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Attività amministrativa illegittima – risarcimento danni morali – ammissibilità.

Il Tar Sicilia riconosce, in astratto, la configurablità di un risarcimento dei danni morali derivanti da provvedimenti amministrativi dichiarati illegittimi. Nella specie, il Comune aveva emesso un provvedimento di diniego di autorizzazione in variante: detto provvedimento era stato annullato in seguito ad una precedente pronuncia giurisprudenziale. Il Tribunale ha ravvisato nel comportamento ostruzionistico dell’amministrazione la sussistenza di quell’elemento psicologico necessario per consentire un legittimo riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni nonché l’esistenza del nesso causa effetto tra il comportamento illegittimo e i danni subiti.


REPUBBLICA ITALIANAN. 0643/06 Reg. Sent.

IN NOME DEL POPOLO ITALIANON. 0598/05 Reg. Gen.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione Staccata di Catania, Sezione Prima, composto dai Signori Magistrati:

Dott.Vincenzo Zingales Presidente

Dr.ssa Rosalia Messina Consigliere

Dott.Pancrazio Maria Savasta Consigliere rel. est.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n° 598/05 R.G. proposto da GN ed IG, rappresentati e difesi dagli avv.ti Paolo Falzea e Maurilio Scafidi edelettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. Simona Pavone, sito in Catania Via Cervignano n. 11;

contro

il Comune di Gioiosa Marea, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Vincenzo Amato ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Giovanna Seminara sito in Catania Via F. Crispi n. 246;

per la condanna

al risarcimento dei danni materiali, morali, biologici ed esistenziali subiti in conseguenza di una serie di atti amministrativi volti a reprimere asseriti abusi edilizi.

Visto il ricorso ed i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Designato relatore per la pubblica udienza del 7.12.2005 il Consigliere Dr. Pancrazio Savasta;

Uditi gli avvocati delle parti, come da verbale d’udienza;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO

Con sentenza n. 1207/02, che ha acquisito autorità di giudicato in quanto non impugnata, questo stesso Tribunale, in accoglimento di alcuni ricorsi del Sig. G N, ha annullato una serie di dinieghi di autorizzazioni edilizie e conseguenti ordinanze di sospensione lavori disposti dal Comune di Gioiosa Marea.

Con il ricorso in epigrafe, asseriscono i ricorrenti che il sig. N, al fine di trasferire la propria residenza e quella della sig.ra G da Messina a Gioiosa Marea, acquistava dalla A Costruzioni s.r.l. di G B una villa sita nel complesso l’Altro Airone nella panoramica frazione S.Giorgio.

Nelle more della stipula dell’atto pubblico, lo stesso venditore otteneva (con nota prot. n. 8004 del 25/1/94)l’autorizzazione per la costruzione di vani accessori interrati da adibire a posto macchina e cantina, inglobanti una piattaforma elevatrice. Tale autorizzazione – già dotata del N.O. del Genio Civile – era per i ricorrenti condizione essenziale per l’acquisto, posto che la stessa era necessaria per consentire l’accesso all’abitazione de qua alla signora G, gravemente invalida ed impedita all’ascensione delle scale, stante la ridotta capacità motoria.

Il 7/4/94 venivano sospesi i lavori, appena iniziati.

L’8/4/94, il Signor G, frattanto divenuto proprietario, comunicava al Sindaco l’inizio dei lavori.

Il 19/4/94, il Sindaco invitava il ricorrente a sospendere i lavori “nelle more dell’autorizzazione del condominio” “così come prescritto al punto n° 2 dell’autorizzazione”.

Asseriscono i ricorrenti, però, che detta limitazione non era presente nel provvedimento autorizzativo.

Con telegramma del 20/4/94, il Sig. Go, unitamente al Direttore Lavori Ing. SF, comunicava al Sindaco l’impossibilità di sospendere i lavori in quella fase tecnica perché lo scavo aperto poteva determinare crolli. Quest’ultimo, inoltre, il 21/4/94 contestava la presunta infrazione del punto 3 del regolamento di condominio, sul quale, comunque, nessuna legittima intromissione sarebbe possibile da parte del sindaco del Comune.

Il 23/4/94, seguiva un ulteriore sopralluogo dei VV.UU. che, nel verbale contestualmente redatto, davano atto di non aver riscontrato alcuna difformità.

Ciò nonostante, il Sindaco, con ordinanza n.18 del 26/4/94, revocava l’autorizzazione prima concessa “nelle more dell’autorizzazione del condominio”.

Il Sig. G, preoccupato di dover sospendere i lavori nel denunciato stato di pericolo, il 4/5/94 notificava al Sindaco atto extragiudiziale imputandogli preventivamente la responsabilità di eventuali oneri risarcitori per le possibili frane.

La risposta del Sindaco, datata 7/5/94, riproponeva in sostanza la pretesa dell’autorizzazione condominiale.

Il 14/5/94 il ricorrente chiedeva ed otteneva l’autorizzazione condominiale con la maggioranza di 58 su 60 presenti all’assemblea.

Il 16/5/94 il Sig. G paventando che il Comune di Gioiosa Marea eccepisse che la piattaforma elevatrice fosse omologata solo fino a mt. 4,00 mentre il dislivello da coprire era di mt. 5,50, presentava un’istanza di variante per far posto ad un vero ascensore.

Nella relazione puntualizzava che l’opera era destinata in favore della propria compagna invalida ai sensi della L. 13/89 ed allegava certificato d’invalidità. Indi, riprendeva i lavori. Dopo qualche ora, lo stesso giorno 16/5/94, i tecnici comunali effettuavano l’ennesimo sopralluogo non ravvisando nulla da segnalare nel verbale datato 17/5/94.

Il 18/5/94 veniva effettuato un ulteriore intervento dell’Ufficio Tecnico Comunale, che accertava che il “muro lato valle anziché essere ml. 7,00 misurava ml. 7,06…l’angolo lato Messina anziché essere arrotondato era quasi retto” etc . . .

Il Sig. G, presente al sopralluogo, faceva verbalizzare che era stata presentata istanza di variante e depositata la richiesta autorizzazione condominiale. Alla fine i tecnici, nel verbale datato 20/5/94, davano atto di aver riscontrato solo “violazioni di poca entità”.

Il 26/5/94 il Sindaco sospendeva comunque i lavori definendoli sommariamente “non autorizzati e quindi abusivi”.

Inoltre, il Comune stabiliva che per la variante non era più sufficiente la semplice autorizzazione, ma che occorreva la concessione, per cui veniva richiesto il parere della Commissione Edilizia.

Quest’ultima si pronunciava il 24/5/94 e, come stabilito nella nota a firma del Sindaco fatta pervenire il 3/6/94 al ricorrente, concludeva con parere favorevolea condizione che la parete esterna del manufatto segua la pendenza e l’allineamento delle murature di contenimento esistenti…” murature che erano inclinate a fronte di nuovi pilastri ormai realizzati perpendicolarmente, conformemente al progetto originario.

Asseriscono i ricorrenti che, in sostanza, la C.E.C.avrebbe rilasciato un fittizio parere favorevole, da interpretarsi come un ordine di demolizione, stante l’impossibilità di adeguamento.

Inoltre, la ripresa dei lavori, come da nota sindacale, restava subordinata “al rilascio della prescritta concessione”, che, nel lotto di terreno per cui è ricorso non poteva essere legittimamente rilasciata, essendo stata esaurita la cubatura urbanistica di pertinenza.

Le dette circostanze risulterebbero confermate nella perizia disposta dalla Procura della Repubblica di Patti e redatta dall’Arch. RL.

Come paventato dai ricorrenti, la prima frana ebbe luogo a settembre del 1994, ma il telegramma con cui la si comunicava al Sindaco rimaneva senza risposta, così come il successivo datato 20/9/94 con cui si informava il Sindaco che i ricorrenti erano rimasti senza abitazione, avendo dovuto consegnare agli acquirenti la casa di Messina, alienata per poter acquistare la villetta oggetto del ricorso.

I mobili esistenti nell’abitazione di Messina venivano collocati da parte del Sig. G. in altro suo immobile di Gioiosa Marea, presso il Condominio Collemare, pregiudicando così la possibilità di darlo in locazione.

Questi era costretto a far la spola tra il Condominio Collemare e l’abitazione dei genitori a Messina, mentre la Sig.ra G rimaneva stabilmente a Messina presso la madre abitante in un immobile dotato di ascensore.

Intanto, avverso il parere della C.E.C., il Sig. G faceva ricorso innanzi a questo Tribunale, iscritto al n. 5577/94 R.G., che, con Ordinanza n. 3317/94 rigettava la domanda cautelare,ritenendo il provvedimento amministrativo“endoprocedimentale, privo di rilevanza esterna e pertanto non lesivo degli interessi legittimi del ricorrente.

All’inizio del 1995 si produceva una ulteriore e più grave frana immediatamente segnalata al Sindacoe, per conoscenza, alla Procura ed al Genio Civile.

Il 10/1/95, previo sopralluogo, i tecnici dell’U.T.C. davano atto della frana intervenuta.

L’11/1/95, il Sindaco convenendo che occorreva realizzare opere di contenimento invitava il Sig. G a presentare istanza a tal fine.

Con raccomandata pervenuta al Sindaco il 20/1/95, il ricorrente presentava l’istanza corredata da una nota tecnica dell’Ing. S e riprendeva i lavori.

Il 26/1/95, il Sindaco sospendeva nuovamente i lavori con l’ordinanza n. 5, senza tenere conto della determina dallo stesso emanata e volta ad ovviare al pericolo.

Il 28/1/95 il Sig. G contestava la decisione. Il 31/1/95 la C.E.C. esprimeva parere negativo per la variante: “cubatura inammissibile per via del fatto che i pilastri si innalzano verticalmente mentre il preesistente muro di sostegno si innalza inclinato . . .”.

In sostanza, come già stigmatizzato nella perizia del CTU arch. R, il ricorrente avrebbe dovuto demolire i pilastri realizzati conformemente all’autorizzazione rilasciata per ricostruirli secondo i dettami sopravvenuti del Comune di Gioiosa Marea.

Dietro richiesta del ricorrente e dell’Ing. S era intanto intervenuto il Genio Civile che “ravvisava la necessità di completare le opere… al fine di scongiurare ulteriori possibili fenomeni di franamento”. Contestualmente detto Ufficio informava la Procura.

Il 2/2/95 il “vicesindaco” inviava “tele” al Sig. G. per autorizzarlo alla messa in sicurezza. Sennonché, in gran parte il danno si era oramai verificato, come si evince dalla perizia giurata redatta dall’Ing. S.

