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Codice penale

Libro secondo
Dei delitti in particolare

Titoli VIII e XIII

Titolo VIII: DEI DELITTI CONTRO L'ECONOMIA PUBBLICA,

L'INDUSTRIA E IL COMMERCIO

Capo I: DEI DELITTI CONTRO L'ECONOMIA PUBBLICA

Art. 499

- Distruzione di materie prime o di prodotti agricoli o industriali ovvero di mezzi di produzione -

Chiunque, distruggendo materie prime o prodotti agricoli o industriali, ovvero mezzi di produzione, cagiona un grave nocumento alla produzione nazionale o far venir meno in misura notevole merci di comune o largo consumo, è punito con la reclusione da tre a dodici anni e con la multa non inferiore a lire quattro milioni.

 

Art. 500

- Diffusione di una malattia delle piante o degli animali -

Chiunque cagiona la diffusione di una malattia alle piante o agli animali, pericolosa all'economia rurale o forestale, ovvero al patrimonio zootecnico della nazione, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

Se la diffusione avviene per colpa, la pena è della multa da lire duecentomila a quattro milioni.

 

Art. 501

- Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio -

Chiunque, al fine di turbare il mercato interno dei valori o delle merci, pubblica o altrimenti divulga notizie false, esagerate o tendenziose o adopera altri artifici atti a cagionare un aumento o una diminuzione del prezzo delle merci, ovvero dei valori ammessi nelle liste di borsa o negoziabili nel pubblico mercato, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da uno a cinquanta milioni di lire.

Se l'aumento o la diminuzione del prezzo delle merci o dei valori si verifica, le pene sono aumentate.

Le pene sono raddoppiate:

1) se il fatto è commesso dal cittadino per favorire interessi stranieri;

2) se dal fatto deriva un deprezzamento della valuta nazionale o dei titoli dello Stato, ovvero il rincaro di merci di comune o largo consumo.

Le pene stabilite nelle disposizioni precedenti si applicano anche se il fatto è commesso all'estero, in danno della valuta nazionale o di titoli pubblici italiani.

La condanna importa l'interdizione dai pubblici uffici (1).

(1) Articolo così sostituito dalla L. 27 novembre 1976, n. 787.

 

Art. 501 bis

- Manovre speculative su merci -

Fuori dei casi previsti dall'articolo precedente, chiunque, nell'esercizio di qualsiasi attività produttiva o commerciale, compie manovre speculative ovvero occulta, accaparra od incetta materie prime, generi alimentari di largo consumo o prodotti di prima necessità, in modo atto a determinare la rarefazione o il rincaro sul mercato interno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da uno a cinquanta milioni di lire.

Alla stessa pena soggiace chiunque, in presenza di fenomeni di rarefazione o rincaro sul mercato interno delle merci indicate nella prima parte del presente articolo e nell'esercizio delle medesime attività, ne sottrae alla utilizzazione o al consumo rilevanti quantità.

L'autorità giudiziaria competente e, in caso di flagranza, anche gli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, procedono al sequestro delle merci, osservando le norme sull'istruzione formale. L'autorità giudiziaria competente dispone la vendita coattiva immediata delle merci stesse nelle forme di cui all'articolo 625 del codice di procedura penale.

La condanna importa l'interdizione dall'esercizio di attività commerciali o industriali per le quali sia richiesto uno speciale permesso o una speciale abilitazione, autorizzazione o licenza da parte dell'autorità e la pubblicazione della sentenza (1) .

(1)Articolo aggiunto dalla L. 27 novembre 1976, n. 787.

 

Art. 502

- Serrata e sciopero per fini contrattuali -

Il datore di lavoro che, col solo scopo di imporre ai suoi dipendenti modificazioni ai patti stabiliti, o di opporsi a modificazioni di tali patti, ovvero di ottenere o impedire una diversa applicazione dei patti o usi esistenti, sospende in tutto o in parte il lavoro nei suoi stabilimenti, aziende o uffici, è punito con la multa non inferiore a lire due milioni (1).

I lavoratori addetti a stabilimenti, aziende o uffici, che, in numero di tre o più, abbandonano collettivamente il lavoro, ovvero lo prestano in modo da turbarne la continuità o la regolarità, col solo scopo di imporre ai datori di lavoro patti diversi da quelli stabiliti, ovvero di opporsi a modificazioni di tali patti o, comunque, di ottenere o impedire una diversa applicazione dei patti o usi esistenti, sono puniti con la multa fino a lire duecentomila (1).

(1) Con sentenza n. 29 del 4 maggio 1960 la Corte cost. ha dichiarato l'illegittimità del primo e del secondo comma di questo articolo, in riferimento agli artt. 39 e 40 Cost.

 

Art. 503

- Serrata e sciopero per fini non contrattuali -

Il datore di lavoro o i lavoratori, che per fine politico commettono, rispettivamente, alcuno dei fatti preveduti dall'articolo precedente, sono puniti con la reclusione fino a un anno e con la multa non inferiore a lire due milioni, se si tratta di un datore di lavoro, ovvero con la reclusione fino a sei mesi e con la multa fino a lire duecentomila, se si tratta di lavoratori (1).

(1) Con sentenza n. 290 del 27 dicembre 1974 la Corte cost. ha dichiarato l'illegittimità di questo articolo nella parte in cui punisce anche lo sciopero politico che non sia diretto a sovvertire l'ordinamento costituzionale ovvero ad impedire o ostacolare il libero esercizio dei poteri legittimi nei quali si esprime la sovranità popolare.

 

Art. 504

- Coazione alla pubblica Autorità mediante serrata o sciopero -

Quando alcuno dei fatti preveduti dall'articolo 502 è commesso con lo scopo di costringere l'Autorità a dare o ad omettere un provvedimento, ovvero con lo scopo di influire sulle deliberazioni di essa, si applica la pena della reclusione fino a due anni (1).

(1) Con sentenza n. 165 del 13 giugno 1983 la Corte cost. ha dichiarato l'illegittimità di questo articolo nella parte in cui punisce lo sciopero il quale ha lo scopo di costringere l'autorità a dare o ad omettere un provvedimento o lo scopo di influire sulle deliberazioni di essa, a meno che non sia diretto a sovvertire l'ordinamento costituzionale ovvero ad impedire o ostacolare il libero esercizio dei poteri legittimi nei quali si esprime la sovranità popolare.

 

Art. 505

- Serrata o sciopero a scopo di solidarietà o di protesta -

Il datore di lavoro o i lavoratori, che, fuori dei casi indicati nei due articoli precedenti, commettono uno dei fatti preveduti dall'articolo 502 soltanto per solidarietà con altri datori di lavoro o con altri lavoratori ovvero soltanto per protesta, soggiacciono alle pene ivi stabilite.

 

Art. 506

- Serrata di esercenti di piccole industrie o commerci -

Gli esercenti di aziende industriali o commerciali, i quali, non avendo lavoratori alla loro dipendenza, in numero di tre o più sospendono collettivamente il lavoro per uno degli scopi indicati nei tre articoli precedenti, soggiacciono alle pene ivi rispettivamente stabilite per i datori di lavoro, ridotte alla metà (1).

(1) Con sentenza n. 222 del 17 luglio 1975 la Corte cost. ha dichiarato l'illegittimità di questo articolo in relazione all'art. 505, nella parte in cui punisce la sospensione del lavoro effettuata per protesta dagli esercenti di piccole aziende industriali o commerciali che non hanno lavoratori alla loro dipendenza.

 

Art. 507

- Boicottaggio -

Chiunque, per uno degli scopi indicati negli articoli 502, 503, 504 e 505, mediante propaganda o valendosi della forza e autorità di partiti, leghe o associazioni, induce una o più persone a non stipulare patti di lavoro o a non somministrare materie o strumenti necessari al lavoro, ovvero a non acquistare gli altrui prodotti agricoli o industriali, è punito con la reclusione fino a tre anni.

Se concorrono fatti di violenza o minaccia, si applica la reclusione da due a sei anni (1).

(1) Con sentenza n. 84 del 17 aprile 1969 la Corte cost. ha dichiarato l'illegittimità di questo articolo per la parte relativa all'ipotesi della propaganda qualora questa non assuma dimensioni tali nè raggiunga un grado tale di intensità e di efficacia da risultare veramente notevole.

 

Art. 508

- Arbitraria invasione e occupazione di aziende agricole o industriali. Sabotaggio -

Chiunque, col solo scopo di impedire o turbare il normale svolgimento del lavoro, invade od occupa l'altrui azienda agricola o industriale, ovvero dispone di altrui macchine, scorte, apparecchi o strumenti destinati alla produzione agricola o industriale, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa non inferiore a lire duecentomila.

Soggiace alla reclusione da sei mesi a quattro anni e alla multa non inferiore a lire un milione, qualora il fatto non costituisca un più grave reato, chi danneggia gli edifici adibiti ad azienda agricola o industriale, ovvero un'altra delle cose indicate nella disposizione precedente.

 

Art. 509

- Inosservanza delle norme disciplinanti i rapporti di lavoro - (1)

Il datore di lavoro o il lavoratore, il quale non adempie gli obblighi che gli derivano da un contratto collettivo o dalle norme emanate dagli organi corporativi, è punito con la sanzione amministrativa da lire duecentomila a lire un milione (2) .

Il datore di lavoro o il lavoratore, il quale rifiuta o, comunque, omette di eseguire una decisione del magistrato del lavoro, pronunciata su una controversia relativa alla disciplina dei rapporti collettivi di lavoro, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave reato, con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire due milioni (3) .

(1) Rubrica così modificata dall'art. 1, lett. a) , D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758 a decorrere dal 26 aprile 1995.

Testo della rubrica prima della modifica apportata dall'art. 1, lett. a), D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758

(Inosservanza delle norme disciplinanti i rapporti di lavoro e delle decisioni del magistrato del lavoro)

(2) Comma così modificato dall'art. 1, lett. b), D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758 a decorrere dal 26 aprile 1995.

Testo del comma 1 prima della modificata apportata dall'art. 1, lett. b), D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758

Il datore di lavoro o il lavoratore, il quale non adempie gli obblighi che gli derivano da un contratto collettivo o dalle norme emanate dagli organi corporativi, è punito con la multa fino a lire un milione.

(3) Comma abrogato dall'art. 1, lett. c), D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758 a decorrere dal 26 aprile 1995.

 

Art. 510

- Circostanze aggravanti -

Quando i fatti preveduti dagli articoli 502 e seguenti sono commessi in tempo di guerra, ovvero hanno determinato dimostrazioni, tumulti o sommosse popolari, le pene stabilite negli articoli stessi sono aumentate.

 

Art. 511

- Pena per i capi, promotori e organizzatori -

Le pene stabilite per i delitti preveduti dagli articoli 502 e seguenti sono raddoppiate per i capi, promotori od organizzatori; e, se sia stabilita dalla legge la sola pena pecuniaria, è aggiunta la reclusione da sei mesi a due anni.

