritti costituzionali garantiti.
Se la compressione
degli stessi diritti, invece, deriva in via mediata, quale conseguenza della
privazione di un bene materiale, il riconoscimento non può essere affatto
automatico.
Occorre, a questo
punto, cercare di comprendere la ratio su cui riposano le sopra esposte
conclusioni.
A tal fine è
necessario rammentare la premessa teorica che ha orientato la più recente
richiamata giurisprudenza, condivisa dal Collegio.
Secondo l’iter
evolutivo del danno extracontrattuale, invero, è possibile rinvenire due norme
che sono preposte a riconoscere la possibilità del risarcimento del danno.
Le stesse sono state
individuate nell’art. 2043 c.c., volto a garantire il ristoro per il fatto
illecito altrui che abbia causato un danno patrimoniale e, come già chiarito,
nell’art. 2059c.c., che consente il
risarcimento del danno non patrimoniale.
Il nostro
ordinamento, inoltre, esalta la necessità che anche l’adempimento contrattuale
sia tempestivo e coerente con le promesse pattizie, tant’è che dal ritardo o
dall’inesattezza dello stesso, se ed in quanto imputabile, deriva la necessità
del risarcimento del danno (artt. 1218 e 1223 c.c.)
Volendo trovare un
minimo comune denominatore, si può dire che l’inadempimento contrattuale ovvero
la violazione delle regole deputate ad ordinare la civile convivenza che
concretizzi un fatto illecito comportano, quale reazione minima, il
risarcimento del danno.
Tra i punti di
contatto tra le norme in esame, e quindi tra responsabilità contrattuale ed
extracontrattuale, è possibile rinvenire, per quanto interessa nella presente
decisione, una norma “opposta” prevista dall’art. 1227, secondo comma, c.c., secondo il quale “
il risarcimento del danno non è dovuto per i
danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”.
La disposizione
normativa, inserita nell’alveo della responsabilità contrattuale, è
espressamente estesa in tema di valutazione del danno anche alla responsabilità
extracontrattuale dall’art. 2056, primo comma, cod. civ..
Ciò premesso, il
Collegio condivide l’assunto secondo il quale l’art. 1227, secondo comma, del
codice civile, lungi dal prevedere un’ipotesi concausativa del danno da parte
del danneggiato (prevista dal primo comma), è rivolta a prevedere la diversa
situazione in cui il danneggiato sia estraneo alla produzione dell'evento, ma -
dopo il suo verificarsi - abbia omesso di far uso della normale diligenza per
circoscrivere l'incidenza negativa sul proprio patrimonio dell'evento stesso
(Cass. Civ. 13 marzo 1987 n. 2655; 16.11.1992, n. 12267).
E come tale,
ovviamente, costituisce un’eccezione in senso proprio, che deve trovare
ingresso nel processo, al fine di paralizzare la richiesta risarcitoria (cfr.
Cass. Civ. ult. cit.).
La norma stabilisce
il principio secondo il quale, nonostante vi sia stato un fatto illecito
colpevole e la produzione di un danno, il risarcimento non è dovuto.
In altri termini, la
disposizione formalizza un principio, altrettanto rilevante e contrario
rispetto a quello della risarcibilità del danno per l’inadempimento o per il
fatto illecito consacrato nelle richiamate disposizioni di cui agli artt. 1218,
1223, 2043 e 2059 cod. civ..
E come principio previsto
dall’ordinamento non può non servire a paralizzare anche il risarcimento del
danno non patrimoniale.