Il 6/4/95 con ordinanza n. 35 il Sindaco emanava il suo primo ordine di demolizione.

Questo Tribunale, in data 10/5/95, sospendeva il parere negativo al progetto di variante presentato dal sig. G il 16/5/94.

Il vicesindaco (formalmente sostituente il Sindaco finito sotto processo) si dichiarava pronto a darvi ottemperanza pretendendo però la presentazione dell’istanza di concessione, invece di debitamente rilasciare le autorizzazioni negate col provvedimento annullato.

Nel frattempo il Sig. G riprendeva i lavori ed il 19/6/95 veniva prontamente denunciato alla Procura della Repubblica dal Comune di Gioiosa Marea.

Il 30/6/95 il Sig. G presentava una seconda variante per portare l’ascensore sino alla zona notte, non più limitandosi, ma avvalendosi appieno della L. 13/89.

Intanto, questo Tribunale, che prima aveva annullato il diniego all’autorizzazione della variante, successivamente, con Ordinanza n. 1117/95 del 9/6/95, rigettava la domanda cautelare proposta avverso l’ordine di demolizione dei lavori.

Per cui, contraddittoriamente, il vicesindaco in data 8/7/95 prima tornava ad invitare il Sig. G ad attivarsi per il rilascio della concessione e poi, il 12/7/95, lo denunciava alla Procura per non aver ottemperato all’ordine di demolizione.

Verificata formalmente tale inottemperanza in data 18/7/95, il giorno successivo si procedeva al sequestro giudiziario dell’immobile.

Nel contempo il Consiglio di Giustizia Amministrativa, con Ordinanza n. 560/95 del 14/9/95, accoglieva l’appello proposto dal G e sospendeva l’ordine di demolizione. Successivamente, lo stesso C.G.A., con Ordinanza n. 758/95 del 19/10/95, rigettava l’appello del Comune di Gioiosa Marea avverso l’ordinanza del 10/5/95 di questo Tribunale. Conseguentemente la Procura il 21/12/95 disponeva il dissequestro del cantiere.

Tuttavia, il Comune di Gioiosa Marea, nella persona del vice sindaco, in data 23/1/1996, ordinava la sospensione lavori perché il Sig. G non aveva regolarizzato la pratica per il rilascio della concessione.

A questo punto il ricorrente presentava istanza di concessione, ma la stessa, una volta richiesta,non veniva rilasciata.

L’8/3/96 venivano apposti i sigilli amministrativi ai lavori per l’ascensore dell’invalida.

Il 12/3/96 la C.E.C. esprimeva parere contrario anche alla seconda variante ritenendo vigente l’ordinanza n. 18 del 26/4/94 – quella, cioé, con cui era stata revocata l’autorizzazione originaria “nelle more del rilascio dell’autorizzazione condominiale”.

Previo sequestro giudiziario del già sigillato cantiere, il 3/4/96, il Signor G veniva citato in giudizio per abuso edilizio e per aver eluso l’ordinanza sindacale di sospensione lavori. Il giudizio promosso atteneva ai soli lavori previsti nella seconda variante.

Il 18/10/97, con sentenza n.125/97, il Sig. G veniva assolto dai reati contestati.

La motivazione rileva, tra l’altro ed in particolare, l’illegittimità delle più salienti ordinanze sindacali” “fondate su provvedimenti la cui efficacia era stata già sospesa dalla giustizia amministrativa”.

Nel contempo, si erano svolte nuove elezioni amministrative ed in data 16/1/98 il nuovo Sindaco eletto disponeva la rimozione dei sigilli amministrativi.

Il 2/3/98, a seguito sopralluogo, i VV.UU. e l’UTC davano atto che “non era stata rilevata alcuna violazione edilizia” e che “i lavori risultavano conformi alla seconda variante presentata il 30/6/95” .

Il 20/6/98 venivano infine rimossi i sigilli.

Nel settembre 1998, adistanza di oltre 4 anni, precisamente 54 mesi, il Sig. G poteva riprendere senza alcun disturbo i lavori alla sua abitazione e quindi poteva andare a vivere nella villa insieme alla signora G.

Tanto premesso in punto di fatto, asseriscono i ricorrenti che i danni loro arrecati dal comportamento del Comune di Gioiosa Marea sarebbero molteplici e di notevole entità, per i quali sarebbe già stata predisposta una transazione poi non sottoscritta, nonostante il parere legale acquisito sull’opportunità della stipula della stessa.

Riprese le trattative, nell’agosto 2003 il tecnico effettuava i sopralluoghi, mentre il Sig. G l’1/9/03 formalizzava la propria richiesta fissandola in Euro 200.000.

Il mese successivo veniva infine raggiunto, in una riunione collegiale, l’accordo conclusivo per il ridotto importo di Euro 113.500.

Anche questa volta, però non si addiveniva alla transazione tra le parti e l’11/10/04 il Sindaco S. inviava al Sig. G.una comunicazione, con la quale si rappresentava che il “risarcimento richiesto non è supportato da rigorosi criteri oggettivi”.

Ciò posto, asseriscono i ricorrenti di avere diritto al risarcimento per i seguenti danni:

1)mancato godimento della villa del residence L’Altro Airone per un periodo di 54 mesi. Infatti, per effetto degli illegittimi provvedimenti adottati dal Comune di Gioiosa Marea, per il periodo anzidetto la disponibilità dell’immobile è stata sottratta al suo proprietario. Il risarcimento dovrebbe essere determinato, tenendo presente il relativo valore locativo in regime di libero mercato pari a Euro 12.000 annue. Pertanto sarebbe congruo un risarcimento pari a Euro 54.000,00.

Detto risarcimento dovrebbe essere esteso, per il medesimo periodo, anche ad altra abitazione di proprietà del Sig. G. N. – l’appartamento del complesso Collemare sempre di Gioiosa Marea – dove sono stati depositati mobili ed arredi provenienti dall’abitazione di Messina alienata dal ricorrente proprio per l’acquisto della villa sita nel residence l’Altro Airone.

Circa l’entità, i ricorrenti rinviano al canone che risulta dal contratto di locazione stipulato dal Sig. G. appena liberato l’alloggio, che consentirebbe di quantificare il risarcimento specifico in Euro 15.350,00.

2)spese condominiali sostenute per la villa sita all’interno del residence l’Altro Airone e per l’appartamento del Complesso Collemare per tutto il periodo che detti immobili sono stati sottratti alla sua fruibilità. Come da ricevuta a firma degli amministratori Euro 1.660.

3)ICI pagata negli anni 94,95,96,97 e 98, come da prospetto dei bollettini postali di pagamento Euro 2.460,00.

4)maggior costo conseguente al differimento della costruzione dal 1994 al 1998 considerato l’intervenuto aumento dei prezzi di materiali e mano d’opera. Basti pensare che solo l’ascensore ad assoluta parità di caratteristiche tecniche, ha maturato un incremento documentato dal raffronto dei contratti di Euro 5.164,00 oltre la somma di Euro 516,00 che il Sig. Guglielmo ha perduto quale acconto trattenuto dalla Sud Ascensori che nel 1996 ha cessato l’attività. Il complessivo maggior costo sinteticamente apprezzato è pari ad Euro 20.000,00.

5)spese sostenute per la rimozione del materiale franato e per il trattamento della struttura con prodotto impermeabilizzante dall’interno, essendo perita nei crolli la guaina esterna non più ricollocabile per motivi di sicurezza. Come da fattura allegata, Euro 1.870,00.

6)spese sostenute per il prodotto di cui al punto 5). Come da fattura allegata, Euro 940,00.

7)danni arrecati all’immobile dalle frane causate dall’illegittime sospensioni lavori disposte in stato di pericolo e cioè: infiltrazioni d’acqua di cui lo stesso Comune ha dato atto con periodici blocchi dell’ascensore, umidità diffusa e refrattaria ai trattamenti sin’ora eseguiti, muffe, svalutazione immobile per vizi estetici, invecchiamento precoce del cemento armato posto a diretto contatto col terrapieno e, col tempo, rischio di pregiudizi alla staticità, etc; così come relazionato nella perizia allegata.- L’ammontare del danno può commisurarsi in Euro 40.000,00.

8)spese sostenute per consulenze, assistenza tecnica, perizie giurate, etc. fornite dall’Ing. S Franco per contrastare le iniziative del Comune di Gioiosa Marea e per cautelarsi dalle medesime. Equitativamente, in misura non inferiore a Euro10.000,00

9)spese legali sostenute per difendersi dall’attività promossa dalle autorità penali (sequestri, processo, etc) per fatto del Comune di Gioiosa Marea e quelle sostenute in questi anni per pareri e consulenze, atti extragiudiziari, diffide, etc da liquidarsi equitativamente in almeno Euro 15.000.

10)in via equitativa, spese per bolli, copie, telegrammi, dattilografia, raccomandate, telefonate, viaggi, estratti giudiziari, certificati, etc, sostenute per colpa del Comune di Gioiosa Marea dall’aprile 1994 ad oggi. Forfettariamente Euro 2.750,00.

11)danni alla salute che il Sig.r G N ha subito in conseguenza dei provvedimenti illegittimi ed iniquiadottati dal Comune di Gioiosa Marea per così tanto tempo consecutivo. Lo stress, la prostrazione, l’amarezza per l’assoluzione dei responsabili, il rimpianto di una vita programmata e presunta ben diversa da quella a cui si è visto costretto, avrebbero pregiudicato la sua integrità fisica determinando l’insorgere di patologie prima inesistenti: nevrosi d’ansia, gastrite, labirintite, ulcere non di origine batterica. Per accertare il nesso di casualità, l’entità dei postumi permanenti residuati ed infine quantificare il danno si chiede che venga disposta consulenza medico legale.

12)entrambi i ricorrenti, per i rilevantissimi danni esistenziali e morali. Relativamente a tale richiesta basta considerare che agli stessi, allora mediamente di quasi cinquanta anni di età e quindi non più giovanissimi, è stato di fatto impedito di vivere insieme per oltre quattro anni con tutte le conseguenti implicazioni e privazioni.

Il significativo esborso di denaro cui hanno dovuto far fronte avrebbe imposto un tenore di vita inferiore a quello che diversamente si sarebbero potuto consentire, con definitivo pregiudizio di possibilità non più ripetibile con l’avanzare dell’età.

