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L'accertamento dello stato passivo
Tale attività è indubbiamente da considerarsi centrale nella procedura fallimentare,
in quanto volta a determinare il numero, l’ammontare e il grado dei crediti maturati
nei confronti del fallito anteriormente al fallimento. Nelle stesse forme e negli
stessi modi dev’essere instaurato il procedimento per l’accertamento di diritti
mobiliari vantati da terzi su cose possedute dal fallito.
La formazione del passivo
fallimentare avviene attraverso due fasi, la prima delle quali necessaria e la seconda
eventuale. La fase necessaria si distingue poiché nel corso di essa il giudice delegato
provvede sulle istanze di ammissione al fallimento depositate dai creditori in cancelleria,
necessariamente corredate da prove (come richiesto, tra l’altro, da Cass., sent.
n. 6707 del 1994), predisponendo lo stato passivo, dapprima in via provvisoria,
e quindi, sentiti il fallito e il curatore ed assunte informazioni dai creditori,
in maniera definitiva, mediante l’emissione del decreto di esecutività dello stato
passivo. Si apre, invece, la fase eventuale nel caso in cui si riscontri una mancata
acquiescenza dei soggetti interessati al suddetto decreto di esecutività, manifestata
attraverso l’opposizione allo stato passivo, l’impugnazione dei crediti ammessi,
le dichiarazioni tardive di crediti e la revocazione di crediti ammessi.
In primo
luogo il curatore è tenuto a comunicare ai creditori ed agli altri interessati,
con lettera raccomandata o anche a mezzo telefax o posta elettronica, come disposto
dall’art. 92, nuova formulazione, L. F., il termine entro cui far pervenire in cancelleria
le domande di insinuazione al passivo e la data dell’udienza di verifica indicata
nella sentenza dichiarativa del fallimento. Il termine per la presentazione di dette
istanze deve essere attualmente di almeno trenta giorni prima della data dell’adunanza
stabilita dalla sentenza stessa, che, a sua volta, deve essere convocata nel termine
perentorio di centoventi giorni dal deposito della sentenza.
La domanda di insinuazione,
peraltro, a seguito della riforma, può essere inoltrata anche in via telematica.
Si ricorda, inoltre, che grava sempre sul creditore istante l’onere di provare l’esistenza
del proprio credito, producendo, a tal fine, la relativa documentazione. Qualora
detti documenti non vengano allegati all’istanza al momento del deposito, essi,
secondo quanto disposto dal nuovo testo dell’art. 93 L.F., debbono essere depositati,
a pena di decadenza, non oltre 15 giorni prima dell’adunanza fissata per la verifica
dello stato passivo.
La formazione dello stato passivo si articola in due fasi distinte,
sebbene strettamente connesse tra loro: la prima, a carattere interno dell’ufficio,
in cui viene predisposto un progetto di stato passivo, in cui stabilire quali crediti
siano da ammettere e quali da escludere, e la seconda a carattere pubblico, incentrata
sull’adunanza dei creditori, durante la quale viene esaminato il progetto di stato
passivo ed il giudice delegato, tenuto conto delle osservazioni formulate dai creditori
interessati, può apportarvi le modifiche e le integrazioni ritenute necessarie.
Attualmente, il suddetto progetto di stato passivo deve essere depositato
in cancelleria non più tre giorni, ma almeno 15 giorni prima dell’udienza di verifica,
affinché i creditori possano prenderne visione. Il curatore, inoltre, deve predisporre
elenchi separati dei creditori e dei titolari di diritti su beni mobili o immobili
di proprietà o in possesso del fallito, rassegnando per ognuno le sue motivate conclusioni.
Lo stato passivo, dunque, predisposto, a seguito della riforma, dal curatore e non
più dal giudice delegato, viene verificato nel corso dell’adunanza dei creditori,
alla presenza del curatore stesso e con l’intervento del fallito, così da dar luogo
ad un contraddittorio, sia pure informale, tra i vari soggetti interessati. Conclusa
la verifica, viene dunque formato lo stato passivo, costituito, in realtà, da una
serie di singoli provvedimenti di ammissione o di esclusione dei crediti insinuati
al passivo. Pertanto lo stato passivo definitivo, formato all’esito di una o più
adunanze di verificazione, dev’essere sottoscritto dal giudice e dal cancelliere
e reca in calce il decreto del giudice che ne dichiara l’esecutività. In base alla
disciplina vigente, peraltro, la sottoscrizione dello stato passivo e la dichiarazione
di esecutività avvengono al termine dell’adunanza dei creditori, non potendo più
il giudice delegato riservarsi la formazione dello stato passivo fino a quindici
giorni dopo la conclusione delle operazioni da parte dell’adunanza dei creditori.