Riprendendo le fila
del ragionamento svolto dal Collegio, è possibile concludere che ove
dall’attività amministrativa ritenuta illegittima derivi in capo al cittadino
un danno ad uno dei beni della personalità garantiti dalla Costituzione senza
che questi possa attivare alcun comportamento elusivo del pregiudizio, ebbene,
il risarcimento del danno patrimoniale sarà dovuto; ove, al contrario, il bene della
vita costituzionalmente inciso dall’attività illegittima sia subordinato e/o
collegato al nocumento prodotto verso altri beni, non immediatamente garantiti
come primari dalla Costituzione, occorrerà verificare che, in concreto, il
danneggiato non avesse alcuna possibilità, secondo l’ordinaria diligenza, di
conseguire aliunde, sia pure a prezzo di sacrifici economici autonomamente
risarcibili, il bene la cui mancanza occasionata dall’attività amministrativa
ha determinato la sofferenza e, quindi, il concretarsi del danno non
patrimoniale.
Il corollario che ne
deriva è che quando si è in presenza di un Udanno evento “puro”U, l’unica prova che deve essere fornita è
quella della verificazione, appunto, dell’evento, mentre nulla dovrà
dimostrarsi in ordine al pregiudizio al diritto di personalità, che è insito
nel fatto stesso che si è prodotto un certo fenomeno rilevante per
l’ordinamento giuridico (ad esempio, la morte o la lesione di un soggetto
ovvero la privazione del diritto di andare in pensione).
Nella diversa
ipotesi in cui, invece, il soggetto passivo abbia ricevuto un Udanno evento “eventualeU”, collegato al pregiudizio su un bene non
essenziale, ma volto a soddisfare un interesse primario garantito dalla
costituzione, occorre la prova non solo della verificazione del fatto, ma, di
più, della circostanza che nulla era possibile fare per ovviare al pregiudizio
diretto ricevuto ed a quello consequenziale consistente nel diritto alla
personalità.
Così, come chiarito
dalla sentenza del T.A.R. Bari, l’illegittimo sequestro del veicolo, di per sé
può non produrre alcun nocumento all’individuo, a meno che questi non dimostri
che importanti valoti individuali siano stati, per l’effetto, frustrati (ad
esempio, il conseguente diritto al lavoro).
E la prova, ad avviso
del Collegio, assume la necessità di un rigore estremo, al fine di evitare,
appunto, che ogni fatto illecito, diversamente che nel campo della
responsabilità contrattuale (che incide anch’essa su questioni altrettanto
“gravi”), in quanto proveniente dall’Amministrazione origini frustrazioni
risarcibili.
Diversamente
ragionando, ogni ritardo nell’adempimento, ogni istanza conclusa con la
necessità del ricorso al processo amministrativo, ove culminante con il
riconoscimento dell’illegittimità dell’agere amministrativo, dovrebbe
generare l’automatica possibilità del risarcimento del danno non patrimoniale,
al di fuori delle ipotesi espressamente contemplate dall’ordinamento.
Il Collegio
rammenta, infine, che nel nostro ordinamento, mentre la sofferenza per il
decorso del tempo per la celebrazione del processo trova una sua espressa
dimensione di risarcimento del danno, un’analoga disposizione non è prevista
per il procedimento amministrativo.
III b.Enucleati i principi informatori, è possibile
passare all’analisi delle richieste formulate ai richiamati punti 11 e 12.
Rispetto al danno
esistenziale, concepito come
pregiudizio comportante riflessi esistenziali negativi (perdita di
compiacimento o di benessere per il danneggiato) che ogni violazione di un diritto
della personalità produce, sussiste, intanto, la necessaria eccezione
dell’Amministrazione che, a pag. 11 del controricorso, rileva che non risulta
dimostrato che i ricorrenti non fossero nelle condizioni di trovare una
soluzione alternativa mediante l’acquisto della disponibilità di un immobile
dotato di ascensore che consentisse loro di vivere insieme.
Osserva, anzi, il
Collegio che il ricorrente, oltre all’immobile oggetto della controversia, era
proprietario di altro appartamento, che, ove non supportato dell’ascensore (ma
la circostanza non è dedotta in atti), avrebbe potuto costituire il
presupposto, ove locato, per un reddito aggiuntivo idoneo asostenere la locazione di altro immobile
adeguato alle esigenze della signora Greco.