Particolarmente dolorosa e sofferenziale la condizione imposta alla Sig.ra G che è stata pubblicamente mortificata nelle sue menomazioni, tant’è vero che la stessa si è persino sentita responsabile di tutti i guai cui è andato incontro il suo compagno per soccorrerla nelle esigenze derivantile dalla sua invalidità. Non solo: un serrato dibattito pubblico avrebbe dato estrema notorietà alla vicenda innescando curiosità morbose che comportano alla Sig.ra G comprensibile disagio nell’ambiente in cui vive a tutt’oggi.

Costituitosi, il Comune ha concluso per il difetto di giurisdizione di questo Tribunale e, comunque, per l’infondatezza del gravame.

Alla pubblica udienza del 7.12.2005 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

I.Prima di esaminare nel merito la complessa vicenda scaturente dal ricorso in epigrafe, il Collegio deve farsi carico di valutare la preliminare eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa del Comune intimato, secondo il quale sulla domanda risarcitoria introdotta dai ricorrenti difetterebbe la giurisdizione di questo Tribunale a favore del Giudice Ordinario.

Secondo quanto prospettato dall’Amministrazione resistente, infatti, la competenza a conoscere detta domanda appartiene a quest’ultimo Giudicante, ove questa, come nel caso di specie, consegua dall’illegittimità di atti relativi alla materia edilizia (e, segnatamente, ad autorizzazioni e/o concessioni edilizie) tutti antecedenti al d.lgs.vo 80/1998, posto che, solo con l’art. 34 in esso contenuto, il Legislatore ha esteso anche in dette ipotesi la giurisdizione del G.A al risarcimento del danno.

Più dettagliatamente, ad avviso del Comune intimato, l’art. 45, comma 18, della citata fonte legislativa ha indicato l’1 luglio 1998 quale termine per il nuovo riparto della giurisdizione, per cui quest’ultima resterebbe incardinata presso il G.O. per tutte le controversie pendenti al 30 giugno 1998 e, quindi, anche per il caso in esame, posto che le doglianze nel merito sono state introdotte con vari ricorsi negli anni 1994 – 95, anche se risolte con sentenza del 2002 da questo stesso Tribunale.

La prospettata eccezione non può essere condivisa.

L’art. 45, comma 18, invocato dal Comune resistente, in effetti, così si esprime:

“le controversie di cui agli articoli 33 e 34 del presente decreto sono devolute al giudice amministrativo a partire dal 1° luglio 1998. Resta ferma la giurisdizione prevista dalle norme attualmente in vigore per i giudizi pendenti alla data del 30 giugno 1998”.

Ritiene il Collegio che il ricorso in esame, volto alrisarcimento dei danni conseguenti all’attività riconosciuta illegittima da questo Tribunale, in quanto introdotto nel 2005, non può considerarsi “pendente” al 30 giugno 1998, anche se, come chiarito, i gravami di merito sono antecedenti a detto termine.

Invero, il sindacato sulla legittimità di provvedimenti autoritativi, quali sono quelli impugnati con i ricorsi di merito (diniego di autorizzazioni e/o concessioni ad edificare), così come le questioni risarcitorie ed altre questioni patrimoniali consequenziali, appartengono alla giurisdizione amministrativa.

Il principio deriva dal disposto dell’art. 34, comma 1, del d. lgs 31 marzo 1998, n. 80, confermato dall’art. 7 della l. 21 luglio 2000, n. 205, che ha esteso la cognizione del giudice amministrativo alle controversie, in materia di urbanistica ed edilizia, che hanno per oggetto diritti patrimoniali consequenziali alle pronunzie di illegittimità, ivi comprese quelle di risarcimento dei danni.E’ bene precisare che in tema di concessioni edilizie, sulla cui riconosciuta illegittimità si appuntano le richieste risarcitorie introdotte con il presente giudizio,il G.A. era già dotato di giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 16 della l.n. 10/1977.

Dall’esame del successivo art. 35 emerge, senza possibilità di dubbio alcuno, che per i danni derivanti da provvedimenti autoritativi, riconosciuti illegittimi in sede di giurisdizione esclusiva, è competente, in via consequenziale, il giudice amministrativo.

La norma, in effetti, non attiene alla giurisdizione, ma alla estensione dei poteri del G.A. (cfr. Corte cost. 204/04), nel senso che, per un principio di concentrazione, la stessa configura ora come "piena" la giurisdizione, sia esclusiva che generale di legittimità del G.A. (ex art. 7 l.n. 1034/1971), autorizzando il detto Giudicante a conoscere anche delle domande risarcitorie connesse alla impugnazione dell'atto, ove appunto sussista, in relazione a questo, la sua giurisdizione, e non già in relazione a qualsiasi istanza risarcitoria formulata nei confronti della P.A. (TUCassazione Civile, Sez. Unite, 31 marzo 2005, n. 6743UT).

In altri termini, il venir meno, per annullamento giurisdizionale, di atti che sono espressione di una posizione di autorità, fa concentrare la cognizione del risarcimento dei danni conseguenti dinanzi allo stesso giudice amministrativo che verifica il corretto esercizio del potere (cfr. Cons. Stato, A.P., 9.2.2006, n. 2; in senso conforme, per il principio, giurisprudenza ivi citata: Cass. SS. UU. 31 marzo 2005, n. 6745; 9 marzo 2005, n. 5078; 17 novembre 2004, n. 21710).

La questione ulteriore, come premesso, é se detta assorbente cognizione sia concepibile ove la pretesa risarcitoria, come nel caso di specie, sia stata avanzata separatamente da quella che ha dato corso al sindacato di legittimità.

Il Tribunale ritiene di dover incondizionatamente aderire a quanto recentemente asserito dal Supremo Consesso della Giustizia amministrativa con la citata decisione n. 2/2006, ove è stato sottolineato che è da ritenersi ininfluente, ai predetti fini dell’attribuzione della giurisdizione, lo iato temporale sul quale affonda il dubbio sollevato con l’eccezione in esame.

Asserisce l’A.P. che la scelta di un momento successivo, per prospettare la domanda consequenziale, non giustifica una diversa competenza giurisdizionale. Né sul piano testuale, giacché nessuna delle due norme in discorso – l’art. 7 novellato della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, e l’art. 34, comma 1, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 – introduce una prescrizione di contestualità fra sindacato di legittimità e cognizione degli effetti di ordine patrimoniale. Né sul piano logico-sistematico, perché si mostra inaccettabile, in via di principio, una tesi che lasci al ricorrente la scelta del giudice competente, proponendo insieme o distintamente le due domande, senza che mutino i presupposti di fatto e di diritto sui quali si fondano. E, in definitiva, in contraddizione con lo “strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio e/o conformativo”, riconosciuto dal giudice costituzionale (sentenza n. 204 del 2004) a giustificazione della concentrazione nel giudizio amministrativo della cognizione delle questioni conseguenziali di ordine patrimoniale.

Secondo l’A.P., inoltre, coerentemente con la precedente decisione del 18 ottobre 2004, n. 10, la regola della concentrazione, davanti al giudice dell’impugnazione, anche della cognizione della pretesa riparatoria, non conduce ad una diversa soluzione, quando la controversia sul risarcimento sia prospettata con autonomo, e successivo, ricorso, ossia dopo che il giudizio sul provvedimento si sia concluso e la relativa decisione sia passata in giudicato. Ed, invero, il nesso fra illegittimità dell’atto e responsabilità dell’autorità amministrativa che lo ha posto in essere, non ha diversa natura, né è meno stretto o di diversa intensità se le due questioni dibattute – quella di non conformità a legge della misura autoritativa e quella di responsabilità per i danni che ne sono derivati – sono esaminate e risolte in unico o in separati giudizi.

Perciò, è stato sottolineato (cit. Ad. plen. n. 10 del 2004), che “l’atto dalla cui illegittimità si origina la domanda di riparazione, si manifesta come momento essenziale per la cognizione della ulteriore vicenda di ripristino della situazione del soggetto che ne è stato leso, perché è la causa diretta – o perché deve verificarsi se è stato la causa diretta – delle conseguenze negative lamentate”. Sicché, sia in sede di ottemperanza, sia in sede di esame della domanda risarcitoria-reintegrativa, può sorgere l’esigenza di verificare – in implicazioni ulteriori riguardanti la responsabilità, il nesso causale o la misura del danno derivatone – lo stesso provvedimento ed il procedimento dal quale è scaturito. Questa verifica spetta al giudice che già ne ha riconosciuto, o che è chiamato a conoscere, l’illegittimità dell’azione amministrativa.

Conclusivamente, l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione va rigettata e, per l’effetto, va ritenuta la competenza di questo Tribunale.

II.E’ possibile, dunque, passare all’esame del merito del ricorso.

Con sentenza n. 1107/2002, questa stessa Sezione, dopo aver dichiarato l’inammissibilità del ricorso n. 5574/94, proposto, come i successivi di seguito citati, dal solo GN,perché rivolto ad atto endoprocedimentale (comunicazione del parere favorevole, ma condizionato,della C.E.C. sul progetto di variante edilizia presentato in data 16.5.94), ha accolto il successivo gravame iscritto al n. 1849/95, volto ad impugnare il definitivo provvedimento negativo su detta variante, nonché quello iscritto al n. 2675/95, con il quale è stato avversata l’ordinanza n. 35 del 6.4.1995 di sospensione e demolizione lavori, frattanto realizzati.

La predetta decisione così si è espressa:

Come si rileva chiaramente dalla relazione del consulente tecnico d’ufficio dell’Arch. R nominato nel procedimento penale n. 190/94, le opere eseguite dal ricorrente sono riconducibili a quanto autorizzato dal sindaco di Gioiosa Marea in data 25.1.1994 e corrispondono a quelle previste nel progetto di variante approvato il 24.5.94. La condizione apposta dalla C.E. determinerebbe a detta del C.T.U. onerose opere di demolizione e ricostruzioni, e renderebbe il manufatto difforme da quello originariamente autorizzato e, di fatto, realizzato.

Come contestato dal ricorrente con le censure addotte, da un lato il procedimento incardinato con la richiesta di autorizzazione in variante è stato illegittimamente aggravato dal richiesto parere della C.E. non previsto per il rilascio di autorizzazioni edilizie e, dall’altro è culminato in un atto di diniego contraddittorio rispetto ad un parere, favorevole, precedente emesso e in palese travisamento dei fatti, rilevata la insussistenza di discrasie e divergenza con quanto originariamente autorizzato, giusta le risultanze della C.T.U. prodotta in atti.

La rilevata fondatezza della censure posta a sostegno del secondo ricorso in epigrafe, determina l’accoglimento del ricorso n. 2675/95 R.G. proposto avverso l’ordinanza di demolizione n. 35/95.