 

Art. 512

- Pena accessoria -

La condanna per alcuno dei delitti preveduti dagli articoli 502 e seguenti importa l'interdizione da ogni ufficio sindacale per la durata di anni cinque.

 

Capo II: DEI DELITTI CONTRO L'INDUSTRIA E IL COMMERCIO

Art. 513

- Turbata libertà dell'industria o del commercio -

Chiunque adopera violenza sulle cose ovvero mezzi fraudolenti per impedire o turbare l'esercizio di un'industria o di un commercio è punito, a querela della persona offesa, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione fino a due anni e con la multa da lire duecentomila a due milioni.

 

Art. 513 bis

- Illecita concorrenza con minaccia o violenza -

Chiunque nell'esercizio di un'attività commerciale, industriale o comunque produttiva, compie atti di concorrenza con violenza o minaccia, è punito con la reclusione da due a sei anni.

La pena è aumentata se gli atti di concorrenza riguardano un'attività finanziata in tutto o in parte ed in qualsiasi modo dallo Stato o da altri enti pubblici (1).

(1)Articolo aggiunto dalla L. 13 settembre 1982, n. 646.

 

Art. 514

- Frodi contro le industrie nazionali -

Chiunque, ponendo in vendita o mettendo altrimenti in circolazione, sui mercati nazionali o esteri, prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi contraffatti o alterati, cagiona un nocumento all'industria nazionale, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore a lire un milione.

Se per i marchi o segni distintivi sono state osservate le norme delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà industriale, la pena è aumentata e non si applicano le disposizioni degli articoli 473 e 474.

 

Art. 515

- Frode nell'esercizio del commercio -

Chiunque, nell'esercizio di una attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all'acquirente una cosa mobile per un'altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a lire quattro milioni.

Se si tratta di oggetti preziosi, la pena è della reclusione fino a tre anni o della multa non inferiore a lire duecentomila.

 

Art. 516

- Vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine -

Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in commercio come genuine sostanze alimentari non genuine è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire due milioni.

 

Art. 517

- Vendita di prodotti industriali con segni mendaci -

Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell'ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull'origine, provenienza o qualità dell'opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire due milioni.

 

Capo III: DISPOSIZIONE COMUNE AI CAPI PRECEDENTI

Art. 518

- Pubblicazione della sentenza -

La condanna per alcuno dei delitti preveduti dagli artt. 501, 514, 515, 516 e 517 importa la pubblicazione della sentenza.

 

Titolo IX: DEI DELITTI CONTRO LA MORALITÀ PUBBLICA E IL BUON COSTUME

Capo I: DEI DELITTI CONTRO LA LIBERTÀ SESSUALE

Art. 519

- Della violenza carnale -

Chiunque, con violenza o minaccia, costringe taluno a congiunzione carnale è punito con la reclusione da tre a dieci anni.

Alla stessa pena soggiace chi si congiunge carnalmente con persona la quale al momento del fatto:

1) non ha compiuto gli anni quattordici;

2) non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole ne è l'ascendente o il tutore, ovvero è un'altra persona a cui il minore è affidato per ragioni di cura, di educazione, d'istruzione, di vigilanza o di custodia;

3) è malata di mente, ovvero non è in grado di resistergli a cagione delle proprie condizioni d'inferiorità psichica o fisica, anche se questa è indipendente dal fatto del colpevole;

4) è stata tratta in inganno, per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

Articolo abrogato dall’art. 1 della L. 15 febbraio 1996, n. 66

 

Art. 520

- Congiunzione carnale commessa con abuso della qualità di pubblico ufficiale -

Il pubblico ufficiale, che, fuori dei casi preveduti nell'articolo precedente, si congiunge carnalmente con una persona arrestata o detenuta, di cui ha la custodia per ragione del suo ufficio, ovvero con persona che è a lui affidata in esecuzione di un provvedimento dell'Autorità competente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

La stessa pena si applica se il fatto è commesso da un altro pubblico ufficiale, rivestito, per ragione del suo ufficio, di qualsiasi autorità sopra taluna delle persone suddette.

Articolo abrogato dall’art. 1 della L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

Art. 521

- Atti di libidine violenti -

Chiunque, usando dei mezzi o valendosi delle condizioni indicate nei due articoli precedenti, commette su taluno atti di libidine diversi dalla congiunzione carnale soggiace alle pene stabilite nei detti articoli, ridotte di un terzo.

Alle stesse pene soggiace chi, usando dei mezzi o valendosi delle condizioni indicate nei due articoli precedenti, costringe o induce taluno a commettere gli atti di libidine su se stesso, sulla persona del colpevole o su altri.

Articolo abrogato dall’art. 1 della L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

Art. 522

- Ratto a fine di matrimonio -

Chiunque, con violenza, minaccia o inganno, sottrae o ritiene, per fine di matrimonio, una donna non coniugata, è punito con la reclusione da uno a tre anni.

Se il fatto è commesso in danno di una persona dell'uno o dell'altro sesso, non coniugata, maggiore degli anni quattordici e minore degli anni diciotto, la pena è della reclusione da due a cinque anni.

Articolo abrogato dall’art. 1 della L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

Art. 523

- Ratto a fine di libidine -

Chiunque, con violenza, minaccia o inganno, sottrae o ritiene, per fine di libidine, un minore, ovvero una donna maggiore di età, è punito con la reclusione da tre a cinque anni.

La pena è aumentata se il fatto è commesso a danno di persona che non ha ancora compiuto gli anni diciotto ovvero di una donna coniugata.

Articolo abrogato dall’art. 1 della L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

Art. 524

- Ratto di persona minore degli anni quattordici o inferma, a fine di libidine o di matrimonio -

Le pene stabilite nei capoversi dei due articoli precedenti si applicano anche a chi commette il fatto ivi preveduto, senza violenza, minaccia o inganno, in danno di persona minore degli anni quattordici o malata di mente, o che non sia, comunque, in grado di resistergli, a cagione delle proprie condizioni d'infermità psichica o fisica, anche se questa è indipendente dal fatto del colpevole.

Articolo abrogato dall’art. 1 della L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

Art. 525

- Circostanze attenuanti -

Le pene stabilite nei tre articoli precedenti sono diminuite se il colpevole, prima della condanna, senza avere commesso alcun atto di libidine in danno della persona rapita, la restituisce spontaneamente in libertà, riconducendola alla casa donde la tolse o a quella della famiglia di lei, o collocandola in un altro luogo sicuro, a disposizione della famiglia stessa.

Articolo abrogato dall’art. 1 della L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

Art. 526

- Seduzione con promessa di matrimonio commessa da persona coniugata -

Chiunque, con promessa di matrimonio, seduce una donna minore di età, inducendola in errore sul proprio stato di persona coniugata, è punito con la reclusione da tre mesi a due anni.

Vi è seduzione quando vi è stata congiunzione carnale.

Articolo abrogato dall’art. 1 della L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

Capo II: DELLE OFFESE AL PUDORE E ALL'ONORE SESSUALE

Art. 527

- Atti osceni -

Chiunque, in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, compie atti osceni è punito con la reclusione da tre mesi a due anni.

Se il fatto avviene per colpa, la pena è della multa da lire sessantamila a seicentomila.

 

Art. 528

- Pubblicazioni e spettacoli osceni -

Chiunque, allo scopo di farne commercio o distribuzione ovvero di esporli pubblicamente, fabbrica, introduce nel territorio dello Stato, acquista, detiene, esporta, ovvero mette in circolazione scritti, disegni, immagini od altri atti osceni di qualsiasi specie, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa non inferiore a lire duecentomila.

Alla stessa pena soggiace chi fa commercio, anche se clandestino, degli oggetti indicati nella disposizione precedente, ovvero li distribuisce o espone pubblicamente.

Tale pena si applica inoltre a chi:

1) adopera qualsiasi mezzo di pubblicità atto a favorire la circolazione o il commercio degli oggetti indicati nella prima parte di questo articolo;

2) dà pubblici spettacoli teatrali o cinematografici, ovvero audizioni o recitazioni pubbliche, che abbiano carattere di oscenità.

Nel caso preveduto dal n. 2, la pena è aumentata se il fatto è commesso nonostante il divieto dell'Autorità.

 

Art. 529

- Atti e oggetti osceni: nozione -

Agli effetti della legge penale, si considerano "osceni" gli atti e gli oggetti, che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore.

Non si considera oscena l'opera d'arte o l'opera di scienza, salvo, che, per motivo diverso da quello di studio, sia offerta in vendita, venduta o comunque procurata a persona minore degli anni diciotto.

 

Art. 530

- Corruzione di minorenni -

Chiunque, fuori dei casi preveduti dagli articoli 519, 520 e 521, commette atti di libidine su persona o in presenza di persona minore degli anni sedici, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Alla stessa pena soggiace chi induce persona minore degli anni sedici a commettere atti di libidine su se stesso, sulla persona del colpevole, o su altri.

La punibilità è esclusa se il minore è persona già moralmente corrotta.

Articolo abrogato dall’art. 1 della L. 15 febbraio 1996, n. 66

 

Art. 531

Abrogato dalla L. 20 febbraio 1958, n. 75, che ne ha sostituito le disposizioni.

 

Art. 532

Abrogato dalla L. 20 febbraio 1958, n. 75, che ne ha sostituito le disposizioni.

 

Art. 533

Abrogato dalla L. 20 febbraio 1958, n. 75, che ne ha sostituito le disposizioni.

 

Art. 534

Abrogato dalla L. 20 febbraio 1958, n. 75, che ne ha sostituito le disposizioni.

 

Art. 535

Abrogato dalla L. 20 febbraio 1958, n. 75, che ne ha sostituito le disposizioni.

 

Art. 536

Abrogato dalla L. 20 febbraio 1958, n. 75, che ne ha sostituito le disposizioni.

 

Art. 537

- Tratta di donne e di minori commessa all'estero -

I delitti preveduti dai due articoli precedenti sono punibili anche se commessi da un cittadino in territorio estero (1).

(1) In quanto le convenzioni internazionali lo prevedano (art. 3, L. 20 febbraio 1958, n. 75).

 

Art. 538

- Misure di sicurezza -

Alla condanna per il delitto preveduto dall'articolo 531 può essere aggiunta una misura di sicurezza detentiva. La misura di sicurezza detentiva è sempre aggiunta nei casi preveduti dagli articoli 532, 533, 534, 535 e 536.

 

Capo III: DISPOSIZIONI COMUNI AI CAPI PRECEDENTI

Art. 539

- Età della persona offesa -

Quando i delitti preveduti in questo titolo sono commessi in danno di un minore degli anni quattordici, il colpevole non può invocare a propria scusa l'ignoranza dell'età dell'offeso.

