Le servitù prediali
							
							Il diritto di servitù, la cui configurazione giuridica risulta piuttosto 
								complessa, è ben rappresentato dall'art. 1027 c. c. come un peso imposto 
								sopra un determinato fondo, denominato servente, per l'utilità di un 
								altro fondo, che si è soliti chiamare dominante, appartenente ad un 
								diverso proprietario.
								Dunque questo è lo schema generale delineato dal legislatore, il cui 
								contenuto può essere determinato di volta in volta dai privati 
								purché risulti meritevole di tutela secondo l'ordinamento; a tale 
								riguardo fondamentale è l'intervento della giurisprudenza, la quale 
								può porre taluni limiti alla creatività dei singoli.
							Accanto alle servitù di costituzione volontaria, devono comunque essere 
								considerate anche le cosiddette servitù coattive, imposte 
								d'autorità allorché sussistano i presupposti richiesti dalla 
								legge (si pensi alla servitù coattiva di passaggio imposta dall'art. 
								1051 c. c. a favore di un fondo ogniqualvolta esso sia circondato da fondi di 
								proprietà altrui e risulti privo di accesso alla via pubblica).
							Al pari degli altri diritti reali di godimento, anche la servitù presenta 
								i caratteri dell'immediatezza e dell'inerenza; essa, infatti, consente al suo 
								titolare di trarre l'utilità per il proprio fondo direttamente dal 
								godimento della cosa, senza bisogno dell'intermediazione di alcuno, e risulta 
								efficace erga omnes, nei confronti della collettività. Tuttavia il 
								profilo dell'inerenza assume nella servitù una valenza particolare, che 
								si può sintetizzare nell'espressione "diritto di seguito": 
								ciò sta a significare che il diritto di servitù è in grado 
								di seguire il bene presso ogni successivo acquirente (c. d. 
								ambulatorietà della servitù). Corollari di tale principio sono 
								l'inalienabilità e l'incedibilità della servitù, nel senso 
								che essa non potrà mai circolare separatamente rispetto alla 
								proprietà del fondo dominante.
							Le servitù, inoltre, fin dalla tradizione romanistica, vengono 
								comunemente definite prediali, dal latino praedium, terreno. Questa formula 
								appare alquanto significativa: essa, infatti, sta ad indicare che, per potersi 
								propriamente parlare di servitù, occorre che l'imposizione sul fondo 
								servente comporti un'utilità tendenzialmente stabile e duratura per il 
								fondo dominante e non per il proprietario di esso. Qualora, pertanto, si voglia 
								attribuire al vicino il diritto di cacciare nel proprio terreno, tale diritto 
								non potrà mai acquistare i caratteri della realità, ma si 
								dovrà intendere come diritto di credito del beneficiario ad una 
								prestazione in tal senso da parte del soggetto obbligato.
							
							Va poi precisato che il concetto di utilità del fondo accolto dal nostro 
								legislatore risulta estremamente ampio, potendo consistere, alla stregua 
								dell'art. 1028 c. c., "anche nella maggiore comodità o 
								amenità del fondo dominante". Ad esempio, nella servitù 
								altius non tollendi, l'utilità per il fondo dominante è 
								rappresentata, secondo la giurisprudenza di legittimità, dal maggior 
								panorama goduto, nonché dal maggior afflusso fruibile di aria e luce 
								(tra le altre, Cass. civ., sez. II, 6 marzo 1980, n. 1522).
							
							In materia di servitù, peraltro, è opportuno compiere alcune 
								distinzioni la cui rilevanza si manifesta al momento dell'acquisto e della 
								perdita del diritto in commento.A seconda che la servitù implichi o meno 
								un'attività di vera e propria ingerenza del titolare sul fondo servente, 
								si parla, rispettivamente, di servitù affermative e negative; ancora, ai 
								fini dell'esercizio della servitù, può rendersi necessaria 
								l'installazione di opere ben visibili e permanenti (basti pensare ad una 
								servitù di presa d'acqua), cosicché sarà individuabile una 
								c. d. servitù apparente, anziché non apparente; un'ultima 
								distinzione da ricordare contrappone le servitù continue, che, per il 
								loro esercizio, non necessitano del fatto dell'uomo (es. servitù di non 
								innalzare l'edificio confinante) oppure discontinue, in quanto richiedono 
								l'intervento umano (servitù di passaggio).
							