Le opere realizzate dal ricorrente non sono infatti assoggettate a regime concessorio, bensì a regime autorizzatorio e di tali opere è stata riscontrata la corrispondenza rispetto a quelle regolarmente autorizzate dal Comune intimato.

Non sussiste in capo al Comune di Gioiosa Marea il potere sanzionatorio esercitato fuori dai casi consentiti dalla legge in assenza di riscontrati abusi edilizi, potendo la demolizione essere irrogata solo nella ipotesi di edificazione effettuata in assenza di concessione edilizia o in totale difformità con una concessione rilasciata.

Conclusivamente i ricorsi in epigrafe vanno riuniti e del primo va dichiarata la inammissibilità per carenza di interesse, mentre gli altri due vanno accolti perché fondate le censure che li sostengono”.

In sostanza, l’attività ritenuta illegittima da questo Tribunale si riferisce alla ingiusta apposizione di una condizione alla variante presentata dal ricorrente in data 16.5.1994 ed al conseguente ordine di demolizione.

Ne deriva che le rappresentate vicende anteriori a detta data non possono essere prese in considerazione ai fini risarcitori.

Dall’esame del fatto, inoltre, emerge che l’effetto degli atti annullati, e segnatamente la sospensione dei lavori (tranne trascurabili interruzioni) finisce con il 21.12.1995, data di dissequestro del cantiere.

Tutte le vicende successive attengono ad ulteriore attività, sia pure collegata alla vicenda in esame, ma, sotto il profilo strettamente amministrativo,caratterizzata da una serie di atti e di omissioni diversi, iniziati con la nuova sospensione dei lavori del 23.1.1996, motivata con la mancanza di concessione edilizia, e definiti, poi, dall’Ordinanza n. 21 dell’8.3.1996 di apposizione sigilli al cantiere (con la quale, invero, oltre al richiamo agli atti precedenti, vi è l’espresso riferimento alla istanza di concessione frattanto presentata l’8.2.1996) ed, infine, dal parere negativo della C.E.C. del 12.3.1996, comunicato al ricorrente, con il quale si é ribadito in ordine alla seconda variante che “le opere realizzate non possono considerarsi pertinenze di fabbricato esistente, anche se richieste ai fini della L. 13/89 per le quali non viene dimostrata la rispondenza al P.R.G. Si rilevano inoltre evidenti difformità all’invocata L. 13/89”.

Nel corpo del parere emerge, altresì, che il relativo giudizio si è formato anche sulla scorta di diversi sopralluoghi effettuati dall’Amministrazione, a dimostrazione di un’attività istruttoria autonoma.

Tutti i detti atti, compreso il diniego di concessione del 12.3.1996, non sono oggetto della sentenza n. 1207/2002 e, quindi, non risultando annullati, supportano autonomamente l’agire amministrativo dalla cui asserita (ma non giudizialmente dichiarata) illegittimità i ricorrenti vorrebbero far dipendere in parte il diritto al risarcimento del danno.

Ora, a prescindere dalla valutazione circa la prescrizione non dedotta in giudizio sui danni emergenti da questa ulteriore attività, il Collegio ritiene che i ricorrenti avrebbero dovuto, nei termini decadenziali, far valere, anche in via derivata, l’illegittimità degli stessi, attaccando gli ulteriori provvedimenti autonomamente lesivi.

In altri termini, il consolidamento degli atti amministrativi, seppur illegittimi, impedisce la proposizione dell’azione risarcitoria, posto che in questo caso il giudice dovrebbe pregiudizialmente pronunciarsi sulla loro illegittimità fuori dai prescritti termini decadenziali.

Del pari è assolutamente non configurabile un potere di disapplicazione dei dinieghi e degli ordini rivolti al ricorrente, posto che, il Collegio, aderendo al dominante indirizzo giurisprudenziale, non reputa possibile l'esame incidentale della legittimità di un atto amministrativo - non ritualmente impugnato -, ai fini della cognizione di una domanda (principale) di risarcimento del danno di un diritto da questo asseritamente ritenuto leso.

Il potere del giudice amministrativo di disapplicare atti non ritualmente impugnati è invece rigorosamente circoscritto alle sole ipotesi di giurisdizione esclusiva, relativamente alle controversie concernenti originariamente diritti soggettivi, nonché nei riguardi di regolamenti illegittimi, sia quando il provvedimento impugnato sia contrastante con il regolamento, sia quando sia conforme al presupposto atto normativo. Al di fuori di tali limiti, la disapplicazione va esclusa, non solo nei confronti di atti a valenza generale privi di natura normativa, ma a maggior ragione nei confronti di provvedimenti amministrativi puntuali. Ammettendo infatti il sindacato "incidentale" su tali atti (generali ovvero individuali), si sovvertono le regole del giudizio amministrativo, consentendo, come chiarito,l'elusione del termine di decadenza, o, addirittura, come nella fattispecie, il completo sacrificio del diritto di difesa dei controinteressati (cfr., sul punto, C.S., V. 10 gennaio 2003, n. 35; T.A.R. Lazio, II Ter, 14.10.2004, n. 11000).

In quest’ultimo senso, dall’esame dell’ordinanza comunale n. 21/1996, sembrerebbe altresì emergere un interesse concreto contrario all’atto ampliativo denegato al ricorrente rispetto a soggetti, per altro, non evocati in giudizio neanche con i ricorsi decisi con la sentenza n. 1207/02 di questo Tribunale.

In ordine, poi, alla insussistenza di un mero diritto soggettivo, che, come chiarito, consentirebbe la disapplicazione, basta osservare che la situazione del soggetto richiedente la concessione edilizia si atteggia pacificamente come interesse legittimo, in quanto correttamente fondato sul rilievo della necessaria intermediazione di un'attività pianificatoria e provvedimentale dell'amministrazione che permetta la piena attuazione dell'interesse del privato a costruire, che, nella fattispecie controversa, è garantita mediante l’esercizio di atti autoritativi, come tali, da impugnare nei termini decadenziali (Cons. Stato, V, 4.2.2004, n. 367).

In definitiva, una volta concentrata presso il giudice amministrativo la tutela impugnatoria dell’atto illegittimo e quellarisarcitoria conseguente, non è possibile l’accertamento incidentale da parte del giudice amministrativo della illegittimità dell’atto non impugnato nei termini decadenziali al solo fine di un giudizio risarcitorio, per cuil’azione di risarcimento del danno, mentre per un verso può essere proposta sia unitamente all’azione di annullamento che in via autonoma, dall’altro è ammissibile solo a condizione che sia impugnato tempestivamente il provvedimento illegittimo e chesia coltivato con successo il relativo giudizio di annullamento, in quanto al giudice amministrativo non è dato di poter disapplicare atti amministrativi non regolamentari. (Cons. Stato,A.P. 4/2003).

E’ bene precisare, infine, che le dette conclusioni non vengono meno in quanto nella materia rilevante nel presente giudizio vi è la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, posto che ciò non significa che tutte le controversie in argomento vertano su diritti soggettivi.

Vero è, infatti, che la giurisdizione esclusiva implica l'attribuzione di un'intera materia al giudice amministrativo, a prescindere dal tipo di situazione giuridica soggettiva fatta valere, e dunque senza necessità di individuare il tipo di situazione soggettiva, ma questo al solo fine della determinazione della giurisdizione. Però, una volta stabilito che la giurisdizione è del giudice amministrativo, occorre anche nell'ambito della giurisdizione esclusiva, individuare il tipo di situazione soggettiva lesa (interesse legittimo o diritto soggettivo) al fine di delimitare i poteri del giudice (Cons. Stato, A.P. 4/2003 cit.).

Conclusivamente, vanno positivamente considerate, con i limiti di cui appresso, soltanto le domande dedotte a partire dal 16.5.1994 e sino al 21.12.1995, con la necessaria preliminare considerazione, che, sotto il profilo fattuale, all’abitazione oggetto della controversia non era più possibile accedere “perché non era stato ancora realizzato alcun passaggio in sostituzione della rampa di scala demolita per l’esecuzione dei lavori (cfr. pag. 6 della C.T.U. disposta dalla Procura della Repubblica di Patti).

Sotto il profilo soggettivo, ai fini della individuazione della necessaria colpa dell’Amministrazione, la decisione di questo Tribunale n. 1207/02, ha già stigmatizzato l’illiceità del comportamento ostruzionistico del Comune che, senza alcun supporto normativo, ha imposto obblighi pregiudizievoli. Dal che deriva certamente la sussistenza di quell’elemento psicologico necessario per consentire un legittimo riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni.

La circostanza non può venir meno per l’asserita assoluzione in giudizio penale del sindaco del Comune intimato, posto che la mancata attuazione di attività amministrativa in conformità alle norme deputate a regolare la materia può trovare adeguato fondamento nel più attenuato elemento psicologico della colpa, che, mentre è insufficiente a costituire elemento imprescindibile per qualificare il reato d’abuso d’ufficio (dal quale è stato riconosciuto non colpevole il sindaco), è più che sufficiente per determinare la risarcibilità del danno.

Del tutto tautologico è il rapporto causa-effetto tra il comportamento ritenuto illegittimo da questo Tribunale con la sentenza n. 1207/2002 e parte dei danni rappresentati in giudizio, posto che, come chiarito, l’impossibilità di ultimare i lavori, secondo i legittimi desiderata dei ricorrenti, ha comunque comportato anche l’impossibilità di uso limitato dell’immobile, sprovvisto della rampascale d’accesso.

Venendo proprio alla qualificazione dell’esatto rapporto causativo dei danni richiesti, seguendo lo stesso ordine della domanda dei ricorrenti, vanno formulate le seguenti osservazioni:

1)mancato godimento della villa del residence L’Altro Airone, oggetto della controversia, il cui danno è statoquantificato in euro 1.000 mensili, e mancato uso di altra abitazione di proprietà del Sig. Guglielmo Nunzio – l’appartamento del complesso Collemare sempre di Gioiosa Marea – dove sarebbero stati depositati mobili ed arredi provenienti da altra abitazione sita in Messina ed alienata dal ricorrente proprio per consentire l’acquisto dell’immobile in contestazione.

Ritiene il Collegio teoricamente risarcibile anche il danno per il mancato uso di altro immobile.

Sennonché, agli atti, del detto trasferimento dell’originaria abitazione del ricorrente, non vi è traccia alcuna, se non l’affermazione labiale contenuto a pag. 2 del ricorso, nonché un telegramma del 20.9.94 con il quale il sindaco del comune intimato, tra le altre cose, veniva reso edotto della asserita avvenuta consegna dell’immobile.

Nè alcuna prova vi è dell’utilizzo dell’altra abitazione ai fini del ricovero dei mobili, così come prospettato in ricorso.