In altri termini, il
“vivere insieme”, quale svolgimento della libertà personale, è stato frustrato
dall’attività dell’Amministrazione, limitatamente, però a “quell’immobile” e
non in senso assoluto, cosicché, in definitiva, il raggiungimento del bene
garantito dalla Costituzione è stato impedito anche dal comportamento dei due
ricorrenti, i quali, ben avrebbero potuto trovare alternative (i cui costi
differenziali sarebbero stati sopportati dall’Amministrazione, ove sussistenti
tutti i presupposti) per coronare la loro legittima aspirazione di coppia.
Analogamente, per quanto riguarda il
danno morale, inteso come turbamento dello stato d'animo della vittima consistente in una
sofferenza od in un dolore, i ricorrenti collegano, per un verso, il turbamento ricevuto alla
impossibilità di ricongiungimento presso un’unica abitazione e, per un altro,
dai pregiudizi ricevuti dalla Sig.ra Greco, “pubblicamente mortificata nelle
sue menomazioni” ed “oggetto di curiosità morbose” dell’opinione pubblica.
In ordine al primo
aspetto, questo danno evento subisce la medesima sorte, per gli identici
motivi, del danno esistenziale.
In ordine, poi, ai
pregiudizi soggettivi ricevuti dalla sig.ra Greco, sia pure effettivamente
comprensibili, non può dirsi che gli stessi si sarebbero realizzati, ove la
vicenda fosse stata gestita in maniera diversa dal sig. Guglielmo, che, per
altro, come eccepito dall’Amministrazione comunale, è effettivamente l’unico
soggetto attivo (recte: passivo) della procedura contestata, essendo sia
l’abitazione che le autorizzazioni negate di sua pertinenza.
Diversa questione riguarda l’altro danno evento consistente
nel danno biologico, collegato alla patologia
(lesione fisica o psichica) derivante dall’attività illegittima
dell’Amministrazione.
Su detto tipo di danno è necessario che vi sia un concreto accertamento
medico-legale, ove un principio di prova venga versato in atti circa il nesso
di causalità tra attività amministrativa violativa delle regole preposte al
corretto esercizio del potere e patologia sopravvenuta.
Il danno non è collegato alla diminuzione della capacità lavorativa e,
quindi, alla patrimonialità in esso insita, ma al semplice pregiudizio alla
salute, quale bene tutelato espressamente dall’art. 32 della Costituzione.
Altra questione riguarda il
quantum del risarcimento, posto che l’unica forma di liquidazione possibile per
un evento avulso da ogni carattere di patrimonialità è quella equitativa (cfr., ex multis,
Cass. Civile, III, 20.10.2005, n. 20320), per cui, come chiarito,provata la lesione è provato il danno che deve essere liquidato,
indipendentemente da qualsiasi apporto da parte del danneggiato circa
l’impossibilità di quantificazione (secondo le regole di cui all’art.
1226 c.c.) .
Nel caso di specie,
i ricorrenti hanno versato in atti il certificato medico del 17.1.2001 che
ricollega le evidenziate patologie a stress conseguente da contenzioso con il
Comune, referto endoscopico del 23.1.1997 redatto dal Policlinico Universitario
di Messina, referto endoscopico del 19.1.2000 dell’Ospedale di Patti, per cui
sul punto, secondo le regole che verranno di seguito formalizzate, va disposta
consulenza tecnica d’ufficio.
