Il diritto di proprietà
Il diritto di proprietà è costituzionalmente tutelato dall'art.
42 Cost., il quale statuisce che nel nostro ordinamento la proprietà
può essere sia pubblica che privata, nell'ottica di un sistema di
economia di mercato. Inoltre tale disposizione prevede espressamente che
"la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla
legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo
di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti".
Ciò determina un necessario contemperamento tra l'interesse del singolo
proprietario e quello della collettività, che spesso viene affidato
all'intervento di una normativa vincolistica.
A norma dell'art. 832 c. c. il proprietario ha diritto di godere e disporre
della cosa in modo pieno ed esclusivo, ovviamente osservando i limiti stabiliti
dall'ordinamento; l'ampiezza del suo diritto subisce invece una compressione di
diversa intensità qualora sulla medesima cosa gravino altri diritti
reali di godimento, fino al punto che la proprietà viene denominata
"nuda" nel caso in cui con essa concorra il diritto di usufrutto
IL DIVIETO DI ATTI DI EMULAZIONE
Proseguendo nell'analisi delle norme di applicabilità generale dettate in
materia di proprietà, occorre soffermarsi sull'art. 833 c. c., la cui
rubrica recita "atti di emulazione".
Con tale disposizione il nostro legislatore ha inteso vietare che il
proprietario ponga in essere atti volti esclusivamente a recare pregiudizio ad
altri e non anche a produrre una qualche utilità per chi li compie.
Tuttavia, detta norma, anche se in linea di principio condivisibile, trova rara
applicazione; infatti è praticamente impossibile che il soggetto
danneggiato da un atto di emulazione riesca a dimostrare che il proprietario
non tragga neppure un minimo vantaggio dall'atto stesso.
Mentre la dottrina ha tentato di rendere effettivo tale divieto, la
giurisprudenza si è sempre attestata su una linea interpretativa
letterale e rigorosa. Ad esempio, in passato si è ritenuto che un
interesse, sia pure di ordine meramente estetico, soddisfatto dal proprietario
con il suo comportamento possa legittimare un atto che, invece, pregiudica
fortemente un diritto primario altrui, quale il diritto alla salute (Cass., 26
aprile 1975, n.1604).
Una sentenza piuttosto recente della Corte di Cassazione, la n. 8251 del 6
giugno 2002, ha trattato in maniera approfondita la figura dell'abuso del
diritto, ricostruendo i presupposti applicativi dell'art. 833 c. c. Quanto
all'elemento oggettivo, per la qualifica dell'atto come emulativo è
sufficiente una oggettiva sproporzione tra il pregiudizio altrui e
l'utilità del proprietario. Quanto all'elemento soggettivo, si osserva
come l'art. 833 c.c., nel suo tenore letterale, non conferisca rilevanza alcuna
all'animus nocendi, in quanto lo "scopo" di cui la norma parla indica
soltanto la finalità oggettiva dell'atto.
LA PROPRIETA' FONDIARIA
La maggior parte delle disposizioni dettate dal Titolo del Libro III del Codice
Civile dedicato alla proprietà concerne la proprietà avente ad
oggetto beni immobili, la cosiddetta proprietà fondiaria (artt. 840-921
c. c.). Tra le norme citate, è opportuno commentare almeno quelle di
più frequente applicazione; a tale riguardo vengono in rilievo
soprattutto l'art. 844 c. c., in materia di immissioni provenienti dal fondo
del vicino, e le norme inerenti le distanze tra costruzioni.
Il menzionato art. 844 c. c., al suo primo comma, consente le esalazioni, le
immissioni e le propagazioni derivanti dal fondo del vicino, a meno che esse
non superino la normale tollerabilità. Tale criterio deve
necessariamente adattarsi alle circostanze del caso concreto, onde valutare se
si debbano far prevalere le esigenze della produzione ovvero le ragioni della
proprietà. A tal fine l'autorità giudiziaria a cui ci si rivolga
per la tutela dei propri diritti gode di ampi poteri discrezionali di
intervento, potendo essa limitarsi a permettere la prosecuzione delle
immissioni previa corresponsione di un indennizzo in favore del titolare del
fondo danneggiato, così come condannare il proprietario del fondo da cui
provengano le esalazioni ad adottare gli accorgimenti tecnici volti a
ricondurre le immissioni stesse entro il limite della normale
tollerabilità.