Anzi, dall’analisi della perizia giurata di parte (pag. 8) allegata dagli stessi ricorrenti (all. 35), si evince che alla data di redazione (21.3.1995) “da quasi un anno ormai, la ditta proprietaria è impossibilitata ad accedere alla propria villa in cui giacciono accatastati mobili ed arredi colà trasportati dalla precedente residenza”.

In mancanza della dovuta prova del trasferimento e del valore di mercato del villino, ritiene il Collegio di poter ammettere il risarcimento per il mancato uso per il premesso periodo di diciannove mesi dal 16.5.1994 al 21.12.1995 solo per quest’ultimo. Posto che i ricorrenti hanno fornito un principio di prova almeno per l’altra abitazione, sita anch’essa nel medesimo comune, è possibile disporre sul punto consulenza tecnica d’ufficio.

2)spese condominiali sostenute per la villa sita all’interno del residence l’Altro Airone e per l’appartamento del Complesso Collemare per tutto il periodo che detti immobili sono stati sottratti alla sua fruibilità. Come da ricevuta a firma degli amministratori Euro 1.660.

In atti vi sono le ricevute di versamento per L. 3.219.099, pari ad Euro 1.662/52, di cui Lire 1.096.280 (pari ad Euro 566/18) per il condominio l’Altro Airone.

Detto ultimo importo di Euro 566/18 va riconosciuto, per quanto detto sub 1) in quanto riferito al villino oggetto del ricorso, perché relativo a danno per esborso corrisposto nonostante la mancata utilizzazione dell’immobile e, quindi, dei servizi condominiali.

3)ICI pagata negli anni 94,95,96,97 e 98, come da prospetto dei bollettini postali di pagamento Euro 2.460,00.

L’asserito danno non è collegabile al mancato uso degli immobili, configurandosi l’imposta dovuta a prescindere da qualsiasi utilizzo degli stessi.

Consegue il rigetto della domanda.

4)maggior costo conseguente al differimento della costruzione dal 1994 al 1998 considerato l’intervenuto aumento dei prezzi di materiali e mano d’opera.

Va riconosciuta la differenza di costo dell’ascensore, posto che i ricorrenti documentano il costo al 9.3.1995 (Lire 15.000.000) e quello al 10.2.1998, pari a Lire 25.000.000.

Invero i due impianti appaiono avere caratteristiche simili.

Posto, però, che l’indagine, per i motivi detti, va condotto sino al 1996, appare equo ridurre l’incremento di che trattasi nella misura del 50%

Per cui il danno va quantificato in Lire 5.000.000 più Lire 1.000.000 per anticipo apparentemente versato, posto che viene allegato ordine di fornitura con detta previsione.

E’ dovuto, pertanto l’importo complessivo di L. 6.000.000, pari a Euro 3.098/74.

L’incremento dei costi per le opere diverse va, invece,stabilito in misura pari all'incremento del costo di costruzione dal momento in cui è intervenuto l'illegittimo diniego (16.5.1994) e sino alla già indicata data del 21.12.1995 (Cons. Stato, IV, 2.6.2000, n. 3177).

Lo stesso verrà determinato, mediante apposita C.T.U., tenendo conto delle previsioni di cui ai prezziari regionali per le OO.PP. per i periodi riferimento (considerando la decurtazione percentuale dei prezzi per le voci che compongono gli stessi e non caratterizzanti gli appalti traprivati) o con altri analoghi sistemi determinati dal consulente.

5)spese sostenute per la rimozione del materiale franato e per il trattamento della struttura con prodotto impermeabilizzante dall’interno, essendo perita nei crolli la guaina esterna non più ricollocabile per motivi di sicurezza. Come da fattura Euro 1.870,00.

6) spese sostenute per il prodotto di cui al punto 5). Come da fattura allegata pari a Euro 940,00.

Le spese sub 5) e 6) appaiono dovute.

E’ indubbio che gli eventi franosi, per altro oggetto di precauzionali note di avvertimento da parte del ricorrente, si sono verificati durante l’illegittima sospensione dei lavori coperta dal giudicato della sentenza n. 1207/2002.

Appare opportuno disporre C.T.U., al fine di confermare la necessità e l’utilità di posa dei predetti materiali ai fini di interdire l’umidità nei locali del ricorrente.

7)danni arrecati all’immobile dalle frane causate dall’illegittime sospensioni lavori disposte in stato di pericolo e cioè: infiltrazioni d’acqua di cui lo stesso Comune ha dato attocon periodici blocchi dell’ascensore, umidità diffusa e refrattaria ai trattamenti sin’ora eseguiti, muffe, svalutazione immobile per vizi estetici, invecchiamento precoce del cemento armato posto a diretto contatto col terrapieno e, col tempo, rischio di pregiudizi alla staticità, etc; così come relazionato nella perizia allegata.- L’ammontare del danno può commisurarsi in Euro 40.000,00.

Anche in questa ipotesi va disposta C.T.U., nei modi di seguito indicati.

8)spese sostenute per consulenze, assistenza tecnica, perizie giurate, etc. fornite dall’Ing. Spanò Franco per contrastare le iniziative del Comune di Gioiosa Marea e per cautelarsi dalle medesime. Equitativamente, in misura non inferiore a Euro 10.000,00

Detto tipo di danno non può essere liquidato equitativamente, ma richiede la dimostrazione rigorosa delle spese sostenute.

Consegue il rigetto della domanda.

9)spese legali sostenute per difendersi dall’attività promossa dalle autorità penali (sequestri, processo, etc.) per fatto del Comune di Gioiosa Marea e quelle sostenute in questi anni per pareri e consulenze, atti extragiudiziari, diffide, etc da liquidarsi equitativamente in almeno Euro 15.000.

Il rigetto della domanda consegue dalla medesima considerazione sub 8).

10)in via equitativa, spese per bolli, copie, telegrammi, dattilografia, raccomandate, telefonate, viaggi, estratti giudiziari, certificati, etc, sostenute per colpa del Comune di Gioiosa Marea dall’aprile 1994 ad oggi. Forfettariamente Euro 2.750,00.

La domanda, oltre che non supportata da alcun elemento di prova, appare generica e, pertanto, va respinta.

III.Particolare attenzione merita la richiesta dei danni di cui ai conclusivi punti nn. 11 e 12, che così sinteticamente si possono rappresentare:

11)danni alla salute che il Sig. G N avrebbe subito in conseguenza dei provvedimenti illegittimi ed iniquiadottati dal Comune di Gioiosa Marea per così tanto tempo consecutivo. Lo stress, la prostrazione, l’amarezza per l’assoluzione dei responsabili, il rimpianto di una vita programmata e presunta ben diversa da quella a cui si è visto costretto, avrebbero pregiudicato la sua integrità fisica determinando l’insorgere di patologie prima inesistenti: nevrosi d’ansia, gastrite, labirintite, ulcere Unon di origine battericaU. Per accertare il nesso di casualità, l’entità dei postumi permanenti residuati ed infine quantificare il danno il ricorrente ha chiesto consulenza medico legale.

12)entrambi i ricorrenti, per i rilevantissimi danni esistenziali e morali. Relativamente a tale richiesta, asseriscono i ricorrenti che per effetto dell’illecito comportamento dell’Amministrazione intimata, sarebbe stato loro di fatto impedito di vivere insieme per oltre quattro anni con tutte le conseguenti implicazioni e privazioni.

Il significativo esborso di denaro avrebbe imposto e tuttora imporrebbe loro un tenore di vita inferiore a quello che diversamente si sarebbero potuto consentire, con definitivo pregiudizio di possibilità non più ripetibile con l’avanzare dell’età.

Particolarmente dolorosa e sofferenziale sarebbe stata la condizione imposta alla Sig.ra G, in quanto pubblicamente mortificata nelle sue menomazioni, tant’è che la stessa si sarebbe persino sentita responsabile di tutti i guai cui è andato incontro il suo compagno per soccorrerla nelle esigenze derivantile dalla sua invalidità. Non solo: un serrato dibattito pubblico avrebbe dato estrema notorietà alla vicenda innescando curiosità morbose che avrebbero comportato alla Sig.ra Greco comprensibile disagio nell’ambiente in cui vive a tutt’oggi.

Le questioni sottoposte all’esame del Collegio richiedono la ricostruzione dell’istituto del danno biologico ed esistenziale, nonché il complesso compito della verifica della applicabilità di detti istituti a fronte del poco esplorato campo dell’attività “illecita” amministrativa.

Nella suddetta materia, in effetti, tra i pochi precedenti si possono citare: TAR Catania, 19.6.2001, n. 1223; T.A.R. Bari, I, 25.7.2003, n. 3000; T.A.R. Napoli, 6.5.2004, n. 8235; e da ultimo Cons. Stato, Sez. VI, 16.3.2005, n. 1096; Sez. V, 18.1.2006, n. 12.

Sembra al Collegio interessante la rappresentazione delle questioni di fatto che hanno mosso dette decisioni.

La prima di esse, resa da questo Tribunale, ha ricollegato il danno biologico ed esistenziale al pregiudizio ricevuto dal ricorrente per non aver potuto esercitare un’attività ricreativa, quale dallo stesso ritenuta, in quanto illegittimamente gli era stato revocato il permesso di porto d’armi finalizzato all’esercizio dell’attività venatoria. Il danno in questo caso è stato liquidato senza il sostegno di alcuna specifica prova ed in misura equitativa.

Il Tribunale pugliese, invece, ha denegato il risarcimento del danno biologico, pur ritenendolo configurabile nell’ipotesi di illegittimo fermo amministrativo dell’automobile, in quanto il pregiudizio ricevuto dal ricorrente, diversamente che nelle ipotesi di lesioni dirette alla personalità (sfera dell’onore e reputazione, riservatezza, libertà personale), ove sarebbe possibile ricorrere a criteri di tipo presuntivo, non è stato da questi dimostrato, con la rappresentazione dei disagi e delle menomate occasioni di svolgimento della sua personalità connesse alla privazione dell’autovettura (ad esempio, utilizzazione di altri mezzi anche a titolo di trasporto gratuito, omessa realizzazione di occasioni di vita quali viaggi, incontri, attività di socializzazione in generale).

Il Tribunale campano, invece, con il medesimo sistema del riconoscimento del danno presuntivo, ha accolto la domanda di risarcimento per il pregiudizio “biologico” nel caso di illegittima cartolina precetto, per effetto della quale il ricorrente era stato costretto a svolgere il servizio militare di leva.