Conclusivamente,
relativamente alle domande di risarcimento secondo l’ordine di prospettazione
da parte dei ricorrenti va statuito quanto segue:
1)l’accoglimento limitatamente ai danni
per il mancato godimento dell’abitazione oggetto del presente giudizio, per il
periodo 16.5.1994 – 21.12.1995, secondo gli importi da determinare dopo
disponenda consulenza tecnica d’Ufficio;
il rigetto della
domanda rispetto al mancato utilizzo di altro appartamento inserito nel
complesso Collemare di proprietà del ricorrente Guglielmo Nunzio;
2)l’accoglimento della domanda relativa
alle spese condominiali, limitatamente all’importo di Euro 566/18;
3)il rigetto della domanda relativa alle
annualità versate per l’I.C.I. pagata negli anni 1994 – 1998;
4)l’accoglimento della domanda relativa
al maggior costo sopportato a causa del differimento della costruzione
limitatamente al periodo 16.5.1994 – 21.12.1995,secondo gli importi da determinare dopo
disponenda consulenza tecnica d’Ufficio;
l’accoglimento della
domanda di risarcimento del costo dell’ascensore, nella misura di euro
3.098/74;
5 – 6 - 7) occorre
consulenza tecnica d’ufficio;
8)il rigetto della domanda per le spese
sostenute per consulenze, assistenza tecnica, perizie giurate etc.;
9)il rigetto della domanda per le spese
sostenute per difendersi dall’attività promossa dalle autorità penali;
10)il rigetto della domanda per le spese
sostenute per bolli, copie, telegrammi etc.;
11 – 12) il rigetto
della domanda per danno esistenziale e morale, disponendo, invece,consulenza tecnica per il danno biologico.
Va, pertanto,
disposta consulenza tecnica d’ufficio, mezzo istruttorio espressamente previsto
in generale dalla nuova formulazione dell’art. 44 T.u. delle leggi sul
Consiglio di Stato, nella novella della L. n. 205/2000 - al fine di acclarare,
riservando ogni pronuncia definitiva sul merito delle domandead un momento successivo al deposito della
relazione del c.t.u., le seguenti circostanze:
UConsulente
tecnico d’Ufficio, Ing. Antonio Cardia:
a)Accerti il consulente tecnico d’ufficio
il valore locativo di mercato nel periodo 16.5.1994 – 21.12.1995 della villa
inserita nel complesso l’”Altro Airone”;
b)Accerti il consulente tecnico d’ufficio
l’incremento dei costi per la costruzione, sempre riferita al periodo 16.5.1994
– 21.12.1995, tenendo conto dei criteri espressi sub III 4) della presente
decisionee che, stante l’entità, gli
stessisi sarebbero potuti concludere in
detto intervallo di tempo;
c)Accerti il consulente tecnico d’ufficio
la sussistenza dei danni lamentati sub 5 e 7) delle richieste di risarcimento,
descrivendo l’eventuale nesso causale dell’evento franoso con il fermo cantiere
ed i pregiudizi ricevuti e potenziali dell’immobile, provvedendo a quantificare
i primi e ad indicare presuntivamente, ove ritenuti sussistenti, con adeguata
motivazione, un valore di riferimento per i secondi.
Accerti, inoltre, la
necessità della posa dei materiali descritti ai numeri 5 e 6 della domanda di
risarcimento.
UConsulente
tecnico d’Ufficio, Dr. Antonino Bondì, medico legale:U
La sussistenza del
nesso eziologico tra le patologie rappresentate in ricorso ed i fatti
amministrativi ivi evidenziati, specificando, ove ritenuto sussistente detto
nesso, il grado di pregiudizio alla salute ricevuto, le patologie ascrivibili
ai fatti evidenziati nel gravame, l’entità dei postumi permanenti ed il calcolo
del risarcimento, secondo le tabelle in uso, dei danni sofferti e riconosciuti
dal sig. Guglielmo Nunzio.
Le predette
consulenze tecniche, da effettuarsi senza la presenza del Giudice, dovranno
riportare distintamente i risultati e le conclusioni finali in una relazione
scritta (anche Uin
floppy diskU)con allegati i documenti, anche grafici e/o
fotografici, ritenuti necessari all’accertamento sopra disposto.
A norma dell’art.
201/1 C.p.c., le parti possono nominare propri consulenti tecnicisino al momento dell’inizio delle operazioni
della c.t.u., alle quali gli stessi consulenti tecnici di parte e i difensori
possono intervenire ai sensi e per gli effetti dell’art. 194/2C.p.c.