Articolo abrogato dall’art. 1 della L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

Art. 540

- Rapporto di parentela -

Agli effetti della legge penale, quando il rapporto di parentela è considerato come elemento costitutivo o come circostanza aggravante o attenuante o come causa di non punibilità, la filiazione illegittima è equiparata alla filiazione legittima.

Il rapporto di filiazione illegittima è stabilito osservando i limiti di prova indicati dalla legge civile, anche se per effetti diversi dall'accertamento dello stato delle persone.

 

Art. 541

- Pene accessorie ed altri effetti penali -

La condanna per alcuno dei delitti preveduti in questo titolo importa la perdita della potestà dei genitori o della autorità maritale o l'interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela e alla cura, quando la qualità di genitore, di marito, di tutore o di curatore è elemento costitutivo o circostanza aggravante.

La condanna per alcuno dei delitti preveduti dagli articoli 519, 521, 530, 531, 532, 533, 534, 535, 536 e 537 importa la perdita del diritto agli alimenti e dei diritti successori verso la persona offesa.

Articolo abrogato dall’art. 1 della L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

Art. 542

- Querela dell'offeso -

I delitti preveduti dal capo primo e dall'articolo 530 sono punibili a querela della persona offesa.

La querela proposta è irrevocabile.

Si procede tuttavia d'ufficio:

1) se il fatto è commesso dal genitore o dal tutore, ovvero da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio;

2) se il fatto è connesso con un altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio.

Articolo abrogato dall’art. 1 della L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

Art. 543

- Diritto di querela -

Quando la persona offesa muore prima che la querela sia proposta da lei o da coloro che ne hanno la rappresentanza a norma degli articoli 120 e 121, il diritto di querela spetta ai genitori e al coniuge.

Tale disposizione non si applica se la persona offesa ha rinunciato, espressamente o tacitamente, al diritto di querelarsi.

Articolo abrogato dall’art. 1 della L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

Art. 544

Abrogato dalla L. 5 agosto 1981, n. 442.

 

Titolo X: DEI DELITTI CONTRO LA INTEGRITÀ E LA SANITÀ DELLA STIRPE

Art. 545

Abrogato dalla L. 22 maggio 1978, n. 194.

 

Art. 546

Abrogato dalla L. 22 maggio 1978, n. 194.

 

Art. 547

Abrogato dalla L. 22 maggio 1978, n. 194.

 

Art. 548

Abrogato dalla L. 22 maggio 1978, n. 194.

 

Art. 549

Abrogato dalla L. 22 maggio 1978, n. 194.

 

Art. 550

Abrogato dalla L. 22 maggio 1978, n. 194.

 

Art. 551

Abrogato dalla L. 22 maggio 1978, n. 194.

 

Art. 552

Abrogato dalla L. 22 maggio 1978, n. 194.

 

Art. 553

Abrogato dalla L. 22 maggio 1978, n. 194.

 

Art. 554

Abrogato dalla L. 22 maggio 1978, n. 194.

 

Art. 555

Abrogato dalla L. 22 maggio 1978, n. 194.

 

Titolo XI: DEI DELITTI CONTRO LA FAMIGLIA

Capo I: DEI DELITTI CONTRO IL MATRIMONIO

Art. 556

- Bigamia -

Chiunque, essendo legato da matrimonio avente effetti civili, ne contrae un altro, pur avente effetti civili, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Alla stessa pena soggiace chi, non essendo coniugato, contrae matrimonio con persona legata da matrimonio avente effetti civili.

La pena è aumentata se il colpevole ha indotto in errore la persona, con la quale ha contratto matrimonio, sulla libertà dello stato proprio o di lei.

Se il matrimonio, contratto precedentemente dal bigamo, è dichiarato nullo, ovvero è annullato il secondo matrimonio per causa diversa dalla bigamia, il reato è estinto, anche rispetto a coloro che sono concorsi nel reato, e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali.

 

Art. 557

- Prescrizione del reato -

Il termine della prescrizione per il delitto preveduto dall'articolo precedente decorre dal giorno in cui è sciolto uno dei due matrimoni o è dichiarato nullo il secondo per bigamia.

 

Art. 558

- Induzione al matrimonio mediante inganno -

Chiunque, nel contrarre matrimonio avente effetti civili, con mezzi fraudolenti occulta all'altro coniuge l'esistenza di un impedimento che non sia quello derivante da un precedente matrimonio è punito, se il matrimonio è annullato a causa dell'impedimento occultato, con la reclusione fino a un anno ovvero con la multa da lire quattrocentomila a due milioni.

 

Art. 559

- Adulterio -

La moglie adultera è punita con la reclusione fino a un anno (1).

Con la stessa pena è punito il correo dell'adultera (1).

La pena è della reclusione fino a due anni nel caso di relazione adulterina (2).

Il delitto è punibile a querela del marito (2).

(1) Con sentenza n. 126 del 19 dicembre 1968 la Corte cost. ha dichiarato l'illegittimità del primo e del secondo comma.

(2) Con sentenza n. 147 del 3 dicembre 1969 la Corte cost. ha dichiarato l'illegittimità del terzo e del quarto comma.

 

Art. 560

- Concubinato -

Il marito che tiene una concubina nella casa coniugale, o notoriamente altrove, è punito con la reclusione fino a due anni.

La concubina è punita con la stessa pena.

Il delitto è punibile a querela della moglie (1).

(1) Con sentenza n. 147 del 3 dicembre 1969 la Corte cost. ha dichiarato l'illegittimità di questo articolo.

 

Art. 561

- Casi di non punibilità. Circostanza attenuante -

Nel caso preveduto dall'articolo 559, non è punibile la moglie quando il marito l'abbia indotta o eccitata alla prostituzione ovvero abbia comunque tratto vantaggio dalla prostituzione di lei.

Nei casi preveduti dai due articoli precedenti non è punibile il coniuge legalmente separato per colpa dell'altro coniuge, ovvero da questo ingiustamente abbandonato.

Se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato per colpa propria o per colpa propria e dell'altro coniuge o per mutuo consenso, la pena è diminuita (1).

(1) Con sentenza n. 147 del 3 dicembre 1969 la Corte cost. ha dichiarato l'illegittimità di questo articolo.

 

Art. 562

- Pena accessoria e sanzione civile -

La condanna per alcuno dei delitti preveduti dagli articoli 556 e 560 importa la perdita dell'autorità maritale (1).

Con la sentenza di condanna per adulterio o per concubinato il giudice può, sull'istanza del coniuge offeso, ordinare i provvedimenti temporanei di indole civile, che ritenga urgenti nell'interesse del coniuge offeso e della prole (2).

Tali provvedimenti sono immediatamente eseguibili, ma cessano di aver effetto se, entro tre mesi dalla sentenza di condanna, divenuta irrevocabile, non è presentata dinanzi al giudice civile domanda di separazione personale (2).

(1) Con sentenza n. 147 del 3 dicembre 1969 la Corte cost. ha dichiarato l'illegittimità del primo comma nella parte relativa alla perdita dell'autorità maritale per effetto della condanna per il delitto di concubinato.

(2) Con la sentenza di cui alla nota precedente la Corte cost. ha dichiarato l'illegittimità del secondo e del terzo comma.

 

Art. 563

- Estinzione del reato -

Nei casi preveduti dagli articoli 559 e 560 la remissione della querela, anche se intervenuta dopo la condanna, estingue il reato.

Estinguono altresì il reato:

1) la morte del coniuge offeso;

2) l'annullamento del matrimonio del colpevole adulterino o di concubinato.

L'estinzione del reato ha effetto anche riguardo al correo e alla concubina e ad ogni persona che sia concorsa nel reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali (1).

(1) Con sentenza n. 147 del 3 dicembre 1969 la Corte cost. ha dichiarato l'illegittimità di questo articolo.

 

Capo II: DEI DELITTI CONTRO LA MORALE FAMILIARE

Art. 564

- Incesto -

Chiunque, in modo che ne derivi pubblico scandalo, commette incesto con un discendente o un ascendente, o con un affine in linea retta, ovvero con una sorella o un fratello, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

La pena è della reclusione da due a otto anni nel caso di relazione incestuosa.

Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, se l'incesto è commesso da persona maggiore di età, con persona minore degli anni diciotto, la pena è aumentata per la persona maggiorenne.

La condanna pronunciata contro il genitore importa la perdita della potestà dei genitori o della tutela legale.

 

Art. 565

- Attentati alla morale familiare commessi col mezzo della stampa periodica -

Chiunque nella cronaca dei giornali o di altri scritti periodici, nei disegni che ad essa si riferiscono, ovvero nelle inserzioni fatte a scopo di pubblicità sugli stessi giornali o scritti, espone o mette in rilievo circostanze tali da offendere la morale familiare, è punito con la multa da lire duecentomila a un milione.

 

Capo III: DEI DELITTI CONTRO LO STATO DI FAMIGLIA

Art. 566

- Supposizione o soppressione di stato -

Chiunque fa figurare nei registri dello stato civile una nascita inesistente è punito con la reclusione da tre a dieci anni.

Alla stessa pena soggiace chi, mediante l'occultamento di un neonato, ne sopprime lo stato civile.

 

Art. 567

- Alterazione di stato -

Chiunque, mediante la sostituzione di un neonato, ne altera lo stato civile è punito con la reclusione da tre a dieci anni.

Si applica la reclusione da cinque a quindici anni a chiunque, nella formazione di un atto di nascita, altera lo stato civile di un neonato, mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsità.

 

Art. 568

- Occultamento di stato di un fanciullo legittimo o naturale riconosciuto -

Chiunque depone o presenta un fanciullo, già iscritto nei registri dello stato civile come figlio legittimo o naturale riconosciuto, in un ospizio di trovatelli o in altro luogo di beneficenza, occultandone lo stato, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

 

Art. 569

- Pena accessoria -

La condanna pronunciata contro il genitore per alcuno dei delitti preveduti da questo capo importa la perdita della potestà dei genitori o della tutela legale.

 

Capo IV: DEI DELITTI CONTRO L'ASSISTENZA FAMILIARE

Art. 570

- Violazione degli obblighi di assistenza familiare -

Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all'ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà dei genitori, alla tutela legale, o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire duecentomila a due milioni.

Le dette pene si applicano congiuntamente a chi:

1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge;

2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo nei casi previsti dal numero 1 e, quando il reato è commesso nei confronti dei minori, dal numero 2 del precedente comma (1) .

Le disposizioni di questo articolo non si applicano se il fatto è preveduto come più grave reato da un'altra disposizione di legge.

(1) Comma aggiunto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

Art. 571

- Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina -

Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi.

Se dal fatto deriva una lesione personale, si applicano le pene stabilite negli articoli 582 e 583, ridotte a un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni.

 

Art. 572

- Maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli -

Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a venti anni.