Le richiamate decisioni del Consiglio di Stato, infine, hanno ritenuto riconoscibile il risarcimento del danno biologico ed esistenziale, rispettivamente, per l’illegittima mancata assegnazione di un incarico di supplenza nella scuola e per l’altrettanto illecito mancato riconoscimento del diritto del ricorrente al pensionamento alla data da questi indicata ed il consequenziale “obbligo” a restare in servizio.

Anche in queste due ultime ipotesi si è pervenuti alla liquidazione di un danno in via equitativa.

Ciò posto, occorre stabilire in che cosa consista il danno non patrimoniale.

Senza addentrarsi nella ricostruzione e nell’evoluzione storica dell’istituto, puntualmente tratteggiata nelle citate pronunce del Consiglio di Stato, è possibile concludere, conformemente a dette decisioni, che, così come da ultimo stabilito dalle sentenze 8823/2003 e 8828/2003 della III sezione civile della Corte di Cassazione, alle quali si è uniformata la sentenza n. 233/2003 della Corte Costituzionale, il diritto vivente ha sancito il principio secondo cui il danno non patrimoniale, pur in assenza di reato ai sensi dell’articolo 185 del codice penale, va sempre risarcito, ai sensi dell’art. 2059 c.c., ove connesso alla lesione di diritti essenziali della persona sanciti dalla Carta Costituzionale.

Ciò in quanto nel vigente assetto dell'ordinamento, nel quale assume posizione preminente la Costituzione — che, all'art. 2, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo —, il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona e non più limitata, come nel passato, alle sole ipotesi di danno derivante dalla commissione di un reato (ex art. 185 c.p.) ovvero dall’uso nel processo di espressioni sconvenienti ed offensive (ex art. 89 c.p.c.).

Del resto, una lettura della norma costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. impone di ritenere inoperanti le suddette superate limitazioni, se la lesione abbia riguardato valori della persona costituzionalmente garantiti. Occorre considerare, infatti, che nel caso in cui la lesione abbia inciso su un interesse costituzionalmente protetto, la riparazione mediante indennizzo (ove non sia praticabile quella in forma specifica) costituisce la forma minima di tutela ed una tutela minima non è assoggettabile a specifici limiti, poiché ciò si risolverebbe in un rifiuto di tutela nei casi esclusi (arg. ex sentenza Corte Cost. n. 184/1986).

In definitiva, l’area della tutela aquiliana va intesa ormai secondo una struttura bipolare.

Secondo la richiamata decisione del Consiglio di Stato n. 1096/05, infatti, al risarcimento del danno patrimoniale, da sempre saldamente collocato nel paradigma dell’art. 2043 c.c., si affianca il risarcimento del danno non patrimoniale, che può ora trovare protezione più ampia ed articolata nell’art. 2059 c.c., il quale, in una lettura costituzionalmente orientata, divenuta imprescindibile per evidenti ragioni di allineamento dell’interpretazione normativa a principi di civiltà giuridica, non va più restrittivamente applicato in via esclusiva ai richiamati casi del tradizionale danno morale soggettivo in virtù della tralaticia identificazione dell’unica ipotesi di danno non patrimoniale espressamente previsto dalla legge con il danno da reato ex art. 185 c.p.,ma deve assicurare la riparazione, oltre che in ogni altra ipotesi legale espressa di danno non patrimoniale risarcibile (si fanno, esemplificativamente, i casi dell’art. 89 c.p.c., dell’art. 2 l. n. 117/1988, dell’art. 29 l. n. 675/1996, dell’art. 44 d. lgs. n. 286/1998, dell’art. 2 l. n. 89/2001), anche a quelle lesioni che, incidendo su valori e prerogative della persona, dotate di posizione preminente nell’assetto costituzionale – in cui i diritti inviolabili dell’uomo ed il divieto di discriminazioni irragionevoli assurgono a rango di principi fondanti, irrinunciabili ed immodificabili (artt. 2 e 3 Cost.) – non possono non costituire figure di danno risarcibile, a prescindere da connotazioni penalistiche, finalmente non più condizionanti.

Ne deriva che: il danno non patrimoniale (risarcibile) deve essere inteso come categoria ampia, nella quale trovano collocazione giuridica tutte le ipotesi in cui si verifichi la lesione di beni o valori inerenti alla persona, ovvero sia il danno morale soggettivo (o danno da reato, concretantesi nel turbamento dell’animo della vittima), sia il danno biologico in senso stretto (o danno all’integrità fisica e psichica, coperto dalla garanzia dell’art. 32 Cost.), sia il c.d. danno esistenziale (o danno conseguente alla lesione di altri beni non patrimoniali di rango costituzionale).

Chiaro è che l’individuazione di questi ultimi va fatta sulla scorta della categoria dei diritti inviolabili ex art. 2 Cost. e, più in generale, dei principi fondamentali e nella parte Prima della Carta costituzionale (uguaglianza, libertà variamente tipizzate, famiglia, salute, studio, ecc.).

In altri termini, come chiarito dalla Corte di cassazione, sez. I, sentenza n. 7713 del 7 giugno 2000, la lesione dei diritti fondamentali della persona, collocati al vertice della gerarchia dei valori costituzionalmente garantiti, va incontro alla sanzione risarcitoria per il fatto in sé della lesione (danno evento) indipendentemente dalle eventuali ricadute patrimoniali che la stessa possa comportare (danno conseguenza) - come posto in luce dalla Corte costituzionale con la nota sentenza n. 184 del 1986.

La Corte di Cassazione ha osservato che la vigente Costituzione, garantendo principalmente e primariamente valori personali impone una lettura costituzionalmente orientata del paradigma aquiliano (che non si sottrarrebbe altrimenti ad esiti di incostituzionalità), “in correlazione agli articoli della Carta che tutelano i predetti valori”, nel senso appunto che quella norma sia “idonea a compensare il sacrificio che gli stessi valori subiscono a causa dell’illecito”, attraverso “il risarcimento del danno (che) è sanzione esecutiva del precetto primario ed è la minima delle sanzioni che l’ordinamento appresta per la tutela di un interesse”.

Il danno esistenziale consiste, pertanto, nei riflessi esistenziali negativi (perdita di compiacimento o di benessere per il danneggiato) che ogni violazione di un diritto della personalità produce.

A differenza del danno biologico, tale voce di danno sussiste indipendentemente da una patologia (lesione fisica o psichica) suscettibile di accertamento e valutazione medico-legale; diversamente dal danno patrimoniale, prescinde da una diminuzione della capacità reddituale; rispetto al danno morale, inteso come turbamento dello stato d'animo della vittima, non consiste in una sofferenza od in un dolore, ma in un peggioramento della qualità di vita derivante dalla lesione del valore costituzionale “uomo” (cfr. Cons. Stato, 125/2006 cit.).

La distinzione sopra individuata non può non avere riflessi sull’onere della prova.

Prima di affrontare il delicato argomento, il Collegio ritiene di dover ulteriormente indugiare sulla questione, ricollegandosi ai principi generali.

Il condivisibile bipolarismo della tutela aquiliana, argomentato dalla decisione n. 1096/05 del Consiglio di Stato, finisce con indicare in maniera inconfutabile la natura della responsabilità in cui incorre l’Amministrazione nell’ambito dell’attività ritenuta illegittima.

La possibilità, anch’essa da condividere, di riconoscere il danno non patrimoniale conseguente all’agere amministrativo, finisce con il qualificare la responsabilità dell’Amministrazionenecessariamente come extracontrattuale, posto che l’art. 2059 c.c. costituisce una “costola” di un unico corpo diverso e non estensibile alla responsabilità contrattuale.

In sostanza, senza ulteriormente addentrarsi nella questione, invero dibattuta in giurisprudenza, solo qualificando la responsabilità dell’amministrazione come extracontrattuale è possibile giungere al riconoscimento del danno non patrimoniale, facendo, così, giustizia delle teorie, invero non condivise dal Collegio, della responsabilità da “contatto” (cfr., diffusamente sul punto, T.A.R. Catania, II, 13.8.2003, n. 1290).

Del resto, come anche la più recente giurisprudenza ha riconosciuto

“la responsabilità civile è ramo del diritto che non può diversamente atteggiarsi a seconda del soggetto che viene ad esserne coinvolto, o almeno non sotto l'aspetto fondamentale della sua struttura.

Altrimenti ragionando si verrebbe a costruire un sistema del tutto disomogeneo, scollegato, frammentario della materia risarcitoria, che non risponde certamente alle imprescindibili esigenze di coerenza e di coordinamento dell'ordinamento.

In altre parole, pur non ignorando che il coinvolgimento del soggetto pubblico comporti inevitabilmente talune peculiarità (legate alla particolare natura, ed al tipo di interesse super-individuale perseguito, che importa talvolta la applicazione di specifiche norme, che, si vedrà, interferiscono anche con la responsabilità) non può però stravolgersi la stessa natura dell'istituto della responsabilità civile.

Quindi, inevitabilmente, il modello da seguire anche nella ricostruzione della responsabilità civile degli enti pubblici è quello abitualmente in uso nel diritto privato: la responsabilità aquiliana ex 2043 c.c. (o ex 2059 c.c. in caso di danni non patrimoniali) e la responsabilità contrattuale ex. 1218 c.c. (o ex art. 2087 c.c. nella materia lavoristica, almeno secondo la impostazione che si ritiene preferibile), oltre alla responsabilità precontrattuale (sulla cui natura si contendono ancora in campo le tre tradizionali tesi).

Le peculiarità del coinvolgimento di un soggetto che persegue l'interesse pubblico, infatti, possono interferire con i singoli elementi che compongono l'illecito (e di cui si dirà appresso), ma non con la natura e la struttura” (T.A.R. Milano, II, 27.7.2005, n. 3438).

Qualificato l’alveo applicativo della responsabilità, è possibile indagare sui limiti che, in detto ambito, occorre riconoscere alla risarcibilità del danno non patrimoniale.

Ritornano, in tal senso, estremamente utili le ipotesiaffrontate dalla giurisprudenza ed enucleate da questo Tribunale.

Nei casi richiamati (tranne quello di cui si è occupato il TAR Bari), la questione del riconoscimento del danno non patrimoniale si appuntava su ipotesi in cui era immediatamente percepibile il nocumento alla libertà individuale derivante dall’attività illecita dell’Amministrazione.

Nelcaso in esame, invece,la sofferenza individuale viene fatta discendere dalla impossibilità di fruire di un bene materiale (la casa di abitazione) quale luogo di composizione e svolgimento degli affetti familiari.

In altri termini, allo scrutinio delle dette decisioni sono venuti casi in cui il ricorrente non avrebbe potuto trovare possibili alternative.