							Proseguendo nella trattazione del diritto in oggetto, si nota che un elemento 
								caratterizzante la servitù è la sua specialità: la 
								servitù, infatti, non comporta un asservimento totale del fondo 
								servente, tale da paralizzarne il godimento da parte del suo proprietario, ma 
								un singolo peso volto a realizzare un'utilità per il fondo dominante, ed 
								in più un peso specifico, adeguatamente determinato. Qualsiasi 
								previsione in senso diverso contenuta nell'atto costitutivo della 
								servitù darebbe luogo, in realtà, al sorgere di un diritto 
								obbligatorio.
							Cercando, dunque, di riassumere i tratti tipici del diritto di servitù, 
								va chiarito che:
							
								- 
									i due fondi interessati dalla costituzione della servitù devono 
										appartenere a due proprietari diversi; allorché, infatti, un medesimo 
										soggetto sia contemporaneamente proprietario di due fondi e, di fatto, ne ponga 
										uno a servizio dell'altro, si realizza una situazione sostanziale 
										corrispondente al contenuto di un diritto di servitù; tuttavia, esso 
										giuridicamente non può sorgere, fino a che i fondi stessi non vengano 
										divisi o altrimenti attribuiti a proprietari diversi (c. d. costituzione per 
										destinazione del padre di famiglia);
- 
									deve sussistere un collegamento funzionale tra detti fondi, è 
										cioè necessario che l'uno sia stabilmente idoneo a realizzare 
										un'utilità per l'altro (non è richiesta, invece, la vicinitas, 
										cioè la contiguità territoriale dei fondi stessi);
- 
									tale collegamento funzionale tra i fondi si realizza a senso unico, posto che 
										un fondo non può nello stesso tempo qualificarsi come dominante e come 
										servente nei confronti di un altro (si parla al riguardo di 
										unilateralità della servitù).
Peraltro, al di fuori del contenuto del diritto di servitù venuto ad 
								esistenza, il proprietario del fondo servente può obbligarsi 
								personalmente a compiere in favore del fondo dominante tutte quelle 
								attività che possono rendere più comodo e agevole l'esercizio del 
								diritto stesso (per esempio, in una servitù di presa d'acqua, l'obbligo 
								di acconsentire alla costruzione di un pozzo sul fondo gravato per facilitare 
								la derivazione d'acqua): tali obblighi seguono la normativa generale in materia 
								di rapporti obbligatori.
							
							Modi di costituzione e esercizio del diritto di servitu'
							Laddove le servitù coattive disciplinate dal codice civile e dalle leggi 
								speciali si costituiscono necessariamente in forza di sentenza o di 
								provvedimento amministrativo, le servitù volontarie possono sorgere sia 
								in virtù di un atto di autonomia privata (contratto o testamento), 
								soggetto all'obbligo della forma scritta a pena di nullità e della 
								trascrizione nei registri immobiliari, sia a titolo originario, mediante 
								usucapione o quella particolare forma di acquisto della servitù che 
								è la destinazione del padre di famiglia, allorché dette 
								servitù si configurino come affermative e apparenti.
							Dell'usucapione ci si occuperà specificamente nella sezione dedicata al 
								possesso; per quanto concerne, invece, l'acquisto per destinazione del padre di 
								famiglia, esso si realizza al verificarsi di tutti i presupposti indicati 
								dall'art. 1062 c. c., ossia allorché il proprietario di due fondi abbia 
								di fatto posto l'uno al servizio dell'altro, tale situazione si sia protratta 
								per un certo periodo di tempo e, da ultimo, intervenga la divisione dei fondi o 
								altro atto che attribuisca la proprietà dei fondi in questione a due 
								soggetti distinti.
							Nel corso dell'esercizio del diritto di servitù, il criterio di 
								riferimento a cui attenersi, nel silenzio dell'atto costitutivo, è 
								quello cosiddetto del minimo mezzo, enunciato dall'art. 1065, parte seconda, c. 
								c., ai sensi del quale "nel dubbio circa l'estensione e le modalità 
								di esercizio, la servitù deve ritenersi costituita in guisa da 
								soddisfare il bisogno del fondo dominante col minor aggravio del fondo 
								servente".
							
