Il diritto di usufrutto
							
							Il diritto di usufrutto, regolato dagli artt. 978 e segg. c. c., consiste nel 
								diritto di godere e disporre della cosa entro determinati limiti stabiliti 
								dalla legge e, soprattutto, compatibilmente con il diritto del proprietario.
							Il primo limite connaturato alla posizione dell'usufruttuario attiene alla 
								durata del diritto. Esso, infatti, non può essere costituito a tempo 
								indeterminato, a pena di nullità dell'atto costitutivo, bensì non 
								può eccedere in ogni caso la vita dell'usufruttuario. Qualora, invece, 
								il diritto sorga in favore di una persona giuridica, la durata massima 
								prescritta dalla legge è di trent'anni.
							Altri limiti caratteristici del diritto di usufrutto sono da individuare nel 
								divieto, posto a carico dell'usufruttuario, di mutare la destinazione economica 
								impressa alla cosa dal proprietario (ad esempio, l'usufruttuario non può 
								compiere sul fondo lavori volti a trasformare un bosco in un frutteto, e 
								viceversa) ed il dovere dello stesso di esercitare il proprio diritto usando la 
								diligenza del buon padre di famiglia, nel rispetto delle regole della tecnica.
							Sotto il profilo della legittimazione processuale, tuttavia, l'usufruttuario ha 
								facoltà di promuovere l'azione negatoria, volta ad accertare 
								l'inesistenza di servitù o altri diritti vantati da terzi sul fondo, 
								nonché di far valere il divieto di immissioni sancito dall'art. 844 c. 
								c. (Cass., 6 marzo 1979, n. 1404).
							L'usufruttuario è altresì obbligato a sostenere tutte le spese di 
								ordinaria amministrazione dirette alla conservazione del bene, laddove ogni 
								esborso di carattere straordinario compete esclusivamente al proprietario. Il 
								titolare del diritto in commento, infatti, deve tenere sempre presente il 
								carattere temporaneo della propria situazione giuridica: egli, alla scadenza 
								del termine originariamente previsto, o i suoi eredi, qualora il diritto si 
								estingua a seguito della morte dell'usufruttuario stesso, sono obbligati a 
								restituire la cosa al proprietario nello stato in cui essa si trova.
							A tale riguardo, peraltro, occorre effettuare una distinzione a seconda che 
								l'usufrutto abbia ad oggetto cose deteriorabili oppure consumabili. Nel primo 
								caso (si pensi, ad esempio, all'usufrutto di cave e torbiere) l'usufruttuario 
								può liberamente sfruttare il bene e rendere al proprietario la miniera 
								ormai in via di esaurimento, senza incorrere per questo motivo in alcun obbligo 
								risarcitorio. Nella seconda ipotesi, invece, parlare di usufrutto di cose 
								consumabili appare in realtà improprio; sull'usufruttuario, infatti, 
								grava soltanto l'obbligo di restituire alla controparte, al momento 
								dell'estinzione del proprio diritto, cose della medesima quantità e 
								qualità di quelle ricevute in godimento: risulta allora più 
								corretto inquadrare la fattispecie in un "quasi-usufrutto", figura 
								che verrebbe a condividere con l'usufrutto in senso tecnico pressoché 
								esclusivamente l'elemento della temporaneità.
							Tra gli obblighi che possono far capo all'usufruttuario è altresì 
								da ricordare l'obbligo di pagamento di un canone periodico in favore del 
								proprietario, previsto nell'atto costitutivo.
							Nell'esercizio del diritto di usufrutto, pur senza alterare la destinazione 
								economica del bene, l'usufruttuario ha comunque facoltà di apportare ad 
								esso miglioramenti, ossia interventi volti ad accrescere la produttività 
								e la redditività della cosa, incorporandovisi, e addizioni, cioè 
								modifiche della cosa che, tuttavia, mantengono rispetto ad essa 
								un'entità distinta. L'usufruttuario vanterà allora un diritto di 
								credito nei confronti del nudo proprietario nella misura di un'indennità 
								determinata in base al maggior valore arrecato alla cosa; peraltro, fino a 
								quando detto credito non viene regolarmente soddisfatto, al titolare 
								dell'usufrutto compete un diritto di ritenzione della cosa goduta, ossia di 
								rifiutare la restituzione del bene, paralizzando così la pretesa del 
								dominus.
							L'usufruttuario, inoltre, può disporre del proprio diritto concedendo a 
								terzi l'uso o l'abitazione sul medesimo bene ovvero attribuendo ad altri 
								diritti personali di godimento, per esempio mediante la stipula di un contratto 
								di locazione. Al contrario, non rientra nelle facoltà dell'usufruttuario 
								la costituzione di servitù a carico del fondo: tale diritto spetta 
								esclusivamente al proprietario.
							Una breve parentesi, da ultimo, va dedicata alla posizione dell'usufruttuario di 
								un piano o di una porzione di piano in un edificio in condominio. A tale 
								proposito la giurisprudenza è unanime nel rilevare che l'usufruttuario 
								ha diritto di partecipare alle assemblee condominiali e ad esprimere il proprio 
								voto nelle delibere che riguardano l'ordinaria amministrazione o il godimento 
								dei servizi comuni, mentre il proprietario ha diritto di voto quando si tratti 
								di decidere in ordine alle innovazioni, alle ricostruzioni o alle opere di 
								straordinaria manutenzione.