Così, non avrebbe potuto legittimamente praticare lo sport della caccia o sottrarsi dal servizio di leva ovvero concretamente essere collocato a riposo o insegnare sia pure con incarico annuale.

In definitiva, rispetto all’aggressione della propria sfera individuale proveniente dall’attività illegittima dell’Amministrazione, i ricorrenti non potevano far altro che soccombere, senza la possibilità di alcuna possibile alternativa.

Detto criterio discretivo assume, ad avviso del Collegio, particolare rilevanza.

Non v’è dubbio che qualsiasi comportamento illegittimo dell’Amministrazione possa provocare un perturbamento dell’animo del cittadino.

Analogamente, anche la violazione di un obbligo contrattuale può provocare detta reazione. Ma il Legislatore non ha previsto in detta ultima ipotesi alcuna garanzia di risarcimento del danno non patrimoniale.

La tutela che l’Ordinamento giuridico può approntare deve essere, quindi, commisurato alla rilevanza del bene di cui il soggetto è stato privato ed alla possibile reazione che il cittadino può adottare al fine di lenire o, addirittura, escludere, l’inconveniente “individuale”.

Si è già fatta chiarezza sulla possibilità che venga tutelato, di per sé, quale danno esistenziale, il turbamento di beni di rango costituzionale.

Va precisato, però, che ciò è possibile ogniqualvolta, secondo la comune esperienza ovvero qualora vi sia la prova in negativo precisa e puntuale offerta dal ricorrente, all’aggressione sul bene, causativa della sofferenza, non vi sarebbe potuto essere una reazione volta ad eliminarla.

In altri termini, altro è il caso in cui, ad esempio, il pregiudizio (sul quale è sorta tutta la problematica del danno non patrimoniale) si concentra sulla morte di un individuo, cosicché i familiari subiscono un evidente nocumento psichico oltre che patrimoniale, per cui non vi è alcun rimedio attivabile che possa impedire la sofferenza degli incisi dall’evento luttuoso; altro, invece, è che oggetto immediato del provvedimento sia l’indisponibilità di un bene della vita, la cui carenza può, di riflesso, influire sulla sfera individuale del cittadino.

Analogamente alla prima ipotesi, se l’attività amministrativa incide in maniera del tutto ineludibile rispetto alla possibilità di reazione del ricorrente, il turbamento individuale non può essere di per sé eliminato con un’attività contraria o elusiva del cittadino, che, quindi, avrà diritto al riconoscimento del danno non patrimoniale.

Tornando ai casi pratici ricordati nelle premessedella presente decisione, se al cittadino viene impedito di andare a caccia o di insegnare o, ancora, di essere definitivamente in quiescenza, nulla potrà legittimamente fare perovviare alla incisione dei propri diritti costituzionali garantiti.

Se la compressione degli stessi diritti, invece, deriva in via mediata, quale conseguenza della privazione di un bene materiale, il riconoscimento non può essere affatto automatico.

Occorre, a questo punto, cercare di comprendere la ratio su cui riposano le sopra esposte conclusioni.

A tal fine è necessario rammentare la premessa teorica che ha orientato la più recente richiamata giurisprudenza, condivisa dal Collegio.

Secondo l’iter evolutivo del danno extracontrattuale, invero, è possibile rinvenire due norme che sono preposte a riconoscere la possibilità del risarcimento del danno.

Le stesse sono state individuate nell’art. 2043 c.c., volto a garantire il ristoro per il fatto illecito altrui che abbia causato un danno patrimoniale e, come già chiarito, nell’art. 2059c.c., che consente il risarcimento del danno non patrimoniale.

Il nostro ordinamento, inoltre, esalta la necessità che anche l’adempimento contrattuale sia tempestivo e coerente con le promesse pattizie, tant’è che dal ritardo o dall’inesattezza dello stesso, se ed in quanto imputabile, deriva la necessità del risarcimento del danno (artt. 1218 e 1223 c.c.)

Volendo trovare un minimo comune denominatore, si può dire che l’inadempimento contrattuale ovvero la violazione delle regole deputate ad ordinare la civile convivenza che concretizzi un fatto illecito comportano, quale reazione minima, il risarcimento del danno.

Tra i punti di contatto tra le norme in esame, e quindi tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, è possibile rinvenire, per quanto interessa nella presente decisione, una norma “opposta” prevista dall’art. 1227, secondo comma, c.c., secondo il quale “ il risarcimento del danno non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”.

La disposizione normativa, inserita nell’alveo della responsabilità contrattuale, è espressamente estesa in tema di valutazione del danno anche alla responsabilità extracontrattuale dall’art. 2056, primo comma, cod. civ..

Ciò premesso, il Collegio condivide l’assunto secondo il quale l’art. 1227, secondo comma, del codice civile, lungi dal prevedere un’ipotesi concausativa del danno da parte del danneggiato (prevista dal primo comma), è rivolta a prevedere la diversa situazione in cui il danneggiato sia estraneo alla produzione dell'evento, ma - dopo il suo verificarsi - abbia omesso di far uso della normale diligenza per circoscrivere l'incidenza negativa sul proprio patrimonio dell'evento stesso (Cass. Civ. 13 marzo 1987 n. 2655; 16.11.1992, n. 12267).

E come tale, ovviamente, costituisce un’eccezione in senso proprio, che deve trovare ingresso nel processo, al fine di paralizzare la richiesta risarcitoria (cfr. Cass. Civ. ult. cit.).

La norma stabilisce il principio secondo il quale, nonostante vi sia stato un fatto illecito colpevole e la produzione di un danno, il risarcimento non è dovuto.

In altri termini, la disposizione formalizza un principio, altrettanto rilevante e contrario rispetto a quello della risarcibilità del danno per l’inadempimento o per il fatto illecito consacrato nelle richiamate disposizioni di cui agli artt. 1218, 1223, 2043 e 2059 cod. civ..

E come principio previsto dall’ordinamento non può non servire a paralizzare anche il risarcimento del danno non patrimoniale.

Riprendendo le fila del ragionamento svolto dal Collegio, è possibile concludere che ove dall’attività amministrativa ritenuta illegittima derivi in capo al cittadino un danno ad uno dei beni della personalità garantiti dalla Costituzione senza che questi possa attivare alcun comportamento elusivo del pregiudizio, ebbene, il risarcimento del danno patrimoniale sarà dovuto; ove, al contrario, il bene della vita costituzionalmente inciso dall’attività illegittima sia subordinato e/o collegato al nocumento prodotto verso altri beni, non immediatamente garantiti come primari dalla Costituzione, occorrerà verificare che, in concreto, il danneggiato non avesse alcuna possibilità, secondo l’ordinaria diligenza, di conseguire aliunde, sia pure a prezzo di sacrifici economici autonomamente risarcibili, il bene la cui mancanza occasionata dall’attività amministrativa ha determinato la sofferenza e, quindi, il concretarsi del danno non patrimoniale.

Il corollario che ne deriva è che quando si è in presenza di un Udanno evento “puro”U, l’unica prova che deve essere fornita è quella della verificazione, appunto, dell’evento, mentre nulla dovrà dimostrarsi in ordine al pregiudizio al diritto di personalità, che è insito nel fatto stesso che si è prodotto un certo fenomeno rilevante per l’ordinamento giuridico (ad esempio, la morte o la lesione di un soggetto ovvero la privazione del diritto di andare in pensione).

Nella diversa ipotesi in cui, invece, il soggetto passivo abbia ricevuto un Udanno evento “eventualeU”, collegato al pregiudizio su un bene non essenziale, ma volto a soddisfare un interesse primario garantito dalla costituzione, occorre la prova non solo della verificazione del fatto, ma, di più, della circostanza che nulla era possibile fare per ovviare al pregiudizio diretto ricevuto ed a quello consequenziale consistente nel diritto alla personalità.

Così, come chiarito dalla sentenza del T.A.R. Bari, l’illegittimo sequestro del veicolo, di per sé può non produrre alcun nocumento all’individuo, a meno che questi non dimostri che importanti valoti individuali siano stati, per l’effetto, frustrati (ad esempio, il conseguente diritto al lavoro).

E la prova, ad avviso del Collegio, assume la necessità di un rigore estremo, al fine di evitare, appunto, che ogni fatto illecito, diversamente che nel campo della responsabilità contrattuale (che incide anch’essa su questioni altrettanto “gravi”), in quanto proveniente dall’Amministrazione origini frustrazioni risarcibili.

Diversamente ragionando, ogni ritardo nell’adempimento, ogni istanza conclusa con la necessità del ricorso al processo amministrativo, ove culminante con il riconoscimento dell’illegittimità dell’agere amministrativo, dovrebbe generare l’automatica possibilità del risarcimento del danno non patrimoniale, al di fuori delle ipotesi espressamente contemplate dall’ordinamento.

Il Collegio rammenta, infine, che nel nostro ordinamento, mentre la sofferenza per il decorso del tempo per la celebrazione del processo trova una sua espressa dimensione di risarcimento del danno, un’analoga disposizione non è prevista per il procedimento amministrativo.

III b.Enucleati i principi informatori, è possibile passare all’analisi delle richieste formulate ai richiamati punti 11 e 12.

Rispetto al danno esistenziale, concepito come pregiudizio comportante riflessi esistenziali negativi (perdita di compiacimento o di benessere per il danneggiato) che ogni violazione di un diritto della personalità produce, sussiste, intanto, la necessaria eccezione dell’Amministrazione che, a pag. 11 del controricorso, rileva che non risulta dimostrato che i ricorrenti non fossero nelle condizioni di trovare una soluzione alternativa mediante l’acquisto della disponibilità di un immobile dotato di ascensore che consentisse loro di vivere insieme.

Osserva, anzi, il Collegio che il ricorrente, oltre all’immobile oggetto della controversia, era proprietario di altro appartamento, che, ove non supportato dell’ascensore (ma la circostanza non è dedotta in atti), avrebbe potuto costituire il presupposto, ove locato, per un reddito aggiuntivo idoneo asostenere la locazione di altro immobile adeguato alle esigenze della signora Greco.

In altri termini, il “vivere insieme”, quale svolgimento della libertà personale, è stato frustrato dall’attività dell’Amministrazione, limitatamente, però a “quell’immobile” e non in senso assoluto, cosicché, in definitiva, il raggiungimento del bene garantito dalla Costituzione è stato impedito anche dal comportamento dei due ricorrenti, i quali, ben avrebbero potuto trovare alternative (i cui costi differenziali sarebbero stati sopportati dall’Amministrazione, ove sussistenti tutti i presupposti) per coronare la loro legittima aspirazione di coppia.