Il relativo decreto viene quindi depositato in cancelleria in modo che i creditori
possano prenderne visione. A tal fine, secondo quanto statuito dalla Corte Costituzionale
con sentenza n. 102 del 1986, il curatore è tenuto a comunicare l’avvenuto deposito,
mediante raccomandata con ricevuta di ritorno, ovvero, quando sia espressamente
richiesto, tramite telefax o posta elettronica, a tutti i creditori che hanno presentato
domanda di ammissione al passivo, comunicando, se del caso, anche l’esclusione o
l’ammissione con riserva. I provvedimenti che il giudice delegato può assumere relativamente
alle singole posizioni creditorie possono essere di tre tipi: ammissione al passivo,
con specificazione della garanzia da cui il credito sia eventualmente assistito,
in forza della quale il creditore acquista il diritto di partecipare alla distribuzione
del ricavato della liquidazione; esclusione totale o parziale dal passivo, che deve
essere motivata, sia pure sommariamente, e con cui viene negata al soggetto la qualità
di creditore concorrente o, quantomeno, di creditore privilegiato; ammissione con
riserva, che riguarda i crediti sottoposti a condizione e quelli che non possono
essere fatti valere contro il fallito se non previa escussione di un obbligato principale.
Ciò premesso, gli artt. 98 e 99 L. F., così come recentemente modificati, hanno
operato un’unificazione procedimentale dei sistemi di impugnazione avverso il decreto
che rende esecutivo lo stato passivo, per i quali, in precedenza, erano invece previsti
riti diversi. Vengono dunque confermati i mezzi di impugnazione già stabiliti dal
legislatore, quali l’opposizione dei creditori esclusi o ammessi con riserva, l’impugnazione
dei crediti ammessi da parte degli altri creditori e la revocazione di crediti ammessi,
e viene poi previsto che tutte le citate impugnazioni si propongono con ricorso
depositato presso la cancelleria del Tribunale entro trenta giorni dalla comunicazione
del decreto di esecutività dello stato passivo. Tale ricorso deve già contenere,
a pena di decadenza, tra l’altro, l’indicazione specifica dei mezzi di prova di
cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti prodotti. Il tribunale quindi
procede in camera di consiglio.
Ancora, l’art. 101 L. F., nuovo testo, ha introdotto
rilevanti modifiche al regime previgente in tema di insinuazioni tardive, modifiche
applicabili, com’è noto, solo alle procedure aperte dopo il 16 gennaio 2006, data
di entrata in vigore del d. lgs. n. 5/06. Tale disposizione, infatti, stabilisce
che le domande di ammissione al passivo di un credito depositate in cancelleria
oltre il termine di trenta giorni prima dell’udienza fissata per la verifica dello
stato passivo e non oltre quello di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività
dello stato passivo sono considerate tardive. In tal modo il legislatore ha dunque
inteso limitare entro un lasso di tempo piuttosto contenuto il periodo in cui possano
essere proposte insinuazioni tardive, così da concentrare il più possibile l’intera
attività di verifica dello stato passivo.
Il procedimento per l’accertamento delle
domande tardive si svolge con le medesime modalità previste per la verifica
dello stato passivo.
La liquidazione dell'attivo
Affinché si possa provvedere alla distribuzione ai creditori dell’attivo ricavato
dai beni del fallito, occorre che detti beni siano convertiti in denaro e comunque
amministrati nel corso della procedura fallimentare. Tale fase generalmente si colloca
immediatamente dopo l’emanazione del decreto di esecutività dello stato passivo,
al fine di procedere alla liquidazione esclusivamente sulla base dell’ammontare
complessivo dei debiti del fallito e di consentire a quest’ultimo di presentare
tempestivamente domanda di concordato. Soltanto qualora vi sia motivo di ritenere
che, attendendo la chiusura dello stato passivo, possano venire meno delle possibilità
di guadagno, il curatore, previa autorizzazione del giudice delegato, è legittimato
a vendere anzitempo.