 

Art. 573

- Sottrazione consensuale di minorenni -

Chiunque sottrae un minore, che abbia compiuto gli anni quattordici, col consenso di esso, al genitore esercente la potestà dei genitori, o al tutore, ovvero lo ritiene contro la volontà del medesimo genitore o tutore, è punito, a querela di questo, con la reclusione fino a due anni.

La pena è diminuita, se il fatto è commesso per fine di matrimonio; è aumentata, se è commesso per fine di libidine.

Si applicano le disposizioni degli artt. 525 e 544.

 

Art. 574

- Sottrazione di persone incapaci -

Chiunque sottrae un minore degli anni quattordici, o un infermo di mente, al genitore esercente la patria potestà, al tutore, o al curatore, o chi ne abbia la vigilanza o la custodia, ovvero lo ritiene contro la volontà dei medesimi, è punito, a querela del genitore esercente la potestà dei genitori, del tutore o curatore, con la reclusione da uno a tre anni.

Alla stessa pena soggiace, a querela delle stesse persone, chi sottrae o ritiene un minore che abbia compiuto gli anni quattordici, senza il consenso di esso, per fine diverso da quello di libidine o di matrimonio.

Si applicano le disposizioni degli artt. 525 e 544.

 

Titolo XII: DEI DELITTI CONTRO LA PERSONA

Capo I: DEI DELITTI CONTRO LA VITA E L'INCOLUMITÀ INDIVIDUALE

Art. 575

- Omicidio -

Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno.

 

Art. 576

- Circostanza aggravanti. Pena di morte -

. Si applica la pena di morte (1) se il fatto preveduto dall'articolo precedente è commesso:

1) col concorso di taluna delle circostanze indicate nel n. 2 dell'articolo 61;

2) contro l'ascendente o il discendente, quando occorre taluna delle circostanze indicate nei numeri 1 e 4 dell'articolo 61 o quando è adoperato un mezzo venefico o un altro mezzo insidioso ovvero quando vi è premeditazione;

3) dal latitante, per sottrarsi all'arresto, alla cattura o alla carcerazione ovvero per procurarsi i mezzi di sussistenza durante la latitanza;

4) dall'associato per delinquere, per sottrarsi all'arresto, alla cattura o alla carcerazione;

5) nell'atto di commettere taluno dei delitti preveduti dagli articoli 519, 520 e 521.

È latitante, agli effetti della legge penale, chi si trova nelle condizioni indicate nel n. 6 dell'articolo 61.

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l'ergastolo.

 

Art. 577

- Altre circostanze aggravanti. Ergastolo -

Si applica la pena dell'ergastolo se il fatto preveduto dall'articolo 575 è commesso:

1) contro l'ascendente o il discendente;

2) col mezzo di sostanze venefiche, ovvero con un altro mezzo insidioso;

3) con premeditazione;

4) con concorso di talune delle circostanze indicate nei numeri 1 e 4 dell'articolo 61.

La pena è della reclusione da ventiquattro a trenta anni, se il fatto è commesso contro il coniuge, il fratello o la sorella, il padre o la madre adottivi, o il figlio adottivo o contro un affine in linea retta.

 

Art. 578

- Infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale -

La madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto, è punita con la reclusione da quattro a dodici anni.

A coloro che concorrono nel fatto di cui al primo comma si applica la reclusione non inferiore ad anni ventuno. Tuttavia, se essi hanno agito al solo scopo di favorire la madre, la pena può essere diminuita da un terzo a due terzi.

Non si applicano le aggravanti stabilite dall'articolo 61 del codice penale (1).

(1)Articolo così sostituito dalla L. 5 agosto 1981, n. 442.

 

Art. 579

- Omicidio del consenziente -

Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui è punito con la reclusione da sei a quindici anni.

Non si applicano le aggravanti indicate nell'articolo 61.

Si applicano le disposizioni relative all'omicidio se il fatto è commesso:

1) contro una persona minore degli anni diciotto;

2) contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizione di deficienza psichica, per un'altra infermità o per l'abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti;

3) contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno.

 

Art. 580

- Istigazione o aiuto al suicidio -

Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima.

Le pene sono aumentate se la persona istigata o eccitata si trova in una delle condizioni indicate nei numeri 1 e 2 dell'articolo precedente. Nondimeno, se la persona suddetta è minore degli anni quattordici o comunque è priva della capacità d'intendere o di volere, si applicano le disposizioni relative all'omicidio.

 

Art. 581

- Percosse -

Chiunque percuote taluno, se dal fatto non deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire seicentomila.

Tale disposizione non si applica quando la legge considera la violenza come elemento costitutivo o come circostanza aggravante di un altro reato.

 

Art. 582

- Lesione personale -

Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni.

Se la malattia ha una durata non superiore ai venti giorni e non concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste negli artt. 583 e 585, ad eccezione di quelle indicate nel n. 1 e nell'ultima parte dell'articolo 577, il delitto è punibile a querela della persona offesa (1).

(1)Articolo così modificato dalla L. 26 gennaio 1963, n. 24. Il secondo comma è stato successivamente così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

Art. 583

- Circostanze aggravanti -

La lesione personale è grave, e si applica la reclusione da tre a sette anni:

1) se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa, ovvero una malattia o un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni;

2) se il fatto produce l'indebolimento permanente di un senso o di un organo;

3) se la persona offesa è una donna incinta e dal fatto deriva l'acceleramento del parto (1).

La lesione personale è gravissima, e si applica la reclusione da sei a dodici anni, se dal fatto deriva:

1) una malattia certamente o probabilmente insanabile;

2) la perdita di un senso;

3) la perdita di un arto, o una mutilazione che renda l'arto inservibile, ovvero la perdita dell'uso di un organo o della capacità di procreare, ovvero una permanente e grave difficoltà della favella;

4) la deformazione, ovvero lo sfregio permanente del viso;

5) l'aborto della persona offesa (1).

(1) Numero abrogato dalla L. 22 maggio 1978, n. 124.

 

Art. 584

- Omicidio preterintenzionale -

Chiunque, con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli articoli 581 e 582, cagiona la morte di un uomo, è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni.

 

Art. 585

- Circostanze aggravanti -

Nei casi preveduti dagli artt. 582, 583 e 584, la pena è aumentata da un terzo alla metà, se concorre alcuna delle circostanze aggravanti prevedute dall'articolo 576; ed è aumentata fino a un terzo, se concorre alcuna delle circostanze aggravanti prevedute dall'articolo 577, ovvero se il fatto è commesso con armi o con sostanze corrosive.

Agli effetti della legge penale, per "armi" s'intendono:

1) quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l'offesa alla persona;

2) tutti gli strumenti atti ad offendere, dei quali è dalla legge vietato il porto in modo assoluto, ovvero senza giustificato motivo.

Sono assimilate alle armi le materie esplodenti e i gas asfissianti o accecanti.

 

Art. 586

- Morti o lesioni come conseguenza di altro delitto -

Quando da un fatto preveduto come delitto doloso deriva, quale conseguenza non voluta dal colpevole, la morte o la lesione di una persona, si applicano le disposizioni dell'articolo 83, ma le pene stabilite negli articoli 589 e 590 sono aumentate.

 

Art. 587

Abrogato dalla L. 5 agosto 1981, n. 442.

 

Art. 588

- Rissa -

Chiunque partecipa a una rissa è punito con la multa fino a lire seicentomila.

Se nella rissa taluno rimane ucciso, o riporta lesione personale, la pena, per il solo fatto della partecipazione alla rissa, è della reclusione da tre mesi a cinque anni. La stessa pena si applica se l'uccisione, o la lesione personale, avviene immediatamente dopo la rissa e in conseguenza di essa.

 

Art. 589

- Omicidio colposo -

Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da uno a cinque anni.

Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni dodici (1).

(1) Articolo così modificato dalla L. 11 maggio 1966, n. 296.

 

Art. 590

- Lesioni personali colpose -

Chiunque cagiona ad altri, per colpa, una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a lire seicentomila.

Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da lire duecentoquarantamila a un milione duecentomila; se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da lire seicentomila a due milioni quattrocentomila.

Se i fatti di cui al precedente capoverso sono commessi con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, la pena per le lesioni gravi è della reclusione da due a sei mesi o della multa da lire quattrocentottantamila a un milione duecentomila; e la pena per lesioni gravissime è della reclusione da sei mesi a due anni o della multa da lire un milione duecentomila a due milioni quattrocentomila (1).

Nel caso di lesioni di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse, aumentata fino al triplo; ma la pena della reclusione non può superare gli anni cinque.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti nel primo e secondo capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale (2).

(1) Comma aggiunto dalla L. 11 maggio 1966, n. 296.

(2) Comma così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

Art. 591

- Abbandono di persone minori o incapaci -

Chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere la cura, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

Alla stessa pena soggiace chi abbandona all'estero un cittadino italiano minore degli anni diciotto, a lui affidato nel territorio dello Stato per ragioni di lavoro.

La pena è della reclusione da uno a sei anni se dal fatto deriva una lesione personale, ed è da tre a otto anni se ne deriva la morte.

Le pene sono aumentate se il fatto è commesso dal genitore, dal figlio, dal tutore o dal coniuge, ovvero dall'adottante o dall'adottato.

 

Art. 592

Abrogato dalla L. 5 agosto 1981, n. 442.

 

Art. 593

- Omissione di soccorso -

Chiunque, trovando abbandonato o smarrito un fanciullo minore degli anni dieci, o un'altra persona incapace di provvedere a se stessa, per malattia di mente e di corpo, per vecchiaia o per altra causa, omette di darne immediato avviso all'Autorità, è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a lire seicentomila.

Alla stessa pena soggiace chi, trovando un corpo umano che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo, omette di prestare l'assistenza occorrente o di darne immediato avviso all'Autorità.

Se da siffatta condotta del colpevole deriva una lesione personale, la pena è aumentata; se ne deriva la morte, la pena è raddoppiata.

 

Capo II: DEI DELITTI CONTRO L'ONORE

Art. 594

- Ingiuria -

Chiunque offende l'onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire un milione.

Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.

La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a lire due milioni, se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato.

Le pene sono aumentate qualora l'offesa sia commessa in presenza di più persone.

 

Art. 595

- Diffamazione -

Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire due milioni.

Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a lire quattro milioni.

Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a lire un milione.

Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.

 

Art. 596

- Esclusione della prova liberatoria -

Il colpevole dei delitti preveduti dai due articoli precedenti non è ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa.

Tuttavia, quando l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la persona offesa e l'offensore possono, d'accordo prima che sia pronunciata sentenza irrevocabile, deferire ad un giurì d'onore il giudizio sulla verità del fatto medesimo.