D'altronde, sebbene la materia nel tempo sia divenuta oggetto di numerose leggi
speciali e regolamenti che rischiano di ingenerare confusione, la Suprema Corte
ha chiarito che tali norme hanno natura meramente pubblicistica e che,
pertanto, nei rapporti tra privati, continua a trovare applicazione
esclusivamente l'art. 844 c. c.(Cassazione, sent. 29/4/2002 n.6223).
Spesso i rapporti di vicinato determinano l'insorgere di conflitti relativi al
rispetto della distanza tra le costruzioni. A tale proposito occorre fare
riferimento agli artt. 873 e segg. c. c.
La normativa in commento pone innanzitutto una misura fissa di tre metri come
standard per la distanza minima tra le costruzioni non unite o aderenti tra
loro, demandando ai regolamenti locali la facoltà di stabilire distanze
maggiori, ma mai distanze inferiori. La ratio di tale disposizione è
evidente: la tutela dell'igiene pubblica impone, infatti, una distanza tra gli
edifici che assicuri luce e aria sufficienti.
Il discorso cambia allorché la costruzione venga realizzata in appoggio
o in aderenza ad una preesistente. Nel primo caso vi è comunione forzosa
del muro su cui ci si appoggia e si è tenuti a pagare la metà del
valore del muro stesso; nella seconda ipotesi, invece, si fabbrica lungo il
muro a stretto contatto di questi, senza appoggiarvisi, e non è
necessario sostenere alcuna spesa.
I modi di acquisto della proprieta'
I modi di acquisto della proprietà vengono elencati in maniera del tutto
esemplificativa dall'art. 922 c. c.; essi sono l'occupazione, l'invenzione, la
scoperta del tesoro, l'accessione, l'unione o commistione, la specificazione e
l'usucapione. La disposizione, peraltro, individua anche taluni fenomeni che
consentono l'acquisto a titolo derivativo anche di diritti diversi dalla
proprietà: si tratta della successione in forza di contratti e di quella
a causa di morte, nonché degli altri modi previsti dalla legge, cui
l'art. 922 c. c. rinvia.
L'occupazione è un modo di acquisto della proprietà a titolo
originario, che prescinde, cioè, dalla preesistenza della
proprietà altrui sul medesimo bene. Detta occupazione, a norma dell'art.
923 c. c., può compiersi esclusivamente con riferimento alle c. d. res
nullius, ossia a cose che non risultano di proprietà di alcuno (si pensi
alla selvaggina), quando concorrano sia il requisito oggettivo
dell'impossessamento del bene, sia quello soggettivo della volontà
dell'occupante. Peraltro, attraverso una lettura sistematica di tale norma, si
rileva che il mezzo di acquisto della proprietà in commento può
riguardare esclusivamente beni mobili, dal momento che i beni immobili vacanti,
ai sensi dell'art. 827 c. c., diventano di proprietà dello Stato.
Parzialmente diversa dall'occupazione è l'invenzione, regolata dagli
artt. 927 e segg. c. c., che, oltre a disciplinare le modalità
d'acquisto delle cose mobili ritrovate, mostrano chiaramente il favore del
legislatore perché le cose smarrite siano restituite ai proprietari.
Premesso che per cosa smarrita deve intendersi quella cosa di cui il
proprietario o possessore o detentore abbia perso la disponibilità
materiale, chi la trova è tenuto a renderla al proprietario, se lo
conosce, mantenendo soltanto il diritto ad un premio proporzionale al valore
del bene ritrovato. Nel caso in cui, invece, non si conosca il legittimo
proprietario della cosa, chi rinviene l'oggetto deve consegnarlo al Sindaco del
luogo del ritrovamento perché affigga per due domeniche successive
nell'albo comunale idoneo avviso del ritrovamento stesso: qualora il
proprietario non reclami il bene entro un anno dal rinvenimento,
automaticamente l'inventore ne acquista la proprietà.
Ormai essenzialmente di scuola è l'ipotesi della scoperta del tesoro,
che presuppone il reperimento di una cosa mobile di pregio nascosta o
sotterrata, di cui nessuno possa provare di essere il proprietario.