Tale fase della procedura fallimentare è stata profondamente
modificata dalla recente riforma, la quale ha effettivamente rivoluzionatole procedure
di vendita dei beni acquisiti alla massa fallimentare.
Innanzitutto i procedimenti
liquidatori non sono più ancorati alle rigide disposizioni del codice di procedura
civile in materia di esecuzioni individuali, bensì possono svolgersi in forme più
libere, comunque basate sul principio della competitività. Inoltre le procedure
di liquidazione sono effettuate non più dal giudice delegato, ma dal curatore, se
del caso con l’ausilio di operatori specializzati.
A tal fine, dunque, il curatore
deve predisporre un programma di liquidazione che dovrà poi essere attuato nel corso
della procedura.
Peraltro il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori,
può decidere di non acquisire all’attivo o comunque di rinunciare a liquidare uno
o più beni, qualora ritenga l’attività di liquidazione manifestamente sconveniente,
dandone in tal caso comunicazione ai creditori, i quali possono così iniziare azioni
esecutive o cautelari individuali sui beni tornati nella disponibilità del debitore.
Dunque, a differenza di quanto previsto dalla precedente normativa, tuttora applicabile
alle procedure già in corso alla data del 16 gennaio 2006, l’art. 107, nuovo testo,
L. F., non contiene alcuna sostanziale distinzione tra la disciplina della vendita
dei beni mobili e quella dettata in riferimento ai beni immobili.
Infatti le vendite
e gli altri atti di liquidazione sono effettuati in modo indifferenziato dal curatore,
il quale, peraltro, assicura con adeguate forme di pubblicità la massima informazione
e partecipazione degli interessati.
Inoltre l’art. 105 L. F., come modificato, attribuisce
un carattere preferenziale alle vendite unitarie dell’azienda o di rami di essa
ovvero anche alla vendita in blocco di beni. La liquidazione di singoli beni è invece
disposta solo quando si ritenga prevedibile che la vendita in blocco non soddisferebbe
egualmente i creditori.
Rispetto alla precedente normativa, infine, al giudice delegato
residuano esclusivamente poteri marginali di controllo e di intervento nelle procedure
di vendita. Ad esempio, a norma del nuovo art. 108 L. F., il giudice delegato, su
istanza del fallito, del comitato dei creditori o di altri interessati, previo parere
dello stesso comitato dei creditori, può sospendere con decreto motivato le operazioni
di vendita qualora ricorrano gravi e giustificati motivi.
La ripartizione dell'attivo
Una volta liquidati i beni assoggettati alla procedura fallimentare, le somme ricavate
debbono essere ripartite tra i creditori, al fine di soddisfarne le ragioni. Le
ripartizioni si distinguono in parziali e finali. Le prime, secondo la disposizione
del nuovo art. 110 L. F., dovrebbero essere effettuate quadrimestralmente, salvo
diverso termine stabilito dal giudice, ogniqualvolta vi siano somme disponibili.
Di fatto, tuttavia, le ripartizioni parziali vengono concretamente eseguite solo
quando si possa compiere una distribuzione significativa tra i creditori.
Sul piano
di riparto deve essere quindi acquisito il parere del comitato dei creditori, senza
che alcun potere di modifica sia più riconosciuto al giudice delegato. Successivamente
il medesimo piano viene pertanto depositato in cancelleria e se ne dà avviso ai
creditori, i quali, entro il termine perentorio di quindici giorni dalla ricezione
della comunicazione, possono proporre reclamo contro il progetto di riparto. Decorso
invano tale termine, il giudice delegato, su istanza del curatore, dichiara esecutivo
il piano di ripartizione.
Il nuovo art. 115 L. F., peraltro, prevede che, se prima
della ripartizione i crediti ammessi al passivo sono stati ceduti a terzi, il curatore
attribuisce le quote di riparto ai soggetti cessionari, purchè la cessione sia stata
naturalmente comunicata con tempestività alla curatela, unitamente alla documentazione
che attesti l’intervenuta cessione: in tal caso il curatore procede alla rettifica
meramente formale dello stato passivo.
I piani di riparto sono dunque sottoposti
a registrazione presso l’ufficio del registro, con relativo pagamento di imposta,
da assolversi generalmente in misura fissa.