Quando l'offesa consiste nella attribuzione di un fatto determinato, la prova della verità del fatto medesimo è però sempre ammessa nel procedimento penale:

1) se la persona offesa è un pubblico ufficiale ed il fatto ad esso attribuito si riferisce all'esercizio delle sue funzioni;

2) se per il fatto attribuito alla persona offesa è tuttora aperto o si inizia contro di essa un procedimento penale;

3) se il querelante domanda formalmente che il giudizio si estenda ad accertare la verità o la falsità del fatto ad esso attribuito.

Se la verità del fatto è provata o se per esso la persona, a cui il fatto è attribuito è, per esso condannata dopo l'attribuzione del fatto medesimo, l'autore della imputazione non è punibile, salvo che i modi usati non rendano per sè stessi applicabili le disposizioni dell'articolo 594, comma primo, ovvero dell'articolo 595 comma primo (1).

(1) Articolo così modificato dal D.Lgs.Lgt. 14 novembre 1944, n. 288.

 

Art. 596 bis

- Diffamazione col mezzo della stampa -

Se il delitto di diffamazione è commesso col mezzo della stampa le disposizioni dell'articolo precedente si applicano anche al direttore o vice-direttore responsabile, all'editore e allo stampatore, per i reati preveduti negli articoli 57, 57 bis e 58 (1).

(1) Articolo aggiunto dalla L. 4 marzo 1958, n. 595.

 

Art. 597

- Querela della persona offesa ed estinzione del reato -

I delitti preveduti dagli articoli 594 e 595 sono punibili a querela della persona offesa.

Se la persona offesa e l'offensore hanno esercitato la facoltà indicata nel capoverso dell'articolo precedente, la querela si considera tacitamente rinunciata o rimessa.

Se la persona offesa muore prima che sia decorso il termine per proporre la querela, o se si tratta di offesa alla memoria del defunto, possono proporre querela i prossimi congiunti, l'adottante e l'adottato. In tali casi, e altresì in quello in cui la persona offesa muoia dopo aver proposta la querela, la facoltà indicata nel capoverso dell'articolo precedente, spetta ai prossimi congiunti, all'adottante e all'adottato.

 

Art. 598

- Offese in scritti e discorsi pronunciati dinnanzi alle Autorità giudiziarie o amministrative -

Non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinnanzi all'Autorità giudiziaria, ovvero dinnanzi a un'autorità amministrativa, quando le offese concernono l'oggetto della causa o del ricorso amministrativo.

Il giudice, pronunciando nella causa, può, oltre ai provvedimenti disciplinari, ordinare la soppressione o la cancellazione, in tutto o in parte, delle scritture offensive, e assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale. Qualora si tratti di scritture per le quali la soppressione o cancellazione non possa eseguirsi, è fatta sulle medesime annotazione della sentenza.

 

Art. 599

- Ritorsione e provocazione -

Nei casi preveduti dall'articolo 594, se le offese sono reciproche, il giudice può dichiarare non punibili uno o entrambi gli offensori.

Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 594 e 595 nello stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso.

La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche all'offensore che non abbia proposto querela per le offese ricevute.

 

Capo III: DEI DELITTI CONTRO LA LIBERTÀ INDIVIDUALE

Sezione I: DEI DELITTI CONTRO LA PERSONALITÀ INDIVIDUALE

Art. 600

- Riduzione in schiavitù -

Chiunque riduce una persona in schiavitù, o in una condizione analoga alla schiavitù, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni.

 

Art. 601

- Tratta e commercio di schiavi -

Chiunque commette tratta o comunque fa commercio di schiavi o di persone in condizione analoga alla schiavitù è punito con la reclusione da cinque a venti anni.

 

Art. 602

- Alienazione e acquisto di schiavi -

Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, aliena o cede una persona che si trova in stato di schiavitù o in una condizione analoga alla schiavitù, o se ne impossessa o ne fa acquisto o la mantiene nello stato di schiavitù, o nella condizione predetta, è punito con la reclusione da tre a dodici anni.

 

Art. 603

- Plagio -

Chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni (1).

(1) Con sentenza n. 96 del 9 aprile 1981 la Corte cost. ha dichiarato l'illegittimità di questo articolo.

 

Art. 604

- Fatto commesso all'estero in danno di cittadino italiano -

Le disposizioni di questa sezione si applicano altresì, quando il fatto è commesso all'estero in danno di cittadino italiano.

 

Sezione II: DEI DELITTI CONTRO LA LIBERTÀ PERSONALE

Art. 605

- Sequestro di persona -

Chiunque priva taluno della libertà personale è punito con la reclusione da sei mesi a otto anni.

La pena è della reclusione da uno a dieci anni, se il fatto è commesso:

1) in danno di un ascendente, di un discendente o del coniuge;

2) da un pubblico ufficiale con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni.

 

Art. 606

- Arresto illegale -

Il pubblico ufficiale che procede ad un arresto, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, è punito con la reclusione fino a tre anni.

 

Art. 607

- Indebita limitazione di libertà personale -

Il pubblico ufficiale, che, essendo preposto o addetto a un carcere giudiziario o ad uno stabilimento destinato all'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza, vi riceve taluno senza un ordine dell'Autorità competente, o non obbedisce all'ordine di liberazione dato da questa Autorità, ovvero indebitamente protrae l'esecuzione della pena o della misura di sicurezza, è punito con la reclusione fino a tre anni.

 

Art. 608

- Abuso di autorità contro arrestati o detenuti -

Il pubblico ufficiale, che sottopone a misure di rigore non consentite dalla legge una persona arrestata o detenuta di cui egli abbia la custodia, anche temporanea o che sia a lui affidata in esecuzione di un provvedimento dell'Autorità competente, è punito con la reclusione fino a trenta mesi.

La stessa pena si applica se il fatto è commesso da un altro pubblico ufficiale, rivestito, per ragione del suo ufficio, di una qualsiasi autorità sulla persona custodita.

 

Art. 609

- Perquisizione e ispezione personali arbitrarie -

Il pubblico ufficiale, che, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, esegue una perquisizione o un'ispezione personale, è punito con la reclusione fino ad un anno.

 

Art. 609 bis

- Violenza sessuale -

Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.

Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:

1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento dei fatto;

2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.

Articolo aggiunto dell’art. 3, L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

Art. 609 ter

- Circostanze aggravanti -

La pena è della reclusione da sei a dodici anni se i fatti di cui all’articolo 609-bis sono commessi:

1) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni quattordici;

2) con l’uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa;

3) da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio;

4) su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale;

5) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni sedici della quale il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore.

La pena è della reclusione da sette a quattordici anni se il fatto è commesso nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni dieci.

Articolo aggiunto dall’art. 4, L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

Art. 609 quater

- Atti sessuali con minorenne -

Soggiace alla pena stabilita dall’articolo 609-bis chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che al momento del fatto:

1) non ha compiuto gli anni quattordici;

2) non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza.

Non è punibile il minorenne che, al di fuori delle ipotesi previste nell’articolo 609-bis, compie atti sessuali con un minorenne che abbia compiuto gli anni tredici, se la differenza di età tra i soggetti non è superiore a tre anni.

Nei casi di minore gravità le pena è diminuita fino a due terzi.

Si applica la pena di cui all’articolo 609-ter, secondo comma, se la persona offesa non ha compiuto gli anni dieci.

Articolo aggiunto dall’art. 5, L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

Art. 609 quinquies

- Corruzione di minorenne -

Chiunque compie atti sessuali in presenza di persona minore di anni quattordici, al fine di farla assistere, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Articolo aggiunto dall’art. 6, L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

Art. 609 sexies

- Ignoranza dell’età della persona -

Quando i delitti previsti negli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quater e 609-octies sono commessi in danno di persona minore di anni quattordici, nonchè nel caso del delitto di cui all’articolo 609-quinquies, il colpevole non può invocare, a propria scusa, l’ignoranza dell’età della persona offesa.

Articolo aggiunto dall’art. 7, L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

Art. 609-septies

- Querela di parte -

I delitti previsti dagli articoli 609-bis, 609-ter e 609-quater sono punibili a querela della persona offesa.

Salvo quanto previsto dall’articolo 597, terzo comma, il termine per la proposizione della querela è di sei mesi.

La querela proposta è irrevocabile.

Si procede tuttavia d’ufficio:

1) se il fatto di cui all’articolo 609-bis è commesso nei confronti di persona che al momento del fatto non ha compiuto gli anni quattordici;

2) se il fatto è commesso dal genitore, anche adottivo, o dal di lui convivente, dal tutore, ovvero da altra persona cui il minore è affidato per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia;

3) se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nell’esercizio delle proprie funzioni;

4) se il fatto è connesso con un altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio;

5) se il fatto è commesso nell’ipotesi di cui all’articolo 609-quater, ultimo comma.

Articolo aggiunto dall’art. 8, L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

Art. 609 octies

- Violenza sessuale di gruppo -

La violenza sessuale di gruppo consiste nella partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all’articolo 609-bis.

Chiunque commette atti di violenza sessuale di gruppo è punito con la reclusione da sei a dodici anni.

La pena è aumentata se concorre taluna delle circostanze aggravanti previste dall’articolo 609-ter.

La pena è diminuita per il partecipante la cui opera abbia avuto minima importanza nella preparazione o nella esecuzione del reato. La pena è altresì diminuita per chi sia stato determinato a commettere il reato quando concorrono le condizioni stabilite dai numeri 3) e 4) del primo comma e dal terzo comma dell’articolo 112.

Articolo aggiunto dall’art. 9, L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

Art. 609 nonies

- Pene accessorie ed altri effetti penali -

La condanna per alcuno dei delitti previsti dagli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies comporta:

1) la perdita della potestà del genitore, quando la qualità di genitore è elemento costitutivo del reato;

2) l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela ed alla curatela;

3) la perdita del diritto agli alimenti e l’esclusione dalla successione della persona offesa.

Articolo aggiunto dall’art. 10, L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

Art. 609-decies

- Comunicazione al tribunale per i minorenni -

Quando si procede per alcuno dei delitti previsti dagli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quinquies e 609-octies commessi in danno di minorenni, ovvero per il delitto previsto dall’articolo 609-quater, il procuratore della Repubblica ne dà notizia al tribunale per i minorenni.

Nei casi previsti dal primo comma l’assistenza effettiva e psicologica della persona offesa minorenne è assicurata, in ogni stato e grado del procedimento, dalla presenza dei genitori o di altre persone idonee indicate dal minorenne e ammesse dall’autorità giudiziaria che procede.

In ogni caso al minorenne è assicurata l’assistenza dei servizi minorili dell’Amministrazione della giustizia e dei servizi istituiti dagli enti locali.

Dei servizi indicati nel terzo comma si avvale altresì l’autorità giudiziaria in ogni stato e grado del procedimento.

Articolo aggiunto dall’art. 11, L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

Sezione III: DEI DELITTI CONTRO LA LIBERTÀ MORALE

Art. 610

- Violenza privata -

Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni.

La pena è aumentata se concorrono le condizioni prevedute dall'articolo 339.