L'accessione in senso proprio, disciplinata dagli artt. 934 e segg. c. c., si
fonda sul principio generale per cui la proprietà del suolo attrae anche
la proprietà delle costruzioni e/o piantagioni che vi vengano
realizzate, fatti salvi i rapporti di carattere obbligatorio che ne possono
derivare. Se infatti, per esempio, il proprietario del fondo costruisce
un'opera sul proprio terreno utilizzando materiali altrui, questi ultimi siano
facilmente separabili dal manufatto e ciononostante la separazione non venga
richiesta dal loro proprietario entro 6 mesi dal giorno in cui è stato
messo a conoscenza dell'incorporazione di essi nel nuovo bene, il proprietario
del fondo diventerà anche proprietario della costruzione e dovrà
corrispondere esclusivamente il valore dei materiali impiegati al legittimo
proprietario di essi. Intervenendo in materia, peraltro, la Seconda Sezione
Civile della Corte di Cassazione, con sentenza n. 6078 del 26 aprile scorso, ha
precisato che la normativa codicistica non può essere derogata che da
specifiche disposizioni di legge ovvero da altrettanto specifiche pattuizioni
tra le parti; non è quindi ammesso derogarvi attraverso un negozio
unilaterale come un testamento.
La fattispecie prevista dall'art. 938 c. c., "occupazione di porzione del
fondo attiguo altrui", nota anche come accessione invertita, in
realtà rappresenta un'eccezione alla regola appena enunciata solo in via
eventuale. Tale norma, infatti, dispone che, qualora si realizzi un edificio
occupando parzialmente il fondo confinante altrui, in linea di massima il
proprietario del terreno occupato acquista altresì la proprietà
di quella parte di costruzione che insiste sul proprio fondo. Tuttavia, in
presenza delle condizioni richieste dalla legge, detta regola viene ad essere
capovolta: in particolare, a tal fine, occorre che l'occupazione del suolo sia
avvenuta in buona fede, che il proprietario del suolo non richieda
l'abbattimento dell'edificio entro tre mesi dall'inizio della costruzione e che
il giudice, nell'esercizio del suo potere discrezionale, tenuto anche conto
delle circostanze, attribuisca la proprietà del suolo occupato al
proprietario della costruzione, con efficacia costitutiva. Ciò detto,
residuerà comunque,a carico di chi abbia acquisito la proprietà
della porzione del fondo altrui, l'obbligo di corrispondere al precedente
proprietario un'indennità pari al doppio del valore del terreno stesso.
Detta regola, da ultimo, si riferisce esclusivamente alla costruzione di un
edificio, cioè di una struttura muraria complessa, e pertanto non
può essere invocata con riguardo ad opere diverse, quali un muro di
cinta (Cass., 10 febbraio 1984, n. 1018).
Sul principio fondamentale dell'accessione si basano, inoltre, anche alcuni
fenomeni naturali, di derivazione romanistica, quali l'alluvione, l'avulsione,
da identificare nel distaccamento di talune parti consistenti di un fondo che,
per effetto della piena di un fiume o di un torrente, si incorporano ad un
altro terreno, l'alveo abbandonato ed altri similari, che presuppongono eventi
meramente naturali e costituiscono ipotesi di accessione da immobile a
immobile.
Si parla, invece, di accessione da mobile a mobile quando si analizzano quei
modi di acquisto della proprietà che sono l'unione o commistione e la
specificazione.
Per quanto concerne la prima, essa è integrata nel caso in cui due o
più cose, appartenenti a diversi proprietari, vengono unite o mescolate
in modo da formare una cosa sola. In realtà, in tale ipotesi, si
verifica il sorgere di una situazione di comproprietà, proporzionale
alla quantità degli elementi originariamente di proprietà di
ciascuno, purché detti materiali non risultino facilmente separabili;
solo qualora sia individuabile una cosa principale o notevolmente superiore per
valore, il proprietario di questa diventa proprietario del tutto, salvo
l'obbligo di versamento di un indennizzo in denaro.
Discorso analogo dev'essere compiuto per quel che riguarda la specificazione.