							Modi di costituzione e cause di estinzione dell'usufrutto
							Per quanto concerne le modalità di costituzione del diritto di usufrutto, 
								va detto che, analogamente a ciò che accade per gli altri diritti reali 
								di godimento, anche l'usufrutto può sorgere in virtù della 
								stipula di un contratto ad efficacia reale e redatto in forma scritta, a pena 
								di nullità, ovvero in forza di testamento, unico atto tipico mortis 
								causa consentito dall'ordinamento giuridico per regolare gli interessi 
								patrimoniali di un individuo per il tempo in cui avrà cessato di vivere. 
								Altra possibilità da prendere in considerazione è quella che 
								riconduce la costituzione del diritto di usufrutto ad una forma di acquisto per 
								usucapione, fenomeno che sarà analizzato a breve.
							Maggiori problematiche vengono generalmente sollevate dall'estinzione del 
								diritto in oggetto.
								Infatti, oltre alle tradizionali ipotesi della prescrizione per non uso 
								dell'usufrutto, del totale perimento della cosa e dell'estinzione dovuta a 
								provvedimenti in tal senso adottati dalla Pubblica Amministrazione o 
								dall'autorità giudiziaria, debbono ricordarsi i modi della 
								consolidazione e della decadenza per abuso.
							La consolidazione si verifica ogniqualvolta l'usufrutto e la proprietà si 
								riuniscano, per qualunque motivo (ad esempio per rinuncia dell'usufruttuario) 
								in capo alla stessa persona; la decadenza per abuso, disciplinata dall'art. 
								1015 c. c., invece, viene integrata tutte le volte in cui l'usufruttuario non 
								rispetti i limiti e non osservi gli obblighi caratteristici della sua 
								posizione. A tale riguardo, importante è da ritenersi l'intervento della 
								giurisprudenza. Per esempio, la Cassazione ha deciso che, in caso di 
								deterioramento, perché scatti la sanzione della decadenza dal diritto, 
								occorre che esso consista in un deterioramento grave, di carattere permanente e 
								tale da incidere sul valore del bene, menomandolo in maniera sensibile. Nei 
								casi meno gravi, invece, l'autorità giudiziaria può, secondo le 
								circostanze, limitarsi ad imporre all'usufruttuario una cauzione o adottare un 
								provvedimento che lo privi di ogni potere di ingerenza sulle cose, disponendo 
								magari che esse siano poste sotto amministrazione o locate a spese 
								dell'usufruttuario stesso.
							Ad ogni modo, il codice civile interviene a regolare compiutamente tutte le 
								conseguenze che possono derivare dall'estinzione dell'usufrutto.
								Tra i profili esaminati, un'attenzione particolare va riservata alla sorte dei 
								frutti della cosa concessa in usufrutto ed alla eventuale sopravvivenza del 
								contratto di locazione concluso dall'usufruttuario.
							Sotto il primo aspetto, i frutti naturali e civili devono essere ripartiti tra 
								usufruttuario e proprietario proporzionalmente alla durata del godimento del 
								bene da parte di ciascuno; d'altro canto, i diritti personali di godimento 
								sorti per volontà dell'usufruttuario, in linea generale, vengono meno in 
								concomitanza con l'estinzione dell'usufrutto; tuttavia, con riguardo alle 
								locazioni, l'art. 999 c. c. introduce una deroga, stabilendo che i rapporti in 
								corso di esecuzione alla cessazione dell'usufrutto, purchè risultino da 
								atto pubblico o scrittura privata avente data certa anteriore, continuano per 
								la durata stabilita dal contratto, anche se non per più di cinque anni. 
								In particolare, poi, l'anteriorità della formazione di un contratto di 
								locazione stipulato, con scrittura privata, dall'usufruttuario può 
								stabilirsi anche provando il fatto che il nudo proprietario ne era a conoscenza 
								(tale principio veniva già sancito dalla Cassazione nel 1969, con 
								sentenza n. 3457).
							Il diritto di uso e il diritto di abitazione
							Il diritto d'uso di mobili e/o immobili, definito dall'art. 1021 c. c., consente 
								al suo titolare di servirsi di una cosa e, se fruttifera, di raccoglierne i 
								frutti nei limiti dei bisogni propri e della propria famiglia, tenuto conto 
								della condizione sociale del soggetto; il diritto di abitazione, delineato 
								dall'art. 1022 c. c., invece, può essere esercitato esclusivamente 
								dimorando nell'immobile adibito ad abitazione.
							Entrambe le situazioni giuridiche in commento si caratterizzano nel senso che 
								l'usuario e l'habitator possono godere del bene soltanto in modo diretto e per 
								un periodo di tempo limitato, senza trarre da esso i proventi ricavabili 
								cedendolo o dandolo in locazione.
							Tali diritti , oltre che nei modi già esaminati, sorgono anche per legge 
								in via del tutto eccezionale, alla stregua dell'art. 540 c. c., secondo il 
								quale sono riconosciuti al coniuge superstite il diritto di abitazione della 
								casa familiare e di uso dei mobili che la arredano , se di proprietà del 
								defunto o comune.