 

Art. 611

- Violenza o minaccia per costringere a commettere un reato -

Chiunque usa violenza o minaccia per costringere o determinare altri a commettere un fatto costituente reato è punito con la reclusione fino a cinque anni.

La pena è aumentata se concorrono le condizioni prevedute dall'articolo 339.

 

Art. 612

- Minaccia -

Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a lire centomila.

Se la minaccia è grave, o è fatta in uno dei modi indicati nell'articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno e si procede d'ufficio.

 

Art. 613

- Stato di incapacità procurato mediante violenza -

Chiunque, mediante suggestione ipnotica o in veglia o mediante somministrazione di sostanze alcooliche o stupefacenti, o con qualsiasi altro mezzo, pone una persona, senza il consenso di lei, in stato d'incapacità d'intendere o di volere, è punito con la reclusione fino a un anno.

Il consenso dato dalle persone indicate nell'ultimo capoverso dell'articolo 579 non esclude la punibilità.

La pena è della reclusione fino a cinque anni:

1) se il colpevole ha agito col fine di far commettere un reato;

2) se la persona resa incapace commette, in tale stato, un fatto preveduto dalla legge come delitto.

 

Sezione IV: DEI DELITTI CONTRO LA INVIOLABILITÀ DEL DOMICILIO

Art. 614

- Violazione di domicilio -

Chiunque si introduce nell'abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi, contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi s'introduce clandestinamente o con inganno, è punito con la reclusione fino a tre anni.

Alla stessa pena soggiace chi si trattiene nei detti luoghi contro l'espressa volontà di chi ha diritto di escluderlo, ovvero vi si trattiene clandestinamente o con inganno.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa.

La pena è da uno a cinque anni, e si procede d'ufficio, se il fatto è commesso con violenza sulle cose, o alle persone, ovvero se il colpevole è palesemente armato.

 

Art. 615

- Violazione di domicilio commessa da un pubblico ufficiale -

Il pubblico ufficiale, che, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, s'introduce o si trattiene nei luoghi indicati nell'articolo precedente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

Se l'abuso consiste nell'introdursi nei detti luoghi senza l'osservanza delle formalità prescritte dalla legge, la pena è della reclusione fino a un anno.

 

Art. 615 bis

- Interferenze illecite nella vita privata -

Chiunque, mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell'articolo 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.

Alla stessa pena soggiace, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chi rivela o diffonde mediante qualsiasi mezzo d'informazione al pubblico le notizie o le immagini, ottenute nei modi indicati nella prima parte di questo articolo.

I delitti sono punibili a querela della persona offesa; tuttavia si procede d'ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione d'investigatore privato (1).

(1) Articolo aggiunto dalla L. 8 aprile 1974, n. 98.

 

Art. 615 ter

- Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico -

Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni.

La pena è della reclusione da uno a cinque anni:

1) se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato, o con abuso della qualità di operatore del sistema;

2) se il colpevole per commettere il fatto usa violenza sulle cose o alle persone, ovvero se è palesemente armato;

3) se dal fatto deriva la distruzione o il danneggiamento del sistema o l'interruzione totale o parziale del suo funzionamento, ovvero la distruzione o il danneggiamento dei dati, delle informazioni o dei programmi in esso contenuti.

Qualora i fatti di cui ai commi primo e secondo riguardino sistemi informatici o telematici di interesse militare o relativi all'ordine pubblico o alla sicurezza pubblica o alla sanità o alla protezione civile o comunque di interesse pubblico, la pena è, rispettivamente, della reclusione da uno a cinque anni e da tre a otto anni.

Nel caso previsto dal primo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa; negli altri casi si procede d'ufficio (1).

(1)Articolo aggiunto dall'art. 4, L. 23 dicembre 1993, n. 547.

 

Art. 615 quater

- Detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o telematici -

Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto o di arrecare ad altri un danno, abusivamente si procura, riproduce, diffonde, comunica o consegna codici, parole chiave o altri mezzi idonei all'accesso ad un sistema informatico o telematico, protetto da misure di sicurezza, o comunque fornisce indicazioni o istruzioni idonee al predetto scopo, è punito con la reclusione sino ad un anno e con la multa sino a lire dieci milioni.

La pena è della reclusione da uno a due anni e della multa da lire dieci milioni a venti milioni se ricorre taluna delle circostanze di cui ai numeri 1) e 2) del quarto comma dell'articolo 617 quater (1).

(1) Articolo aggiunto dall'art. 4, L. 23 dicembre 1993, n. 547.

 

Art. 615 quinquies

- Diffusione di programmi diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico -

Chiunque diffonde, comunica o consegna un programma informatico da lui stesso o da altri redatto, avente per scopo o per effetto il danneggiamento di un sistema informatico o telematico, dei dati o dei programmi in esso contenuti o ad esso pertinenti, ovvero l'interruzione, totale o parziale, o l'alterazione del suo funzionamento, è punito con la reclusione sino a due anni e con la multa sino a lire venti milioni (1).

(1)Articolo aggiunto dall'art. 4, L. 23 dicembre 1993, n. 547.

 

Sezione V: DEI DELITTI CONTRO LA INVIOLABILITÀ DEI SEGRETI

Art. 616

- Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza -

Chiunque prende cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, ovvero sottrae o distrae, al fine di prendere o di farne da altri prendere cognizione, una corrispondenza chiusa o aperta, a lui non diretta, ovvero, in tutto o in parte, la distrugge o sopprime, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire sessantamila a un milione.

Se il colpevole, senza giusta causa, rivela, in tutto o in parte, il contenuto della corrispondenza, è punito, se dal fatto deriva nocumento ed il fatto medesimo non costituisce un più grave reato, con la reclusione fino a tre anni.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa.

Agli effetti delle disposizioni di questa sezione, per "corrispondenza" si intende quella epistolare, telegrafica, telefonica, informatica o telematica ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza (1).

(1) Comma così sostituito dall'art. 5, L. 23 dicembre 1993, n. 547.

 

Art. 617

- Cognizione, interruzione o impedimento illeciti di comunicazioni o conversazioni

telegrafiche o telefoniche -

Chiunque, fraudolentemente prende cognizione di una comunicazione o di una conversazione, telefoniche o telegrafiche, tra altre persone o comunque a lui non dirette, ovvero le interrompe o le impedisce è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la stessa pena si applica a chiunque rivela, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, in tutto o in parte, il contenuto delle comunicazioni o delle conversazioni indicate nella prima parte di questo articolo.

I delitti sono punibili a querela della persona offesa; tuttavia si procede d'ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso in danno di un pubblico ufficiale o di un incaricato di un pubblico servizio nell'esercizio o a causa delle funzioni o del servizio, ovvero da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione d'investigatore privato (1).

(1)Articolo così sostituito dalla L. 8 agosto 1974, n. 98.

 

Art. 617 bis

- Installazione di apparecchiature atte ad intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche -

Chiunque, fuori dei casi consentiti dalla legge, installa apparati, strumenti, parti di apparati o di strumenti al fine d'intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche tra altre persone è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

La pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso in danno di un pubblico ufficiale nell'esercizio o a causa delle sue funzioni ovvero da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato (1).

(1) Articolo aggiunto dalla L. 8 agosto 1974, n. 98.

 

Art. 617 ter

- Falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche -

Chiunque, al fine di procurare a sè o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, forma falsamente, in tutto o in parte, il testo di una comunicazione o di una conversazione telegrafica o telefonica ovvero altera o sopprime, in tutto o in parte, il contenuto di una comunicazione o di una conversazione telegrafica o telefonica vera, anche solo occasionalmente intercettata, è punito, qualora ne faccia uso o lasci che altri ne faccia uso, con la reclusione da uno a quattro anni.

La pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso in danno di un pubblico ufficiale nell'esercizio o a causa delle sue funzioni ovvero da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato (1).

(1) Articolo aggiunto dalla L. 8 agosto 1974, n. 98.

 

Art. 617 quater

- Intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche -

Chiunque fraudolentamente intercetta comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico o intercorrenti tra più sistemi, ovvero le impedisce o le interrompe, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la stessa pena si applica a chiunque rivela, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, in tutto o in parte, il contenuto delle comunicazioni di cui al primo comma.

I delitti di cui ai commi primo e secondo sono punibili a querela della persona offesa.

Tuttavia si procede d'ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso:

1) in danno di un sistema informatico o telematico utilizzato dallo Stato o da altro ente pubblico o da impresa esercente servizi pubblici o di pubblica necessità;

2) da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, ovvero con abuso della qualità di operatore del sistema;

3) da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato (1).

(1) Articolo aggiunto dall'art. 6, L. 23 dicembre 1993, n. 547.

 

Art. 617 quinquies

- Installazione di apparecchiature atte ad intercettare, impedire od interrompere

comunicazioni informatiche o telematiche -

Chiunque, fuori dai casi consentiti dalla legge, installa apparecchiature atte ad intercettare, impedire o interrompere comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico ovvero intercorrenti tra più sistemi, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

La pena è della reclusione da uno a cinque anni nei casi previsti dal quarto comma dell'articolo 617 quater (1).

(1)Articolo aggiunto dall'art. 6, L. 23 dicembre 1993, n. 547.

 

Art. 617 sexies

- Falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni

informatiche o telematiche -

Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di arrecare ad altri un danno, forma falsamente ovvero altera o sopprime, in tutto o in parte, il contenuto, anche occasionalmente intercettato, di taluna delle comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico o intercorrenti tra più sistemi, è punito, qualora ne faccia uso o lasci che altri ne facciano uso, con la reclusione da uno a quattro anni.

La pena è della reclusione da uno a cinque anni nei casi previsti dal quarto comma dell'articolo 617 quater (1).

(1) Articolo aggiunto dall'art. 6, L. 23 dicembre 1993, n. 547.

 

Art. 618

- Rivelazioni del contenuto di corrispondenza -

Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo 616, essendo venuto abusivamente a cognizione del contenuto di una corrispondenza a lui non diretta, che doveva rimanere segreta, senza giusta causa lo rivela, in tutto o in parte, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire duecentomila a un milione.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa.

 

Art. 619

- Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza commesse da persona addetta al servizio delle poste, dei telegrafi e dei telefoni -

L'addetto al servizio delle poste, dei telegrafi o dei telefoni, il quale, abusando di tale qualità, commette alcuno dei fatti preveduti dalla prima parte dell'articolo 616, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Se il colpevole, senza giusta causa, rivela, in tutto o in parte, il contenuto della corrispondenza, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave reato, con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da lire sessantamila a un milione.