Essa, regolata dall'art. 940 c. c., si realizza ogniqualvolta un soggetto,
lavorando una materia di proprietà altrui, dia forma ad una nuova cosa:
essa viene acquistata direttamente dallo specificatore, il quale dovrà
poi pagare al proprietario il prezzo della materia, a meno che il valore della
materia stessa superi notevolmente quello della manodopera. Il legislatore ha
dunque inteso assicurare una tutela più intensa al lavoratore ed alla
sua opera.
LA TUTELA DELLA PROPRIETA'
Gli strumenti posti dal nostro ordinamento a tutela del diritto di
proprietà e contemplati dagli artt. 948-951 c. c. sono, rispettivamente,
l'azione di rivendicazione, l'azione negatoria, l'azione di regolamento di
confini e di apposizione di termini.
A ben vedere, peraltro, al proprietario, così come al possessore,
spettano anche le cc. dd. azioni di nunciazione, ossia la denuncia di nuova
opera e la denuncia di danno temuto, regolate dagli artt. 1171-1172 c. c. e su
cui si tornerà nella sezione dedicata al possesso.
Il principale rimedio processuale, tra quelli in commento, è
indubbiamente l'azione di rivendicazione, volta a recuperare il bene sfuggito
alla disponibilità del proprietario in quanto a lui sottratto. Tale
azione persegue dunque una finalità essenzialmente recuperatoria,
sebbene con essa il proprietario possa chiedere anche l'accertamento del suo
diritto. L'azione e la pronuncia di accertamento sono assai utili soprattutto
nel caso in cui l'acquisto sia avvenuto in via possessoria e senza titolo
formale, cioè per usucapione (Cass., 30 marzo 1985, n. 2239).
Legittimato attivo, pertanto, è esclusivamente il proprietario, che, in
qualità di attore, secondo il principio generale in materia di onere
della prova, è tenuto a dimostrare gli elementi costitutivi del diritto
fatto valere. Detto onere, peraltro, non sempre è di facile adempimento,
configurandosi talora addirittura come probatio diabolica, soprattutto qualora
il diritto sia stato acquistato da un precedente proprietario; in tali casi,
tuttavia, vengono in soccorso alcuni correttivi dettati in materia di possesso.
Legittimato passivo dell'azione di rivendicazione è invece chiunque
abbia il possesso o la detenzione della cosa ovvero chi, prima della
proposizione della domanda giudiziale, abbia consapevolmente ceduto il bene a
terzi; in tal caso colui che abbia sottratto la cosa al proprietario
sarà obbligato a reperirla e restituirla allo stesso ovvero a
corrispondergli l'equivalente in denaro qualora il bene non possa essere
ritrovato.
La predetta azione è imprescrittibile, fatti salvi gli acquisti
validamente effettuati da terzi per usucapione, ed è soggetta a
trascrizione.
L'actio negatoria, invece, può essere promossa dal proprietario che tema
di subire pregiudizio da terzi che vantino sulla medesima cosa diritti reali
minori, cosicché legittimato passivo è soltanto il titolare di un
diritto reale di godimento; è necessario, peraltro, che il pericolo di
molestia sia effettivo, non rilevando la mera affermazione della
titolarità di un diritto da parte di un terzo. Anche tale strumento di
difesa della proprietà è imprescrittibile e soggetto a
trascrizione.
Sia l'azione di regolamento di confini che quella di apposizione di termini
hanno ad oggetto esclusivamente la proprietà fondiaria; esse, inoltre,
sebbene apparentemente simili, si fondano su presupposti ben distinti.
La prima, infatti, è volta ad ottenere dall'autorità giudiziaria
la precisa determinazione della linea di confine atta a separare due fondi
attigui; a tal fine, dovrà essere espletata idonea consulenza tecnica;
soltanto qualora perduri l'incertezza, avranno efficacia probatoria i
certificati catastali.
L'azione di apposizione di termini, invece, ha l'unico scopo di ripristinare i
termini mancanti o divenuti irriconoscibili ripartendo equamente la spesa tra i
proprietari finitimi; in tal caso la delimitazione del confine non è in
dubbio. In giurisprudenza, si è soliti affermare che l'azione personale
di apposizione di termini può mutarsi in quella reale di regolamento di
confini ogniqualvolta, in relazione alle eccezioni sollevate dal convenuto,
insorga tra le parti un contrasto sulla linea di confine lungo la quale i
termini debbono essere apposti (tra le altre, Cass., 5 dicembre 1985, n. 6107).