							Tale regola viene utilizzata dall'interprete anche per svelare il significato di 
								clausole contrattuali ambigue o qualora il precedente possesso non offra 
								elementi certi, nonché come norma generale, a cui fanno da corollario 
								altre disposizioni, dettate dagli artt. 1067 e segg. c. c. In particolare, la 
								Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sent. n. 3184/2003) ha 
								stabilito che l'ampliamento coattivo di una servitù di passaggio, 
								così come previsto dall'art. 1051 c.c., trova il limite "nella 
								valutazione delle contrapposte esigenze dei fondi, in quanto il pregiudizio per 
								il fondo servente non deve essere superiore al vantaggio che ne ricaverebbe il 
								fondo dominante".
							
							Così il proprietario del fondo servente può compiere su di esso le 
								innovazioni che non rendano comunque più incomodo il godimento del 
								diritto al proprietario del fondo dominante, il quale, d'altro canto, non 
								può fare innovazioni che determinino un aggravio della condizione del 
								fondo servente. In linea di principio, inoltre, il proprietario del fondo 
								servente non può trasferire l'esercizio della servitù in un luogo 
								diverso da quello in cui è stato stabilito originariamente, a meno che 
								ricorrano le ipotesi tassativamente previste dalla legge.
							
							Cause di estinzione del diritto di servitu'
							I casi di estinzione del diritto di servitù espressamente contemplati dal 
								Codice Civile agli artt. 1072 e seguenti sono:
							
								- 
									la confusione, ossia la riunione della proprietà del fondo dominante e 
									del fondo servente in capo allo stesso soggetto;
- 
									la prescrizione per non uso ventennale del diritto; la legge precisa, 
									peraltro, che il giorno dal quale far decorrere detto termine è da 
									individuare per le servitù discontinue nella data in cui è stato 
									compiuto l'ultimo atto di esercizio della servitù stessa, per le 
									servitù continue nel giorno in cui è venuta meno la 
									possibilità di godere regolarmente di tale diritto;
- 
									l'impossibilità sopravvenuta di esercizio della servitù o il 
									venir meno dell'utilità in funzione della quale la servitù 
									è stata costituita; in queste ultime ipotesi, tuttavia, l'effetto 
									estintivo non è immediato, in quanto la servitù sopravvive in uno 
									stato di quiescenza per un periodo di venti anni, nell'eventualità di un 
									ulteriore mutamento dello stato dei luoghi.
LA TUTELA DELLA SERVITU'
							Il titolare del diritto di servitù è legittimato ad agire in 
								confessoria servitutis (art. 1079 c. c.) al fine di accertare l'esistenza del 
								proprio diritto, potendo, se del caso, ottenere anche provvedimenti volti alla 
								cessazione di impedimenti o turbative di qualsivoglia natura, alla riduzione in 
								pristino, nonché al risarcimento dei danni subiti.
							
								Sotto il profilo processuale, peraltro, non si configura alcuna ipotesi di 
								litisconsorzio necessario né dal lato attivo né dal lato passivo 
								(Cassazione civile, 22 giugno 1968, n. 2087; Cassazione civile, 22 maggio 1974, 
								n. 1514; Cassazione civile, 12 giugno 1979, n. 3313).Per quanto riguarda 
								l'individuazione del legittimato passivo di questo strumento processuale, gli 
								orientamenti di dottrina e giurisprudenza risultano divergenti tra loro; 
								mentre, infatti, la dottrina tende ad accogliere una nozione molto ampia di 
								legittimazione passiva, attribuendola sostanzialmente a chiunque ponga in 
								essere turbative al diritto di servitù, la giurisprudenza adotta un 
								atteggiamento più rigoroso, ritenendo che l'actio confessoria possa 
								essere promossa esclusivamente nei confronti del proprietario del fondo 
								servente. In ogni caso, il titolare del diritto di servitù potrà 
								sempre esperire un'azione risarcitoria ex art. 2043 c. c., qualora se ne 
								ravvisino i presupposti, e potrà altresì ricorrere alla tutela 
								possessoria.