 

Art. 620

- Rivelazione del contenuto di corrispondenza, commessa da persona addetta al servizio delle poste, dei telegrafi o dei telefoni -

L'addetto al servizio delle poste, dei telegrafi o dei telefoni, che, avendo notizia, in questa sua qualità, del contenuto di una corrispondenza aperta, o di una comunicazione telegrafica, o di una conversazione telefonica, lo rivela senza giusta causa ad altri che non sia il destinatario, ovvero a una persona diversa da quelle tra le quali la comunicazione o la conversazione è interceduta, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

 

Art. 621

- Rivelazione del contenuto di documenti segreti -

Chiunque, essendo venuto abusivamente a cognizione del contenuto, che debba rimanere segreto, di altrui atti o documenti, pubblici o privati, non costituenti corrispondenza, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione fino a tre anni o con la multa da lire duecentomila a due milioni.

Agli effetti della disposizione di cui al primo comma è considerato documento anche qualunque supporto informatico contenente dati, informazioni o programmi (1).

Il delitto è punibile a querela della persona offesa.

(1) Comma aggiunto dall'art. 7, L. 23 dicembre 1993, n. 547.

 

Art. 622

- Rivelazione di segreto professionale -

Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino ad un anno o con la multa da lire sessantamila a un milione.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa.

 

Art. 623

- Rivelazione di segreti scientifici o industriali -

Chiunque, venuto a cognizione per ragione del suo stato o ufficio, o della sua professione o arte, di notizie destinate a rimanere segrete, sopra scoperte o invenzioni scientifiche o applicazioni industriali, le rivela o le impiega a proprio o altrui profitto, è punito con la reclusione fino a due anni.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa.

 

Art. 623 bis

- Altre comunicazioni e conversazioni -

Le disposizioni contenute nella presente sezione, relative alle comunicazioni e conversazioni telegrafiche, telefoniche, informatiche o telematiche, si applicano a qualunque altra trasmissione a distanza di suoni, immagini od altri dati (1).

(1) Articolo così sostituito dall'art. 8, L. 23 dicembre 1993, n. 547.

 

Titolo XIII: DEI DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO

Capo I: DEI DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO

MEDIANTE VIOLENZA ALLE COSE O ALLE PERSONE

Art. 624

- Furto -

Chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sè o per altri è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da lire sessantamila a un milione.

Agli effetti della legge penale, si considera "cosa mobile" anche l'energia elettrica e ogni altra energia che abbia valore economico.

 

Art. 625

- Circostanze aggravanti -

La pena è della reclusione da uno a sei anni e della multa da lire duecentomila a due milioni:

1) se il colpevole, per commettere il fatto, si introduce o si trattiene in un edificio o in un altro luogo destinato ad abitazione;

2) se il colpevole usa violenza sulle cose o si vale di un qualsiasi mezzo fraudolento;

3) se il colpevole porta indosso armi o narcotici, senza farne uso;

4) se il fatto è commesso con destrezza, ovvero strappando la cosa di mano o di dosso alla persona;

5) se il fatto è commesso da tre o più persone, ovvero anche da una sola, che sia travisata o simuli la qualità di pubblico ufficiale o d'incaricato di un pubblico servizio;

6) se il fatto è commesso sul bagaglio dei viaggiatori in ogni specie di veicoli, nelle stazioni, negli scali o banchine, negli alberghi o in altri esercizi, ove si somministrano cibi o bevande;

7) se il fatto è commesso su cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, o sottoposte a sequestro o a pignoramento, o esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede, o destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità, difesa o reverenza;

8) se il fatto è commesso su tre o più capi di bestiame raccolti in gregge o in mandria, ovvero su animali bovini o equini, anche non raccolti in mandria.

Se concorrono due o più delle circostanze prevedute dai numeri precedenti, ovvero se una di tali circostanze concorre con altra fra quelle indicate nell'articolo 61, la pena è della reclusione da tre a dieci anni e della multa da lire quattrocentomila a tre milioni.

 

Art. 626

- Furti punibili a querela dell'offeso -

Si applica la reclusione fino a un anno ovvero la multa fino a lire quattrocentomila e il delitto è punibile a querela della persona offesa:

1) se il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa sottratta, e questa, dopo l'uso momentaneo, è stata immediatamente restituita (1);

2) se il fatto è commesso su cose di tenue valore, per provvedere a un grave ed urgente bisogno;

3) se il fatto consiste nello spigolare, rastrellare o raspollare nei fondi altrui, non ancora spogliati interamente del raccolto.

Tali disposizioni non si applicano se concorre taluna delle circostanze indicate nei nn. 1, 2, 3 e 4 dell'articolo precedente.

(1) Con sentenza n. 1085 del 13 dicembre 1988 la Corte cost. ha dichiarato l'illegittimità di questo numero nella parte in cui non estende la disciplina ivi prevista alla mancata restituzione, dovuta a caso fortuito o forza maggiore, della cosa sottratta.

Art. 627

- Sottrazione di cose comuni -

Il comproprietario, socio o coerede che, per procurare a sè o ad altri un profitto, s'impossessa della cosa comune, sottraendola a chi la detiene, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni o con la multa da lire quarantamila a quattrocentomila (1).

Non è punibile chi commette il fatto su cose fungibili, se il valore di esse non eccede la quota a lui spettante.

(1) Comma così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

Art. 628

- Rapina -

Chiunque, per procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s'impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, è punito con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa da lire un milione a quattro milioni.

Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione per assicurare a sè o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sè o ad altri l'impunità.

La pena è della reclusione da quattro anni e sei mesi a venti anni e della multa da lire due milioni a lire sei milioni:

1) se la violenza o minaccia è commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite;

2) se la violenza consiste nel porre taluno in stato d'incapacità di volere o di agire;

3) se la violenza o minaccia è posta in essere da persona che fa parte dell'associazione di cui all'articolo 416 bis (1).

(1) Comma così sostituito dalla L. 14 ottobre 1974, n. 497. Il numero 3 - è stato successivamente aggiunto dalla L. 13 settembre 1982, n. 646. La multa è stata aumentata dall'art. 8, D.L. 31 dicembre 1991, n. 419.

Art. 629

- Estorsione -

Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sè o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da lire un milione a quattro milioni (1).

La pena è della reclusione da sei a venti anni e della multa da lire due milioni a lire sei milioni, se concorre taluna delle circostanze indicate nell'ultimo capoverso dell'articolo precedente (2).

(1) Comma così modificato dall'art. 8, D.L. 31 dicembre 1991, n. 419.

(2) Comma così modificato dalla L. 14 ottobre 1974, n. 497.

 

Art. 629 bis

- Altre attività estorsive -

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la pena prevista dall'articolo 629, primo comma, si applica nei confronti di chiunque realizzi profitti o vantaggi ingiusti per sè o per altri avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416 bis. La pena è aumentata se i fatti sono commessi da persona che fa parte dell'associazione di cui all'articolo 416 bis (1).

(1) Articolo aggiunto dall'art. 9, D.L. 31 dicembre 1991, n. 419.

 

Art. 630

- Sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione -

Chiunque sequestra una persona allo scopo di conseguire, per sè o per altri, un ingiusto profitto come prezzo della liberazione, è punito con la reclusione da venticinque a trenta anni.

Se dal sequestro deriva comunque la morte, quale conseguenza non voluta dal reo, della persona sequestrata, il colpevole è punito con la reclusione di anni trenta.

Se il colpevole cagiona la morte del sequestrato si applica la pena dell'ergastolo.

Al concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera in modo che il soggetto passivo riacquisti la libertà, senza che tale risultato sia conseguenza del prezzo della liberazione, si applicano le pene previste dall'art. 605. Se tuttavia il soggetto passivo muore, in conseguenza del sequestro, dopo la liberazione, la pena è della reclusione da sei a quindici anni.

Nei confronti del concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera, al di fuori del caso previsto dal comma precedente, per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero aiuta concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta di prove decisive per l'individuazione o la cattura dei concorrenti, la pena dell'ergastolo è sostituita da quella della reclusione da dodici a venti anni e le altre pene sono diminuite da un terzo a due terzi.

Quando ricorre una circostanza attenuante, alla pena prevista dal secondo comma è sostituita la reclusione da venti a ventiquattro anni; alla pena prevista dal terzo comma è sostituita la reclusione da ventiquattro a trenta anni. Se concorrono più circostanze attenuanti, la pena da applicare per effetto delle diminuzioni non può essere inferiore a dieci anni, nell'ipotesi prevista dal secondo comma, ed a quindici anni, nell'ipotesi prevista dal terzo comma.

I limiti di pena preveduti nel comma precedente possono essere superati allorchè ricorrono le circostanze attenuanti di cui al quinto comma del presente articolo (1).

(1) Articolo già sostituito dal D.L. 21 marzo 1978, n. 59 e successivamente così sostituito dalla L. 30 dicembre 1980, n. 894.

Art. 631

- Usurpazione -

Chiunque, per appropriarsi, in tutto o in parte dell'altrui cosa immobile, ne rimuove o altera i termini è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire quattrocentomila (1).

(1) Articolo così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

Art. 632

- Deviazione di acque e modificazione dello stato dei luoghi -

Chiunque, per procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto, devia acque, ovvero immuta nell'altrui proprietà lo stato dei luoghi, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire quattrocentomila (1).

(1) Articolo così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

Art. 633

- Invasione di terreni o edifici -

Chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni o con la multa da lire duecentomila a due milioni.

Le pene si applicano congiuntamente, e si procede d'ufficio, se il fatto è commesso da più di cinque persone, di cui una almeno palesemente armata, ovvero da più di dieci persone, anche senza armi.

 

Art. 634

- Turbativa violenta del possesso di cose immobili -

Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, turba, con violenza alla persona o con minaccia, l'altrui pacifico possesso di cose immobili, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa da lire duecetomila a seicentomila.

Il fatto si considera compiuto con violenza o minaccia quando è commesso da più di dieci persone.

 

Art. 635

- Danneggiamento -

Chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui è punito, a querela della persona offesa con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire seicentomila.

La pena è della reclusione da sei mesi a tre anni e si procede d'ufficio, se il fatto è commesso:

1) con violenza alla persona o con minaccia;

2) da datori di lavoro in occasione di serrate, o da lavoratori in occasione di sciopero, ovvero in occasione di alcuno dei delitti preveduti dagli artt. 330, 331 e 333 (1);

3) su edifici pubblici o destinati a uso pubblico all'esercizio di un culto, o su altre delle cose indicate nel n. 7 dell'articolo 625;

4) sopra opere destinate all'irrigazione;

5) sopra piante di viti, di alberi o arbusti fruttiferi, o su boschi, selve o foreste, ovvero su vivai forestali destinati al rimboschimento.

(1) Con sentenza n. 119 del 6 luglio 1970 la Corte cost. ha dichiarato l'illegittimità del secondo comma di questo articolo nella parte in cui prevede come circostanza aggravante e come causa di procedibilità d'ufficio il fatto che il reato sia commesso da lavoratori in occasione di sciopero e da datori di lavoro in occasione di serrata.