Analogamente, per quanto riguarda il danno morale, inteso come turbamento dello stato d'animo della vittima consistente in una sofferenza od in un dolore, i ricorrenti collegano, per un verso, il turbamento ricevuto alla impossibilità di ricongiungimento presso un’unica abitazione e, per un altro, dai pregiudizi ricevuti dalla Sig.ra Greco, “pubblicamente mortificata nelle sue menomazioni” ed “oggetto di curiosità morbose” dell’opinione pubblica.

In ordine al primo aspetto, questo danno evento subisce la medesima sorte, per gli identici motivi, del danno esistenziale.

In ordine, poi, ai pregiudizi soggettivi ricevuti dalla sig.ra Greco, sia pure effettivamente comprensibili, non può dirsi che gli stessi si sarebbero realizzati, ove la vicenda fosse stata gestita in maniera diversa dal sig. Guglielmo, che, per altro, come eccepito dall’Amministrazione comunale, è effettivamente l’unico soggetto attivo (recte: passivo) della procedura contestata, essendo sia l’abitazione che le autorizzazioni negate di sua pertinenza.

Diversa questione riguarda l’altro danno evento consistente nel danno biologico, collegato alla patologia (lesione fisica o psichica) derivante dall’attività illegittima dell’Amministrazione.

Su detto tipo di danno è necessario che vi sia un concreto accertamento medico-legale, ove un principio di prova venga versato in atti circa il nesso di causalità tra attività amministrativa violativa delle regole preposte al corretto esercizio del potere e patologia sopravvenuta.

Il danno non è collegato alla diminuzione della capacità lavorativa e, quindi, alla patrimonialità in esso insita, ma al semplice pregiudizio alla salute, quale bene tutelato espressamente dall’art. 32 della Costituzione.

Altra questione riguarda il quantum del risarcimento, posto che l’unica forma di liquidazione possibile per un evento avulso da ogni carattere di patrimonialità è quella equitativa (cfr., ex multis, Cass. Civile, III, 20.10.2005, n. 20320), per cui, come chiarito,provata la lesione è provato il danno che deve essere liquidato, indipendentemente da qualsiasi apporto da parte del danneggiato circa l’impossibilità di quantificazione (secondo le regole di cui all’art. 1226 c.c.) .

Nel caso di specie, i ricorrenti hanno versato in atti il certificato medico del 17.1.2001 che ricollega le evidenziate patologie a stress conseguente da contenzioso con il Comune, referto endoscopico del 23.1.1997 redatto dal Policlinico Universitario di Messina, referto endoscopico del 19.1.2000 dell’Ospedale di Patti, per cui sul punto, secondo le regole che verranno di seguito formalizzate, va disposta consulenza tecnica d’ufficio.

Conclusivamente, relativamente alle domande di risarcimento secondo l’ordine di prospettazione da parte dei ricorrenti va statuito quanto segue:

1)l’accoglimento limitatamente ai danni per il mancato godimento dell’abitazione oggetto del presente giudizio, per il periodo 16.5.1994 – 21.12.1995, secondo gli importi da determinare dopo disponenda consulenza tecnica d’Ufficio;

il rigetto della domanda rispetto al mancato utilizzo di altro appartamento inserito nel complesso Collemare di proprietà del ricorrente Guglielmo Nunzio;

2)l’accoglimento della domanda relativa alle spese condominiali, limitatamente all’importo di Euro 566/18;

3)il rigetto della domanda relativa alle annualità versate per l’I.C.I. pagata negli anni 1994 – 1998;

4)l’accoglimento della domanda relativa al maggior costo sopportato a causa del differimento della costruzione limitatamente al periodo 16.5.1994 – 21.12.1995,secondo gli importi da determinare dopo disponenda consulenza tecnica d’Ufficio;

l’accoglimento della domanda di risarcimento del costo dell’ascensore, nella misura di euro 3.098/74;

5 – 6 - 7) occorre consulenza tecnica d’ufficio;

8)il rigetto della domanda per le spese sostenute per consulenze, assistenza tecnica, perizie giurate etc.;

9)il rigetto della domanda per le spese sostenute per difendersi dall’attività promossa dalle autorità penali;

10)il rigetto della domanda per le spese sostenute per bolli, copie, telegrammi etc.;

11 – 12) il rigetto della domanda per danno esistenziale e morale, disponendo, invece,consulenza tecnica per il danno biologico.

Va, pertanto, disposta consulenza tecnica d’ufficio, mezzo istruttorio espressamente previsto in generale dalla nuova formulazione dell’art. 44 T.u. delle leggi sul Consiglio di Stato, nella novella della L. n. 205/2000 - al fine di acclarare, riservando ogni pronuncia definitiva sul merito delle domandead un momento successivo al deposito della relazione del c.t.u., le seguenti circostanze:

UConsulente tecnico d’Ufficio, Ing. Antonio Cardia:

a)Accerti il consulente tecnico d’ufficio il valore locativo di mercato nel periodo 16.5.1994 – 21.12.1995 della villa inserita nel complesso l’”Altro Airone”;

b)Accerti il consulente tecnico d’ufficio l’incremento dei costi per la costruzione, sempre riferita al periodo 16.5.1994 – 21.12.1995, tenendo conto dei criteri espressi sub III 4) della presente decisionee che, stante l’entità, gli stessisi sarebbero potuti concludere in detto intervallo di tempo;

c)Accerti il consulente tecnico d’ufficio la sussistenza dei danni lamentati sub 5 e 7) delle richieste di risarcimento, descrivendo l’eventuale nesso causale dell’evento franoso con il fermo cantiere ed i pregiudizi ricevuti e potenziali dell’immobile, provvedendo a quantificare i primi e ad indicare presuntivamente, ove ritenuti sussistenti, con adeguata motivazione, un valore di riferimento per i secondi.

Accerti, inoltre, la necessità della posa dei materiali descritti ai numeri 5 e 6 della domanda di risarcimento.

UConsulente tecnico d’Ufficio, Dr. Antonino Bondì, medico legale:U

La sussistenza del nesso eziologico tra le patologie rappresentate in ricorso ed i fatti amministrativi ivi evidenziati, specificando, ove ritenuto sussistente detto nesso, il grado di pregiudizio alla salute ricevuto, le patologie ascrivibili ai fatti evidenziati nel gravame, l’entità dei postumi permanenti ed il calcolo del risarcimento, secondo le tabelle in uso, dei danni sofferti e riconosciuti dal sig. Guglielmo Nunzio.

Le predette consulenze tecniche, da effettuarsi senza la presenza del Giudice, dovranno riportare distintamente i risultati e le conclusioni finali in una relazione scritta (anche Uin floppy diskU)con allegati i documenti, anche grafici e/o fotografici, ritenuti necessari all’accertamento sopra disposto.

A norma dell’art. 201/1 C.p.c., le parti possono nominare propri consulenti tecnicisino al momento dell’inizio delle operazioni della c.t.u., alle quali gli stessi consulenti tecnici di parte e i difensori possono intervenire ai sensi e per gli effetti dell’art. 194/2C.p.c.

A tal fine, i Consulenti Tecnici nominati da questo Tribunale, ai sensi degli artt. 90 e 91 disp.att. c.p.c., comunicheranno alle parti costituite, presso il domicilio eletto, ed agli eventuali Consulenti tecnici di parte, la data di inizio delle operazioni peritali.

Per l’espletamento dell’incarico, i Consulenti tecnici potranno chiedere chiarimenti alle parti, assumere informazioni da terzi e svolgere tutte le indagini ritenute necessarie.

Le spese del presente giudizio sono riservate alla pronuncia definitiva.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia, Sezione staccata di Catania, Sezione Prima, in parte accoglie il ricorso in epigrafe, condannando il resistente Comune di Gioiosa Marea a corrispondere ai ricorrenti la complessiva somma di Euro 3.664/92 (tremilaseicentosessantaquattro/92) ed in parte lo rigetta, secondo quanto specificato in motivazione.

Dispone consulenza tecnica d’ufficio, per le restanti domande risarcitorie, anch’esse indicate nella parte motiva, nominandoconsulentitecnicid’ufficio l’Ing. Antonio Cardia, domiciliato in Via Nuova Panoramica dello Stretto n. 1020 – Pal B3 Complesso il Parnaso – Messina,ed il Dr. Antonino Bondì, Medico legale, domiciliato in Viale Italia, n. 73 Messina, invitandoli a comparire all’ UUdienza Pubblica dell’11 maggio 2006, ore 9.00U, per la prestazione del giuramento prescritto dall’art. 193 c.p.c., davanti al Consigliere relatore (che viene all’uopo delegato dal Collegio), nonché per l’eventuale indicazione del giorno, ora e luogo di inizio delle operazioni peritali.

Fissa in trenta giorni antecedenti alla Udienza Pubblica di rinvio il termine ultimo per il deposito della consulenza.

Autorizza le parti costituite a nominare un proprio consulente, sino alla data di inizio delle operazioni peritali, con dichiarazione resa ai sensi dell’art. 201 c.p.c. e dell’art. 91 disp. att. presso la Segreteria di questa Sezione.

Ordina alle parti ricorrenti di corrispondere direttamente ai Consulenti tecnici, prima dell’inizio delle operazioni peritali, a titolo di anticipazione, la somma di Euro cinquecento ciascuno.

Ai sensi dell’art. 8, comma 1, del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, il compenso definitivo verrà liquidato con decreto collegiale motivato a norma dell’art. 168 del predetto d.p.r. n. 115/2002, a seguito di presentazione, da parte dei consulenti tecnici d’ufficio nominati, della nota specifica delle spese prevista dall’art. 56 (in riferimento all’art. 50) dello stesso d.p.r. n. 115/2002, contenente l’indicazione della misura degli onorari spettanti sulla base delle tabelle richiamate dal successivo art. 275 del medesimo d.p.r. n. 115/2002, così come di recente adeguate con decreto 30.5.2002 del Ministro della Giustizia (in G.U.R.I. n. 182 del 5.8.2002).

Manda alla Segreteria giurisdizionale di notificare, ai sensi dell’art. 192 c.p.c., copia della presente Ordinanza aiConsulenti tecnici d’Ufficio, con invito a comparire all’Udienza Pubblica, come sopra fissata.

URinvia, per l’ulteriore trattazione del ricorso, all’Udienza Pubblica del 9 novembre 2006.

Ordina che la presente sentenza venga eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Catania nella Camera di Consiglio del 7.12.2005.

L’ESTENSORE

Dr. Pancrazio Maria Savasta

IL PRESIDENTE

Dr. Vincenzo Zingales

Depositata in Segreteria il 27 aprile 2006