A tal fine, i
Consulenti Tecnici nominati da questo Tribunale, ai sensi degli artt. 90 e 91
disp.att. c.p.c., comunicheranno alle parti costituite, presso il domicilio
eletto, ed agli eventuali Consulenti tecnici di parte, la data di inizio delle
operazioni peritali.
Per l’espletamento
dell’incarico, i Consulenti tecnici potranno chiedere chiarimenti alle parti,
assumere informazioni da terzi e svolgere tutte le indagini ritenute
necessarie.
Le spese del
presente giudizio sono riservate alla pronuncia definitiva.
P.Q.M.
Il Tribunale
Amministrativo Regionale della Sicilia, Sezione staccata di Catania, Sezione
Prima, in parte accoglie il ricorso in epigrafe, condannando il resistente
Comune di Gioiosa Marea a corrispondere ai ricorrenti la complessiva somma di
Euro 3.664/92 (tremilaseicentosessantaquattro/92) ed in parte lo rigetta,
secondo quanto specificato in motivazione.
Dispone consulenza tecnica d’ufficio, per le restanti domande
risarcitorie, anch’esse indicate nella parte motiva, nominandoconsulentitecnicid’ufficio
l’Ing. Antonio Cardia, domiciliato in Via Nuova Panoramica dello Stretto n.
1020 – Pal B3 Complesso il Parnaso – Messina,ed
il Dr. Antonino Bondì, Medico legale, domiciliato in Viale Italia, n. 73
Messina, invitandoli a comparire all’
UUdienza Pubblica dell’11 maggio 2006, ore 9.00U,
per la prestazione del giuramento prescritto dall’art. 193 c.p.c., davanti al
Consigliere relatore (che viene all’uopo delegato dal Collegio), nonché per
l’eventuale indicazione del giorno, ora e luogo di inizio delle operazioni
peritali.
Fissa in trenta giorni antecedenti alla Udienza Pubblica di
rinvio il termine ultimo per il deposito della consulenza.
Autorizza le parti costituite a nominare un proprio
consulente, sino alla data di inizio delle operazioni peritali, con
dichiarazione resa ai sensi dell’art. 201 c.p.c. e dell’art. 91 disp. att.
presso
la Segreteria
di questa Sezione.
Ordina alle parti ricorrenti di corrispondere direttamente ai
Consulenti tecnici, prima dell’inizio delle operazioni peritali, a titolo di
anticipazione, la somma di Euro cinquecento ciascuno.
Ai sensi dell’art.
8, comma 1, del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, il compenso definitivo verrà
liquidato con decreto collegiale motivato a norma dell’art. 168 del predetto
d.p.r. n. 115/2002, a seguito di presentazione, da parte dei consulenti tecnici
d’ufficio nominati, della nota specifica delle spese prevista dall’art. 56 (in
riferimento all’art. 50) dello stesso d.p.r. n. 115/2002, contenente
l’indicazione della misura degli onorari spettanti sulla base delle tabelle
richiamate dal successivo art. 275 del medesimo d.p.r. n. 115/2002, così come
di recente adeguate con decreto 30.5.2002 del Ministro della Giustizia (in
G.U.R.I. n. 182 del 5.8.2002).
Manda alla Segreteria giurisdizionale di notificare, ai sensi
dell’art. 192 c.p.c., copia della presente Ordinanza aiConsulenti
tecnici d’Ufficio, con invito a comparire all’Udienza Pubblica, come sopra
fissata.
URinvia,
per l’ulteriore trattazione del ricorso, all’Udienza Pubblica del 9 novembre
2006.
Ordina che la
presente sentenza venga eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in
Catania nella Camera di Consiglio del 7.12.2005.
L’ESTENSORE
Dr. Pancrazio Maria
Savasta
IL PRESIDENTE
Dr. Vincenzo Zingales
Depositata in Segreteria il 27 aprile 2006