L’art. 111 L. F., nuova formulazione,
stabilisce quindi l’ordine secondo cui devono essere ripartite le somme ricavate
dalla liquidazione dell’attivo, indicando al primo posto i c.d. crediti prededucibili,
definiti dalla disposizione in esame come quei crediti così qualificati da una specifica
norma di legge ovvero quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali.
Tali crediti debbono essere soddisfatti con preferenza rispetto agli altri.
Peraltro
l’art. 111bis L.F., introdotto dalla recente riforma, esclude dalla necessità di
sottostare al piano di riparto quei crediti prededucibili sorti nel corso del fallimento
che risultino liquidi, esigibili e non contestati per collocazione ed ammontare,
i quali possono essere soddisfatti anche al di fuori del piano di riparto quando
si possa prevedere che l’attivo realizzato sia sufficiente a soddisfare tutti i
titolari di tali crediti.
L’art. 111ter L. F., poi, stabilisce che la massa attiva
della quale effettuare il riparto deve essere distinta in due parti: la c.d. massa
liquida attiva immobiliare, costituita dalle somme ricavate dalla liquidazione di
beni immobili e dei loro frutti e pertinenze, nonché dagli interessi attivi maturati
sui depositi delle relative somme, e la c.d. massa liquida attiva mobiliare, formata
da tutte le entrate di diversa natura. Una volta create le due masse, occorre ripartirle
in base ai rispettivi titoli di prelazione. A tale riguardo, l’art. 111 quater L.
F. stabilisce che i crediti assistiti da privilegio generale hanno diritto di prelazione
per il capitale, le spese e gli interessi sul prezzo ricavato dalla liquidazione
del patrimonio mobiliare, mentre i crediti garantiti da ipoteca e pegno e quelli
assistiti da privilegio speciale hanno diritto di essere con preferenza soddisfatti
sul prezzo ricavato dai beni vincolati alla loro garanzia.
Ancora, l’art. 113 L.
F., nella versione attuale, stabilisce che i piani di riparto parziali non possono
superare l’ottanta (non più il novanta) per cento delle somme di volta in volta
disponibili per la ripartizione, prevedendo altresì che debbano essere effettuati
degli accantonamenti di somme da depositarsi secondo le indicazioni del giudice
delegato per alcuni creditori particolari, quali i creditori ammessi con riserva
ovvero i creditori opponenti a favore dei quali siano state emesse misure cautelari
o la cui domanda sia stata accolta, ma con sentenza non ancora definitiva.
Al riparto
parziale partecipano, naturalmente, tutti i creditori ammessi al passivo fino a
quel momento, cosicché coloro che siano stati ammessi a seguito di insinuazione
tardiva, a norma del nuovo testo dell’art. 112 L. F., concorrono solo alle ripartizioni
successive alla loro ammissione, nei limiti delle disponibilità residue ed in proporzione
del rispettivo credito.
Ultimata la liquidazione e prima del riparto finale, il
curatore deve poi presentare il rendiconto della sua gestione; a tal fine il giudice
delegato fissa un’udienza di comparizione, a non prima di quindici giorni dalla
data del deposito della relazione in cancelleria, affinché ogni soggetto interessato
possa esprimere le proprie osservazioni. Dunque, approvato il rendiconto e liquidato
il compenso al curatore, il giudice delegato, conformemente all’ordine dei crediti
ammessi stabilito in forza dei suddetti criteri, ordina il riparto finale, distribuendo
anche gli accantonamenti disposti in precedenza in favore di crediti sottoposti
a condizione ovvero impugnati.
Da ultimo, si osserva che l’art. 117 L. F., nuova
formulazione, riconosce al giudice delegato il potere di disporre l’assegnazione
in favore di singoli creditori, sempre nel rispetto delle cause legittime di prelazione,
di crediti di imposta del fallito non ancora rimborsato, al posto delle somme agli
stessi spettanti. La medesima disposizione, inoltre, prevede che, nel caso di creditori
che non si presentino o siano irreperibili, una volta trascorsi cinque anni dal
deposito del riparto finale, il giudice, omessa ogni formalità non essenziale al
contraddittorio, su ricorso dei creditori rimasti insoddisfatti, dispone la distribuzione
delle somme non riscosse.