Art. 635 bis

- Danneggiamento di sistemi informatici e telematici -

Chiunque distrugge, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili sistemi informatici o telematici altrui, ovvero programmi, informazioni o dati altrui, è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Se ricorre una o più delle circostanze di cui al secondo comma dell'articolo 635, ovvero se il fatto è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è della reclusione da uno a quattro anni (1).

(1) Articolo aggiunto dall'art. 9, L. 23 dicembre 1993, n. 547.

Art. 636

- Introduzione o abbandono di animali nel fondo altrui e pascolo abusivo -

Chiunque introduce o abbandona animali in gregge o in mandria nel fondo altrui è punito con la multa da lire ventimila a duecentomila.

Se l'introduzione o l'abbandono di animali, anche non raccolti in gregge o in mandria, avviene per farli pascolare nel fondo altrui, la pena è della reclusione fino a un anno o della multa da lire quarantamila a quattrocentomila.

Qualora il pascolo avvenga, ovvero dalla introduzione o dall'abbandono degli animali il fondo sia stato danneggiato, il colpevole è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa da lire centomila a un milione.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa (1).

(1) Comma aggiunto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

Art. 637

- Ingresso abusivo nel fondo altrui -

Chiunque senza necessità entra nel fondo altrui recinto da fosso, da siepe viva o da un altro stabile riparo è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a lire duecentomila.

Art. 638

- Uccisione o danneggiamento di animali altrui -

Chiunque senza necessità uccide o rende inservibili o comunque deteriora animali che appartengono ad altri è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire seicentomila.

La pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni, e si procede d'ufficio, se il fatto è commesso su tre o più capi di bestiame raccolti in gregge o in mandria, ovvero su animali bovini o equini, anche non raccolti in mandria.

Non è punibile chi commette il fatto sopra volatili sorpresi nei fondi da lui posseduti e nel momento in cui gli recano danno.

 

Art. 639

- Deturpamento e imbrattamento di cose altrui -

Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo 635, deturpa o imbratta cose mobili o immobili altrui è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a lire duecentomila.

 

Art. 639 bis. - Casi di esclusione dalla perseguibilità a querela -

Nei casi previsti negli articoli 631, 632, 633 e 636 si procede d'ufficio se si tratta di acque, terreni, fondi, o edifici pubblici o destinati ad uso pubblico (1).

(1) Articolo aggiunto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

Capo II: DEI DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO MEDIANTE FRODE

Art. 640

- Truffa -

Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sè o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire centomila a due milioni.

La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da lire seicentomila a tre milioni:

1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare;

2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l'erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell'Autorità.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o un'altra circostanza aggravante (1).

(1) Comma aggiunto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

Art. 640 bis

- Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche -

La pena è della reclusione da uno a sei anni e si procede d'ufficio se il fatto di cui all'articolo 640 riguarda contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee (1).

(1) Articolo aggiunto dalla L. 19 marzo 1990, n. 55.

 

Art. 640 ter

- Frode informatica -

Chiunque, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire centomila a due milioni.

La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da lire seicentomila a tre milioni se ricorre una delle circostanze previste dal numero 1) del secondo comma dell'articolo 640, ovvero se il fatto è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze di cui al secondo comma o un'altra circostanza aggravante (1).

(1) Articolo aggiunto dall'art. 10, L. 23 dicembre 1993, n. 547.

 

Art. 641

- Insolvenza fraudolenta -

Chiunque, dissimulando il proprio stato d'insolvenza, contrae un'obbligazione col proposito di non adempierla è punito, a querela della persona offesa, qualora la obbligazione non sia adempiuta, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a lire un milione.

L'adempimento della obbligazione avvenuto prima della condanna estingue il reato.

 

Art. 642

- Fraudolenta distruzione della cosa propria e mutilazione fraudolenta della propria persona -

Chiunque, al fine di conseguire per sè o per altri il prezzo di un'assicurazione contro infortuni, distrugge, disperde, deteriora od occulta cose di sua proprietà è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa fino a lire due milioni.

Alla stessa pena soggiace chi, al fine predetto, cagiona a sè stesso una lesione personale, o aggrava le conseguenze della lesione personale prodotta dall'infortunio.

Se il colpevole consegue l'intento, la pena è aumentata.

Le disposizioni di questo articolo si applicano anche se il fatto è commesso all'estero, in danno di un assicuratore italiano, che eserciti la sua industria nel territorio dello Stato; ma il delitto è punibile a querela della persona offesa.

 

Art. 643

- Circonvenzione di persone incapaci -

Chiunque, per procurare a sè o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di una persona minore, ovvero abusando dello stato d'infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto, che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da lire quattrocentomila a quattro milioni.

 

Art. 644

- Usura -

Chiunque, fuori dei casi previsti dall'articolo 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sè o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da lire sei milioni a lire trenta milioni.

Alla stessa pena soggiace chi, fuori del caso di concorso nel delitto previsto dal primo comma, procura a taluno una somma di denaro od altra utilità facendo dare o promettere, a sè o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario.

La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all’opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria.

Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito.

Le pene per i fatti di cui al primo e secondo comma sono aumentate da un terzo alla metà:

1) se il colpevole ha agito nell’esercizio di una attività professionale, bancaria o di intermediazione finanziaria mobiliare;

2) se il colpevole ha richiesto in garanzia partecipazioni o quote societarie o aziendali o proprietà immobiliari;

3) se il reato è commesso in danno di chi si trova in stato di bisogno;

4) se il reato è commesso in danno di chi svolge attività imprenditoriale, professionale o artigianale;

5) se il reato è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale durante il periodo previsto di applicazione e fino a tre anni dal momento in cui è cessata l’esecuzione.

Nel caso di condanna, o di applicazione di pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti di cui al presente articolo, è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono prezzo o profitto del reato ovvero di somme di denaro, beni ed utilità di cui il reo ha la disponibilità anche per interposta persona per un importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari, salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento dei danni.

Articolo così sostituito dall’art. 1, comma 1, L. 7 marzo 1996, n. 108.

 

Art. 644 bis

- Usura impropria -

Chiunque, fuori dei casi previsti dall'articolo 644, approfittando delle condizioni di difficoltà economica o finanziaria di persona che svolge una attività imprenditoriale o professionale, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sè o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, interessi o altri vantaggi usurari, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da lire quattro milioni a lire venti milioni.

Alla stessa pena soggiace chi, fuori dei casi di concorso nel delitto previsto dal comma precedente, procura ad una persona che svolge una attività imprenditoriale professionale e che versa in condizioni di difficoltà economica o finanziaria una somma di denaro o un'altra cosa mobile, facendo dare o promettere, a sè o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario.

Si applica la disposizione del terzo comma dell'articolo 644.

Articolo aggiunto dall’art. 11 quinquies, comma 2, D.L. 2 giugno 1992, n. 306 e successivamente abrogato dall’art. 1, comma 2, L. 7 marzo 1996, n. 108.

 

Art. 644 ter

- Prescrizione del reato di usura -

La prescrizione del reato di usura decorre dal giorno dell’ultima riscossione sia degli interessi che del capitale.

Articolo aggiunto dall’art. 11, L. 7 marzo 1995, n. 108.

 

Art. 645

- Frode in emigrazione -

Chiunque, con mendaci asserzioni o con false notizie, eccitando taluno ad emigrare, o avviandolo a paese diverso da quello nel quale voleva recarsi, si fa consegnare o promettere, per sè o per altri, denaro o altra utilità, come compenso per farlo emigrare, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire seicentomila a due milioni.

La pena è aumentata se il fatto è commesso a danno di due o più persone.

 

Art. 646

- Appropriazione indebita -

Chiunque, per procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire due milioni.

Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata.

Si procede d'ufficio se ricorre la circostanza indicata nel capoverso precedente o taluna delle circostanze indicate nel n. 11 dell'articolo 61.

 

Art. 647

- Appropriazione di cose smarrite, del tesoro o di cose avute per errore o caso fortuito -

È punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire sessantamila a seicentomila:

1) chiunque, avendo trovato denaro o cose da altri smarrite, se li appropria, senza osservare le prescrizioni della legge civile sull'acquisto della proprietà di cose trovate;

2) chiunque, avendo trovato un tesoro, si appropria, in tutto o in parte, la quota dovuta al proprietario del fondo;

3) chiunque si appropria cose, delle quali sia venuto in possesso per errore altrui o per caso fortuito.

Nei casi preveduti dai numeri 1 e 3, se il colpevole conosceva il proprietario della cosa che si è appropriata, la pena è della reclusione fino a due anni e della multa fino a lire seicentomila.

 

Art. 648

- Ricettazione -

Fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sè o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque s'intromette nel farli acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due a otto anni e con la multa da lire un milione a lire venti milioni.

La pena è della reclusione sino a sei anni e della multa sino a lire un milione, se il fatto è di particolare tenuità.

Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando l'autore del delitto, da cui il denaro o le cose provengono, non è imputabile o non è punibile (1).

(1) Articolo così sostituito dalla L. 22 maggio 1975, n. 152.

 

Art. 648 bis

- Riciclaggio -

Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce denaro, beni o altre utilità provenienti dai delitti di rapina aggravata, di estorsione aggravata, di sequestro di persona a scopo di estorsione o dai delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope, con altro denaro, altri beni o altre utilità, ovvero ostacola l'identificazione della loro provenienza dai delitti suddetti, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da lire due milioni a lire trenta milioni.

La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale.

Si applica l'ultimo comma dell'articolo 648 (1).

(1) Articolo così sostituito dalla L. 19 gennaio 1990, n. 55.

 

Art. 648 ter

- Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita -

Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648 bis, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti dai delitti di rapina aggravata, di estorsione aggravata, di sequestro di persona a scopo di estorsione o dai delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da lire due milioni a lire trenta milioni.

La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale.

Si applica l'ultimo comma dell'articolo 648 (1).

(1) Articolo aggiunto dalla L. 19 marzo 1990, n. 55.

 

Capo III: DISPOSIZIONI COMUNI AI CAPI PRECEDENTI

Art. 649

- Non punibilità a querela della persona offesa, per fatti commessi a danno di congiunti -

Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dallo stesso titolo in danno:

1) del coniuge non legalmente separato;

2) di un ascendente o discendente o di un affine in linea retta, ovvero dell'adottante, o dell'adottato;

3) di un fratello o di una sorella che con lui convivano.

I fatti preveduti da questo titolo sono punibili a querela della persona offesa, se commessi a danno del coniuge legalmente separato, ovvero del fratello o della sorella che non convivano coll'autore del fatto, ovvero dello zio o del nipote o dell'affine in secondo grado con lui conviventi.

Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai delitti preveduti dagli articoli 628, 629 e 630 e ad ogni altro delitto contro il patrimonio che sia commesso con violenza alle persone.